Vittorio Magnago Lampugnani (Roma, 1951) è un personaggio complessivamente atipico nel panorama dell’architettura dei nostri giorni. Da decenni partecipa attivamente tanto al dibattito sulla città contemporanea quanto alla sua costruzione. Al tempo stesso, però, rimane impermeabile a quella tendenza al protagonismo mediatico che ha coinvolto molti progettisti della sua generazione. Magnago Lampugnani non è un’archistar, nell’accezione che il termine ha acquisito negli anni 2000; piuttosto, si ispira alla figura dell’architetto-intellettuale, come delineata ad esempio da Marco Biraghi nel suo saggio del 2019.
Magnago Lampugnani è un architetto profondamente europeo, da numerosi punti di vista. Sono europee, innanzitutto le geografie della sua biografia. Studia all’Università La Sapienza di Roma e all’Università di Stoccarda, dove ottiene la laurea in Architettura e successivamente il dottorato di ricerca, nel 1977. Consegue un secondo titolo di dottore a Roma, sempre all’Università La Sapienza, nel 1983. Fonda il suo primo studio nel 1980 a Berlino, subito dopo apre l’ufficio di Milano (Studio di architettura) e infine, nel 2010, costituisce con Jens Bohm la Baukontor, laboratorio di progettazione con sede a Zurigo. Italia, Germania e Svizzera restano i tre poli fondamentali di tutta la sua carriera.
A partire dall’inizio degli anni ’80 e per almeno un decennio, Magnago Lampugnani è una figura chiave della riflessione teorica e della trasformazione materiale di una grande capitale europea, Berlino. Dal 1980 al 1984 è consulente scientifico per l’IBA – Internationale Bauausttlellung, progetto decennale di rigenerazione urbana, con l’obiettivo di realizzare nuovi alloggi per 30 mila abitanti di Berlino ovest entro il 1987. All’interno dell’IBA, Magnago Lampugnani condivide le posizioni del direttore Josef Paul Kleihues sulla necessità di una “ricostruzione critica” della città storica, che ne riproponga in sostanza l’articolazione planimetrica e volumetrica.
Contro la cesura della città modernista post-bellica, contro le stravaganze della Berlino decostruttivista di quegli anni – rappresentate, ad esempio, dall’edificio al Checkpoint Charlie di Peter Eisenman (1985-1986) – Magnago Lampugnani si fa teorizzatore e costruttore di una “Berlino di pietra” ancorata nella sua tradizione barocca e ottocentesca. Il complesso per uffici “Block 109”, realizzato con la moglie Marlene Dörrie e concluso nel 1996, è il risultato tridimensionale più imponente di una più ampia ricostruzione culturale delle rappresentazioni e degli immaginari riferiti alla città tedesca.
Gli edifici realizzati da Magnago Lampugnani negli anni successivi sono testimonianza di un percorso coerente nelle sue premesse concettuali e uniforme nei suoi esiti formali. Malgrado la diversità delle occasioni, la sua architettura si mantiene nel tempo rigorosa, ortogonale, anti-decorativa. Lo testimoniano progetti come il Gruppo di appartamenti a Maria Lankowitz, nei pressi di Graz (1995-1999, con Marlene Dörrie e Michael Regner), il Piazzale di entrata alla sede dell’Audi a Ingolstadt (1999-2001), il Campus Novartis di Basilea (dal 2001) e ancora, in anni più recenti, il Parcheggio multipiano a East Hanover, New Jersey (2013), il Quartiere Richti (2013, con Jens Bohm e Francesco Porsia), e l’Edificio per uffici in Schiffbauplatz (2015), entrambi a Zurigo.
Progettista meno prolifico di altri colleghi, Magnago Lampugnani prosegue in parallelo un’attività costante di ricerca, critica e comunicazione dell’architettura. Nel suo percorso incrocia molte delle più importanti istituzioni europee di questo campo: riviste come Casabella, nella cui redazione entra nel 1981 per rimanervi fino al 1985, e Domus, che dirige dal 1992 al 1996; musei, come il DAM – Deutsches Arkitekturmuseum di Francoforte, di cui è a capo dal 1990 al 1995; università come l’ETH di Zurigo, dove arriva nel 1994, per restarvi professore ordinario di Storia di progettazione della città fino al 2016.
Sono solo gli episodi di maggior rilievo del suo impegno su più fronti nel dibattito architettonico europeo, che comprende anche la pubblicazione regolare di monografie e scritti – tra i più recenti Bedeutsame Belanglosigkeiten. Kleine Dinge im Stadtraum (Piccoli oggetti nello spazio urbano, Wagenbach, Berlino, 2019) – la partecipazione a comitati e giurie di concorsi internazionali, come il Premio Mies van der Rohe, e la collaborazione con il quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung.
Nelle parole della redazione di Domus:
Con un perfetto à plomb, in parte dovuto alla sua formazione italo-tedesca, che gli fa affermare con un pizzico d’ironia 'non c’è urgenza che non possa aspettare', riesce a mediare senza scomporsi afflati e attriti della vita redazionale, affidandosi alle sue capacità di sintesi e decisione rapida. Anche i numerosi rapporti con i rappresentanti del mondo della cultura internazionale, che arricchiscono il panorama della rivista, sono coltivati con modi riservati e affabili, ma con atteggiamento fermo, sostenuto dalla disinvolta padronanza di quattro lingue