Jean Prouvé è stato architetto autodidatta, progettista e designer. È considerato un pioniere per aver innovato metodologicamente le discipline del progettare – dall’architettura al design industriale, dall’ingegneria strutturale alla progettazione di mobili.
Jean Prouvé: “Non c’è differenza tra costruire un mobile e un immobile”
Ripercorriamo la carriera e la storia dell’architetto e designer francese, una delle figure più influenti del Ventesimo secolo e del movimento moderno in Francia.
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- Irene Sofia Comi
- 18 ottobre 2022
L’intuizione fondamentale di Prouvé è stata quella di trasferire la tecnologia di produzione dall’industria all’architettura, senza per questo penalizzare la qualità estetica del progetto. Abbracciando questa visione, Prouvé è stato capace di creare un nuovo stile che supera un settorialismo stringente, a favore di un approccio multidisciplinare che coniuga il saper fare proprio dell’artigianato con la produzione industriale, per la creazione di oggetti che diventano un ibrido tra design e architettura. In essi, l’aspetto puramente formale del design assume un ruolo secondario ed è funzionale all’utilità stessa dell’oggetto, alla sua economicità e a un uso ragionato dei materiali.
Nato a Parigi nel 1901, secondo di sette figli, cresce in un contesto vivace, ricco di frequentazioni artistiche, facilitato dal padre Victor Prouvé, pittore, scultore e incisore, e dalla madre Marie Duhamel, una pianista. Stringerà presto rapporti con l’artista del vetro Emile Gallé e il disegnatore di mobili Louis Majorelle: membri della “Scuola di Nancy” – un movimento co-fondato dal padre Victor per promuovere le arti decorative creando pezzi unici per produzione di massa, nell’idea di un’arte totale, tra arte e industria – influenzeranno profondamente il suo pensiero. In questo contesto, Jean sviluppa una visione volta alla democratizzazione della cultura, all’arte accessibile, interpretando le sue progettazioni come uno strumento attraverso cui stimolare e auspicare una coscienza sociale.
Sono maturato in un mondo di artisti e studiosi, un mondo che nutre la mente.
Dopo gli studi scolastici, Prouvé apprende l’arte artigiana del metallo sotto la guida di Émile Robert a Enghien, e di Adalbert Szabo. Dal 1923-24 apre il proprio laboratorio per la fabbricazione di oggetti in ferro battuto a Nancy – attivo fino al 1954 – dove produce anche i suoi primi elementi d’arredo in lamiera d’acciaio sagomata.
Interessandosi anche alla produzione di componenti architettonici e di design, nel 1931 comincia a collaborare con importanti architetti francesi come Eugène Beaudoin, Marcel Lods, Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret. Nello stesso anno apre “Les Ateliers Jean Prouvé”, il primo di una lunga serie di laboratori di design, dove la lavorazione del metallo con tecniche avanzate genera i primi mobili ed elementi prefabbricati di successo; tra questi ci sono i pannelli in acciaio dei suoi primi edifici significativi, come la Maison du Peuple di Clichy (1935-1939 in collaborazione con Beaudoin e Lods), dalle pareti scorrevoli, i pavimenti amovibili e il tetto apribile, a vetrate mobili, per massimizzare la luce.
La teoria costruttiva e progettuale di Prouvé si basa sulla razionalità nella fabbricazione, su materia e la tecnica di lavorazione, sul "pensiero costruttivo" del design come ingegneria applicata in una logica di produzione di massa e funzionalità. L’estetica deve essere scevra da ogni artificio: un principio modernista che sposa la visione dell’Union des Artistes Modernes (UAM), da lui co-fondata nel 1930, insieme a Le Corbusier, Mallet-Stevens, Pierre Jeanneret, Pierre Chareau e Charlotte Perriand. Nell’accogliere diverse discipline la UAM si proponeva di superare il decorativismo Art Nouveau riformando la disciplina architettonica attraverso la purezza funzionale di forme e linee, con attenzione a nuove tecniche sperimentazioni, come quelle del cemento armato.
Tra gli anni ‘30 e ‘50 progetta case prefabbricate, mobili per uffici, letti, tavoli, biciclette, sedie, banchi di scuola, interni e lampade: oggetti che attraversano il XX secolo, dove materiali e linee dinamiche e pulite suggeriscono l’uso, icone del design del dopoguerra (anche grazie alla riedizione di molti progetti da parte di Vitra, dopo il 2002). Si distinguono la poltrona reclinabile Grand Repos (1930), in lamiere d’acciaio laccato e tela; le diverse versioni della Standard Chair (dal 1934), in alluminio e legno compensato – dove le gambe posteriori, più sollecitate, sono rinforzate ed ispessite; la poltrona della linea Cité, (1931) creata con Charlotte Perriand e Sonia Delaunay – con le quali collabora in più occasioni – per arredare le residenze della Cité Universitaire di Nancy.
Altra icona è il tavolo EM (1950), basato su un’estetica ingegneristica della necessità, dove una traversa collega le gambe inclinate, evidenziando i rapporti statici della struttura. Questo arredo si inserisce nel progetto delle Maisons Tropicales (1949-1951), abitazioni smontabili a basso costo realizzate in tre prototipi, composte da pannelli in legno ed elementi in alluminio e acciaio, pensate per ospitare i burocrati francesi nelle colonie dell’Africa occidentale. La prima viene eretta a Brazzaville (Repubblica del Congo), con un tetto doppio per la ventilazione naturale, una veranda con un parasole regolabile in alluminio, oblò in vetro blu alle pareti contro i raggi UV.
Diventa centrale per Prouvé il principio della portabilità, negli oggetti come nelle architetture: sistemi di assemblaggio intelligenti, ideati per strutture resistenti, rendono mobili, spostabili e smantellabili gli edifici. Così nasce la Maison Metropole, una casa “flessibile” in alluminio di 8x12 m – vincitrice nel 1949 di un concorso del Ministero dell’Istruzione per una “scuola rurale riproducibile in massa, con un’aula e con alloggi per gli insegnanti” – che nonostante i suoi 100 mq non prevede fondamenta e si adatta a diversi siti.
Non c’è una differenza tra la costruzione di un mobile e di un immobile.
Cresce l’attenzione di Prouvé alle possibilità che offrono i nuovi materiali – lamiera, vetro, polimeri – in risposta al problema dell’abitare. Debutta infatti su Domus (n. 210) nel 1946, in un servizio sottotitolato La casa dell’Uomo, ovvero un’abitazione per tutti gli esseri umani – una visione dall’approccio modernista, condivisa anche dalle teorie di Le Corbusier che, in quegli stessi anni, si rivolge a Prouvé per gli interni delle cellule dell’Unité d’habitation di Marsiglia.
Tra fine anni ‘40 e inizio anni ‘50 emerge inoltre lo spirito politico di Prouvé: membro attivo nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, è eletto per merito sindaco di Nancy dopo la liberazione. Nel 1947 costruisce la fabbrica Maxéville, un’azienda di 25000 mq e 200 dipendenti (che lascerà nel 1952, a causa di divergenze con gli azionisti di maggioranza), di grande successo in una Francia in crescita demografica, dove produce mobili, arredi ed edifici prefabbricati, intraprendendo un’ampia ricerca architettonica sull’uso dell’alluminio. Gli viene inoltre affidata la commessa delle quattordici Maisons industrialisées (1950-52) a Meudon, montabili da quattro persone senza bisogno di alcun mezzo.
Il Ministero per la Ricostruzione gli commissiona poi la produzione su grande scala di edifici residenziali in legno per persone rifugiate, profughi e senza tetto. La base è un modulo abitativo in elementi prefabbricati, realizzati industrialmente dagli Ateliers Jean Prouvé, e il progettista sarà il primo a passare due mesi in una di queste abitazioni in Bretagna, in risposta al suo senso etico. “Dopo la guerra mio padre disse: ‘mi è rimasta una casa per rifugiati in fabbrica: la montiamo, ci passiamo due mesi in vacanza e poi troviamo il modo di venderla’”, racconta la figlia Catherine.
Definito da Le Corbusier come “l’archetipo del costruttore”, Prouvé ha lavorato a numerosi progetti dopo l’avviamento di Maxéville, come ad esempio un caffè a Evian, il Padiglione per il centenario dell’alluminio (con M. Hugonet, 1953-1954) e la facciata a persiane basculanti per il ristorante dell’Hotel de France (1953) a Conakry, in Guinea.
La mia casa è costruita con elementi di recupero.
Nel 1954 progetta e realizza, assieme agli amici e alla figlia Catherine la propria residenza sulle colline di Nancy, la Maison Prouvé che diventerà monumento storico nel 1987.
È una struttura leggera e flessibile, un assemblaggio di elementi standardizzati, articolati in pianta su principi puramente funzionali: un modulo di un metro di lunghezza, (la misura dei pannelli prefabbricati), si articola su tre aree: privata, pubblica e di servizio. I pannelli in alluminio perforato come da oblò compongono parte delle facciate e la porta d’ingresso: un dettaglio che entrerà nella storia dell’architettura insieme agli angoli delle porte, stondati per facilitarne il taglio a macchina. La casa, priva fondamenta, lunga 27 metri, manifesta quell’approccio al costruire per assemblaggio di elementi industriali e per lavoro manuale, secondo i quattro pilastri dell'etica progettuale di Prouvé: economicità, confortevolezza, funzionalità e resistenza.
Sempre nel 1954 arriva la Maison des Jours Meilleurs (Casa per giorni migliori) a seguito dell’appello dell’ecclesiastico Abbé Pierre per costruire alloggi di emergenza per le persone in difficoltà.
Tra i numerosi progetti successivi si ricordano la collaborazione con Jean Dimitrijevic sul Musée des Beaux Arts du Havre (1952-1962) – struttura in vetro, acciaio e alluminio, premio Reynolds nel 1962 – e la collaborazione su La Maison du Sahara (1958), moderno prototipo di “casa villaggio” per condizioni climatiche estreme, sviluppata attorno a un tetto in lamiera d’alluminio con struttura leggera, una tenda rigida sotto la quale si articola lo spazio domestico. Come afferma Fulvio Irace, “l’idea dello shelter accomuna Prouvé alle sperimentazioni americane di Richard Buckminster Fuller e, in parte, all’ossessione di Ludwig Mies van der Rohe per il sintagma del tetto” (Domus 1046, 2020).
Durante sua carriera, Prouvè lavora anche a Parigi: dal 1957 al 1968 come responsabile dell’ufficio tecnico della Compagnie Industrielle de Matériel de Transport (CIMT), dopo come libero professionista nel proprio studio di consulenza architettonica (1968-1984); dal 1957 al 1970 è docente presso il Conservatoire National des Arts et Métiers (CNAM). Nel 1971, inoltre, è presidente della giuria di concorso per il Centre Pompidou (peraltro sede odierna dell’archivio Jean Prouvé), rivestendo un ruolo fondamentale nella selezione dei vincitori Richard Rogers, Renzo Piano e Gianfranco Franchini.
Nel voler rivolgere nuovamente la propria attenzione allo sviluppo di mobili di sua progettazione, nel 1980 Prouvé torna a Nancy, dove morirà nel 1984.
Il “grande lattoniere”, come lo definisce François Chaslin (1983), ha sempre ragionato da utopista, unendo pratica e teoria: nella sua carriera ha raggiunto l'obiettivo di coniugare requisiti funzionali, utilizzo dei materiali e problematiche di natura economica con le complesse esigenze della produzione di massa.
A proposito della sua attività, Rolf Fehlbaum, patron di Vitra e proprietario di una delle più grandi collezioni di prodotti, prototipi abitativi e maquette di Prouvé, afferma: “Nella tradizione del Movimento Moderno c’è l’insana idea di poter cambiare il mondo anche con sedie, tavoli, divani, lampade. Si potrebbe dire che ciò è ridicolo, ma noi ci crediamo e lavoriamo ancora in questa direzione” (2011).
Immagine in apertura: Ritratto di Jean Prouvé al mare. © SCE Jean Prouvé