Immagine in apertura: Kenzo Tange in 1981. Photo by Hans van Dijk, licensed under CC BY-SA 3.0
Considerato uno dei padri dell’architettura giapponese contemporanea, nel corso della sua carriera Kenzo Tange è stato in grado di coniugare un’accurata ricerca formale a un approfondito studio della tecnologia e del modo in cui essa influenza i processi progettuali. I suoi lavori, realizzati tra il secondo Dopoguerra e l’inizio del terzo millennio, si legano inizialmente alle istanze del Movimento Moderno che predominava in Occidente nella prima metà del Novecento, passando per le visioni urbane radicali degli anni’60, per giungere al Brutalismo e all’architettura Postmoderna.
Nato nel 1913 a Imabari, nell’isola di Shikoku, Tange entra in contatto con l’architettura grazie alla scoperta delle opere di Le Corbusier, avvenuta dopo il trasferimento nella città di Hiroshima nel 1930. Inizia gli studi di architettura all’Università di Tokyo nel 1935 e, conseguito il titolo accademico, intraprende l’attività professionale nello studio di Kunio Maekawa. La svolta nella carriera del progettista arriva nel 1946: in seguito alla distruzione causata dall’esplosione degli ordigni atomici nella Seconda Guerra Mondiale, Tange viene nominato responsabile per la ricostruzione di Hiroshima. A quest’epoca risale il progetto del Museo della Pace (costruito a partire dal 1949), con il quale l’architetto raggiunge la fama internazionale.
Il 1946 è importante per la carriera di Tange anche per un’altra ragione: in quest’anno inizia l’attività di insegnamento presso l’Università di Tokyo; due anni più tardi viene avviato il Tange Laboratory (Tange kenkyūshitsu), nome ufficiale attribuito alle sue attività didattiche e di ricerca svolte presso la stessa Università fino al 1973. Il laboratorio, considerato una pratica didattica altamente sperimentale a cavallo tra ricerca accademica e innovazione tecnologica legata alla produzione industriale dell’epoca, ha visto la partecipazione di architetti come Fumihiko Maki, Koji Kamiya, Arata Isozaki, Kisho Kurokawa e Taneo Oki, prima come studenti e successivamente come collaboratori.
In seguito Fumihiko Maki, Arata Isozaki, Kisho Kurokawa e altri ex studenti del Tange Laboratory fondano il Movimento Metabolista, del quale Kenzo Tange è generalmente considerato il principale precursore. L’approccio analitico dell’architetto, contaminato con le discipline scientifiche e con una grande attenzione agli elementi tecnologici, è presente in modo evidente nel lavoro dei metabolisti. Questo gruppo di architetti, attivi tra gli anni ’60 e gli anni ’70, ha elaborato una serie di progetti nei quali la città (e la sua cellula base, ovvero l’edificio) è considerata come un organismo vivente in grado di mutare nel tempo e modificare le proprie dimensioni grazie a soluzioni tecnologiche avanzate; il progetto più noto legato ai principi progettuali di questo moviemtno è la Nagakin Capsule Tower, progettata da Kishō Kurokawa. Il progetto su scala urbana di Tange più vicino al lavoro dei metabolisti è il piano di per la baia di Tokyo, elaborato a partire dal 1957. Il piano prevede la realizzazione di una rete di megastrutture incrementabili che partono dal centro della megalopoli per svilupparsi sul mare occupando una vasta superficie nel golfo con l’intento di mitigare il problema di incremento vertiginoso della popolazione della capitale giapponese.
Un altro progetto – in questo caso su scala architettonica – che dialoga con i principi progettuali del Movimento Metabolista è lo Shizuoka Press and Broadcasting Center, realizzato nel 1967 nel quartiere di Ginza. Da questo progetto emerge nuovamente l’idea di città intesa come insieme di edifici modulari e potenzialmente incrementabili in base all’uso e alle esigenze degli utenti: la torre è infatti costituita da un nucleo cilindrico (che contiene i vani tecnici e gli elementi di risalita) e degli elementi laterali ad esso collegati, all’interno dei quali trovano spazio gli uffici dell’agenzia di stampa e comunicazione.
Un progetto coevo e analogo a questo è lo Yamanashi Broadcasting and Press Centre nella città di Kōfu; anche in questo caso, l’edificio è progettato con nuclei di distribuzione verticale intesi come elementi fissi a cui si collegano dei “moduli” con uffici espandibili e incrementabili. La maggior complessità del programma dell’edificio (all’interno del quale dovevano trovare spazio il reparto di stampa dei giornali, una stazione radiofonica e alcuni studi televisivi) è alla base della maggior complessità planimetrica rispetto all’edificio della Shizuoka. Un terzo edificio di Tange che rientra nella categoria dei due studi di produzione multimediali è il quartier generale di Fuji TV a Tokyo, costruito quasi trent’anni più tardi rispetto ai precedenti.
Oltre ai progetti maggiormente sperimentali come quelli citati, la ricerca di Kenzo Tange si è orientata nel corso degli anni anche verso la reinterpretazione delle tecniche costruttive tradizionali giapponesi – come nel progetto della casa per sé stesso, costruita nel 1953, unico edificio residenziale progettato da Tange – e verso una ricerca spaziale condotta attraverso l’attenzione alla geometria e alle questioni strutturali: un chiaro esempio di questo approccio è la Cattedrale cattolica di St. Mary a Tokyo (progettata a partire dal 1960 e costruita nel 1964), nella quale gli otto muri portanti assumono la forma di parabole iperboliche definendo il volume della chiesa e permettendone l’illuminazione attraverso la luce zenitale. Come in numerosi progetti dell’architetto giapponese, al calcestruzzo armato usato per la struttura è affiancato l’acciaio inox che riveste la copertura e il campanile della Cattedrale.
L’attività progettuale dello studio di Tange include anche progetti su larga scala, in particolar modo legati a grandi eventi internazionali. Il primo esempio rilevante sono i progetti realizzati per le Olimpiadi di Tokyo del 1964. Oltre al masterplan degli impianti sportivi, è da riportare il progetto dello Yoyogi National Gymnasium che riprende e reinterpreta le volumetrie dell’architettura moderna occidentale, in particolare lecorbusieriana, ponendola in dialogo con il contesto giapponese. Un altro progetto su vasta scala legato a un grande evento è il piano per l’Expo 1970 ad Osaka: anche in questo caso, oltre al masterplan Tange ha progettato lo spazio centrale del sito, la Festival Plaza. Sebbene questa grande copertura a struttura reticolare riprende i ragionamenti sulle megastrutture portati avanti negli anni precedenti, essa è più simile alle sperimentazioni radicali occidentali (in primis le visioni urbane di Archigram) che al lavoro dei Metabolisti giapponesi dai quali Tange aveva progressivamente preso le distanze.
Nel 1987 Kenzo Tange vince il premio Pritzker per il progetto dello Yoyogi National Gymnasium; dopo pochi mesi, viene mostrato al pubblico il progetto per il Palazzo del governo metropolitano di Tokyo. Questo edificio, volumetricamente complesso e che raggiunge un’altezza di 243 m, è indubbiamente uno degli edifici più rilevanti nella sua carriera. La costruzione di questo edificio viene terminata nel 1991 e in quest’anno ha inizio l’ultima fase di attività dell’architetto, alla quale appartengono grandi interventi realizzati in oltre 20 nazioni del mondo, ma che presentano un grado di ricerca spaziale e di sperimentazione nettamente ridotto rispetto ai progetti degli anni ’60, ’70 e ’80. L’architetto muore nel 2005 lasciando un grande contributo non solo ai progettisti giapponesi (Arata Isozaki e Kazuo Shinoara sono solo due tra i celebri progettisti fortemente influenzati dall’attività di Tange) ma all’intera cultura architettonica internazionale.
Marco Biraghi su Kenzo Tange:
L’architettura di Tange ha sempre puntato a riflettere le vertiginose trasformazioni e i fenomenali avanzamenti tecnologici compiuti dal Giappone nel breve arco di tempo che separa la sconfitta nella seconda guerra mondiale e gli anni Sessanta; un approccio progettuale che, se si allontana dalla tradizione intesa come sopravvivenza formale, continua in compenso ad attingere a un patrimonio ancestrale, per conferire un’identità giapponese a una rivoluzione industriale tendenzialmente priva di volto
(Storia dell’architettura contemporanea II, 2008)
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