Ephraim Owen Goldberg, noto come Frank Owen Gehry, è considerato uno dei massimi esponenti mondiali del decostruttivismo architettonico, grazie all’interesse ampiamente manifestato per un processo di scomposizione dell’edificio in unità volumetriche poi riassemblate secondo criteri apparentemente illogici, che prediligono la linea obliqua, e realizzate ricorrendo spesso all’accostamento di materiali diversi e inusuali - dalla rete metallica, alla lamiera ondulata, fino a complesse leghe a base di titanio – secondo pratiche che ricordano la tecnica del collage artistico.
Gehry, nato a Toronto nel 1929, si trasferisce presto negli Stati Uniti dove si laurea in architettura nel 1954 - frequentando la Southern California – e dove ottiene un diploma in progettazione urbanistica dalla Harvard University. Completati gli studi, inizia a lavorare con l’architetto di origini viennesi Victor Gruen. Dopo un soggiorno a Parigi della durata di un anno circa, che lo vede impegnato a studiare tanto le opere più recenti di Le Corbusier quanto le cattedrali romaniche francesi e tedesche, rientra negli USA e apre – siamo nel 1962 – il suo primo studio professionale.
Ben presto diviene noto personaggio nel processo di rivoluzione del modello della casa unifamiliare americana attuato nella California degli anni Settanta e Ottanta, attraverso numerose esperienze particolarmente apprezzate sia dalla critica, sia dal pubblico. Embrione della produzione di questa primissima fase è la casa progettata per la propria famiglia a Santa Monica (1978), in cui un obsoleto e modesto edificio a padiglione viene inglobato in una nuova struttura con pianta a U, improntata a un linguaggio informale e disadorno in cui ricorre l’uso di materiali grezzi, di riciclo e industriali: il pavimento della cucina è in asfalto stradale, il rivestimento esterno in pannelli di latta e fogli di compensato, le balaustre delle numerose passerelle del piano notte sono gabbie oblique in rete metallica simile a quella utilizzata per i pollai. Dai fronti esterni questi materiali s’insinuano dentro la casa, andando a disegnare una sorta di paesaggio domestico post-apocalittico, che lo stesso Gehry ha definito “cheapscape” e che viene riproposto per le case Familian a Los Angeles (1978), Wagner a Malibù (1978) e Spiller di Venice (1978-1979), per l’abitazione di un cineasta a Los Angeles (1981) e per i primi progetti non residenziali, tra cui il piano per i nuovi edifici della Loyola Law School (1978-1991), che riflette sul tema dello spazio aperto come matrice dell’insediamento. Il successo immediato porta Gehry a ricevere, da Paolo Portoghesi, l’invito a realizzare una delle facciate per la “Strada Nuovissima” alla Biennale di Venezia del 1980, che si esplica in una interpretazione post-moderna del tradizionale sistema costruttivo americano del balloon frame, utilizzato per incorniciare un’ipotetica finestra ad arco ribassato dell’Arsenale veneziano.
Il campus per la Loyola è un punto di svolta nella carriera di Gehry, che progressivamente sposta il focus della propria attività: dalla metà degli anni Ottanta, costruisce in sequenza l’Istituto di Psichiatria a Yale (1985-1989), il centro commerciale Edgemar a Santa Monica (1984-1988), l’Areospace Museum di Los Angeles (1982-1984): tutte opere incentrate sul ruolo sociale e urbano di strade e piazze, interne ed esterne, che vengono concepite come scene teatrali.
La svolta successiva è individuabile nella prima mostra monografica dedicata a Gehry, che si svolge a Minneapolis nel 1986 e il cui allestimento è opera dello stesso architetto: evento di straordinario successo mediatico, consente al progettista californiano di raggiungere una vastissima audience, al punto da riuscire a vincere, tre anni più tardi, il prestigioso Pritzker Prize. Nel frattempo, Gehry ha avviato la costruzione del Vitra Museum a Weil Am Rhein in Germania (1987-1989), che sancisce un altro cambio di rotta: nell’edificio a pianta rettangolare, elementi accessori quali rampe, scale, lucernai e tettoie generano un apparente scontro tra le parti, proiettandosi verso lo spazio circostante. Al collage materico delle case californiane subentra in Germania la monomatericità dell’intonaco bianco (cui Gehry era già ricorso nel progetto per la biblioteca Francis Goldwyn a Holliwood, 1983-1986) e l’attenzione si sposta sugli scenografici effetti luminosi connessi all’introduzione dei volumi secondari, che nel complesso danno vita a uno dei primi esempi dell’architettura-scultura di Gehry, ispirata alla plastica futurista di personaggi come Boccioni e condotta attraverso tutte le opere degli anni Novanta. Tra le costruzioni del periodo si segnala l’edificio dell’American Center a Parigi (1988-1983), che per la prima volta introduce il tema del volume cilindrico estruso.
A seguire, la straordinaria eco suscitata dalla Walt Disney Concert Hall di Los Angeles (1988-2003) e, soprattutto, dal lungo e complesso cantiere del Guggenheim di Bilbao (1991-1997), l’opera che ha contribuito a rivoluzionare il concetto di museo contemporaneo come opera d’arte in quanto tale e come motore dei processi di riqualificazione urbana per aree fortemente degradate (nello specifico, le banchine dismesse del porto fluviale lungo il Nervion). Il Guggnheim, descrivibile come una sorta di astronave in titanio atterrata lungo le sponde del fiume, è certamente uno degli emblemi dell’architettura del XX secolo, che Gehry ha potuto realizzare solo mettendo a punto un nuovo approccio progettuale, perfezionato nel corso degli anni a venire: bozzetti e modelli grezzi vengono utilizzati per verificare gli effetti tridimensionali delle prime ipotesi progettuali e, individuata la soluzione migliore, vengono tradotti in disegni bidimensionali grazie a un complesso software derivato dalla progettazione di strumentazione aerospaziale. Questi disegni sono poi la base di ulteriori prove e modifiche, attuate per adattare gli spazi interni al volume abbozzato con il plastico.
Il planetario successo dell’operazione Bilbao ha consentito a Gehry di portare a compimento innumerevoli progetti. Tra quelli inaugurati negli ultimi anni si segnalano la Gehry Tower a Hannover (2001); l'Issey Miyake a New York (2001); il Maggie's Centre a Dundee, in Scozia (2003); il Ray and Maria Stata Center a Cambridge, in Massachusetts (2004); la Brian Transeau's House a Los Angeles (2006); gli InterActiveCorp – IAC Headquarters di New York (2007).
Oltre al già citato PritzkerPrize, Gehry è stato il primo architetto a ricevere il Dorothy and Lilian Gish Award (1994) e, nel 2008, il Leone d'Oro alla carriera durante l’undicesima Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia. Per la città lagunare ha progettato la sua prima opera italiana, il Venice Gateway, terminal nautico di collegamento tra l'aeroporto Marco Polo e il centro storico veneziano.
Da segnalare, infine, la costruzione del Guggenheim di Abu Dhabi, ultimo anello della catena di musei in franchising che Ghery stesso ha contribuito a creare con l’esperienza di Bilbao.
Attraverso le parole di Fulvio Irace:
Frank O. Gehry ha, come architetto, un passato poco ortodosso, nutrito di passioni non convenzionali per l’arte e per la vita progressivamente riflesse nell’espressione di una maniera fortemente estremizzata. Affascinata dalla “sporcizia” visiva della città […] l’architettura delle sue case è stata il grido liberatorio di una guerriglia estetica che ha celebrato il brutto. L’ordinario, il banale come ingredienti di una bellezza cheap, come il fascino di una Cenerentola grunge vestita di stracci
- Estremi cronologici:
- 1929–in vita
- Ruolo professionale:
- architetto, designer, artista