Sulla scia del risveglio culturale che accompagna il Giappone a partire dagli anni ‘60, caratterizzato da una rapida crescita economica, da un’urbanizzazione molto forte e dalla mobilità profetizzata dall’evoluzione tecnologica, la figura dell’architetto Shigeru Ban raccoglie le spinte futuristiche dei Metabolisti (Esposizione Internazionale di Osaka, 1970) e la pratica costruttiva di architetti già affermati sulla scena internazionale come Fumihiko Maki e Arata Isozaki.
Lo sviluppo economico degli anni ’80 porterà a grandi investimenti grazie a ingenti flussi finanziari, permettendo ad architetti, come Toyo Ito, Tadao Ando, Itsuko Hasegawa, Shin Takamatsu, di sperimentare moltissimo con nuovi linguaggi per un’architettura fluida ma sempre legata all’espressione geometrica, dall’elevata valenza tecnologica, che tenta di costruire una relazione con la natura.
In questo periodo culturale e produttivo piuttosto attivo, Shigeru Ban inizia nel 1985 a Tokyo la sua attività di architetto, dopo aver svolto gli studi negli Stati Uniti (al Southern California Institute of Architecture, e poi alla Cooper Union School of Architecture a New York) dove sicuramente subisce il fascino di Mies Van Der Rohe, che tanto influirà nella sua ricerca progettuale.
Infatti, in controtendenza a un Giappone prosperoso e fiducioso, grazie ai grandi investimenti economici e finanziari, Shigeru Ban sviluppa una ricerca architettonica focalizzata sull’utilizzo di materiali poveri e fondata su soluzioni strutturali innovative. All’utilizzo esasperato di acciaio, ferro e griglie metalliche, egli contrappone edifici in cemento a vista integrati da serramenti e finiture in legno.
È nel 1986 che Shigeru Ban, sensibile al tema del riuso contro lo sperpero, inizia ad utilizzare tubi in cartone, quali materiali di recupero, riutilizzati proprio per la loro apparenza e colore simile al legno. Le installazioni testimoniano l’inizio di una ricerca molto attenta sul materiale cartaceo, intuendone la grande flessibilità applicativa, in considerazione della sua elevata capacità portante oltre che idrorepellente ed ignifuga.
La struttura di cartone innesta in Shigeru Ban un sistema di pensiero progettuale e di ricerca metodologica molto libera, dimostrando una grande fiducia nella capacità critica e creativa dell’essere umano, congiunta alla razionalità compositiva, per rispondere a nuove esigenze funzionali ed estetiche. Accanto ai concetti spazialisti, le soluzioni di ricerca rispondono ai requisiti di costo-efficienza e tempo-efficienza, secondo le tendenze sperimentali e di standardizzazione del modernismo del XX secolo.
Ban sviluppa lo studio del Paper Tube System (PTS), riconosciuto in Giappone dal 1993 ed implementato nelle sue case-studies houses, sapienti applicazioni della sua ricerca sul tema dell’involucro e delle partizioni: PC Pile House (1992), House of Double-Roof (1993), Furniture House (1995), Wall-Less House.
La Sagaponac House — Case Study House 04 — nello stato di New York, è un esempio di modernismo architettonico e minimale. Il progetto nasce dalla pianta della Brick Country House, mai costruita, dove il principio strutturale e compositivo, declinato in semplici pareti o armadi capienti, a seconda delle necessità funzionali, sa creare sapienti giochi di luce ed ombra.
La Curtain Wall House realizzata ad Itabashi (Tokyo) in Giappone nel 1995 è un altro esempio di architettura essenziale, rispondente al koan zen, una ricerca di leggerezza nell’alternanza vuoto-pieno che permea il pensiero taoista. Racchiusa da una vera e propria tenda, Shigeru Ban cerca e crea spazi di relazione anche con l’ambiente esterno, tipico dell’architettura tradizionale giapponese.
Su altra scala, le coperture curve progettate da Shigeu Ban per grandi superfici sono da considerare audaci esempi del suo linguaggio architettonico fondato sul principio compositivo e strutturale seriale.
In progetti come il Big Roof a Fukuroi (1997), Ban, oltre alle reminiscenze con le forme geodetiche di Buckminster Fuller, mostra la sua fascinazione per le strutture di Frei Otto.
Nel 2000 realizza con Frei Otto il Padiglione Giapponese per l’Expo 2000 ad Hannover in Germania, che implementa gli stessi principi compositivi e tecnologici. Il padiglione della Biennale di Singapore (2010) rappresenta l’evoluzione concettuale del sistema di copertura con la realizzazione di una trave spaziale sospesa, sostenuta da pilastri in acciaio.
Nel Centre Pompidou di Metz (2004-2009) l’ampia copertura protegge le facciate dal freddo invernale e dal sole estivo con struttura predisposta a respingere i venti freddi del nord ed ad incanalare quelli caldi durante l’estate. Il reticolo esterno è costituito da una membrana di fibra di vetro e teflon che permette una luce soffusa.
Elementi prefabbricati, modularità e riuso dei materiali ai fini della sostenibilità ambientale rappresentano tutti rilevanti temi dell’appassionata ricerca di Shigeru Ban per la forma necessaria, spesso sintetizzata in pezzi unici.
Altro elemento di sperimentazione compositiva per Shigeru Ban è il container, utilizzato nel Nomadic Museum a New York (2003-2005), nel museo temporaneo Papertainer a Songpa-Gu, Seoul (2006) come nel padiglione Artek al Parco della Triennale di Milano in occasione del Salone del Mobile (2007): qui Ban progetta una semplice struttura aperta che esalta le qualità formali e tecnologiche di un materiale nuovo prodotto dalla combinazione di plastica e carta.
Premio Pulitzker nel 2014, Shigeru Ban è oggi noto per il suo contributo umanitario nella realizzazione di strutture per l’emergenza realizzate in territori in condizioni di estrema povertà.
La sua simbiotica ricerca e sperimentazione trovano qui applicazione in strutture temporanee per terremotati o rifugiati politici, caratterizzate dagli inconfondibili tratti di flessibilità progettuale, eleganza formale, leggerezza e trasparenza.
Attraverso le parole di Lorena Alessio:
Ban ridefinisce la figura dell’architetto, che è al contempo ingegnere, inventore e sperimentatore: una figura di architetto quasi rinascimentale, capace di esprimere le possibilità di riuscita con l’uso ponderato di creatività e ragione umana.