Pier Giacomo Castiglioni (1913-1968) è uno dei personaggi caleidoscopici nelle cui biografie si rifrange una buona parte del mondo del progetto milanese del ‘900. È una figura al tempo stesso eccezionale, per la quantità, la varietà e la qualità delle sue opere, e tipica, perché nei decenni centrali del secolo scorso una convergenza fortunata di capitali culturali ed economici ha fatto del capoluogo lombardo un vero incubatore di questa specifica tipologia di progettisti “integrali”. Come quasi tutti loro, Castiglioni è di estrazione borghese, figlio di Giannino (1884-1971) che fu tra i migliori scultori lombardi dei suoi tempi.
A lui si deve ad esempio la celebre Edicola Bernocchi al Cimitero Monumentale (1936), sulla cui iconica copertura a tronco di cono si dispiega un’affollata via crucis di più di 100 personaggi. Tutti i tre figli di Giannino, che è anche considerato uno dei pionieri del design italiano, si laureano in Architettura al Politecnico di Milano: il maggiore Livio nel 1936, Pier Giacomo nel 1937 e il più giovane Achille nel 1944. Le loro carriere sono strettamente legate: alla fine degli anni ‘30 i primi due aprono lo studio a cui Achille si unisce al termine dei suoi studi, mentre Livio se ne distacca nel 1953. Sarà poi Achille a proseguirne le attività dopo la morte prematura di Pier Giacomo.
Con un piccolo gruppo di figure illustri di una generazione a lui vicina – da Ignazio Gardella (1905-1999) a Luigi Caccia Dominioni (1913-2016) e Vico Magistretti (1920-2006), solo per citarne alcuni – Castiglioni ha dato un contributo fondamentale alla costituzione e alla crescita delle istituzioni e dei riti che hanno inquadrato, il dibattito e la pratica dell’architettura e del design a Milano. Nel 1945 è stato tra i membri fondatori dell’MSA – Movimento per gli Studi Architettura, che nell’epoca frenetica della ricostruzione fu un importante baluardo di riflessione critica ed elaborazione di visioni complesse per la città. Un decennio più tardi, nel 1956, ha partecipato alla costituzione dell’A.D.I. – Associazione per il Disegno Industriale, che da allora accompagna come istituzione di riferimento le evoluzioni del design italiano. Ha poi collaborato a vario titolo con la Triennale di Milano – ad esempio come membro della giunta esecutiva della XIII Triennale del 1964, la storica edizione dedicata al Tempo libero –, con la Commissione edilizia del comune di Milano, con il Consiglio dell’Ordine degli Architetti della Lombardia e con il Politecnico di Milano, come docente di disegno dal vero.
La vocazione poliedrica di Castiglioni trova riscontro nella diversità delle sue realizzazioni, individuali o con la collaborazione di uno o di entrambi i fratelli, a seconda delle epoche. Tra le architetture più significative spiccano due edifici diversi per programma e localizzazione ma fondati su uno stesso approccio: l’ampliamento del Palazzo della Permanente nella centralissima via Turati (1952-1953) e la Chiesa di S. Gabriele Arcangelo in Mater Dei in via Termopili (1956-1959), nel cuore dei quartieri allora popolari a nord di piazzale Loreto. Entrambi si caratterizzano per la chiara adesione a un linguaggio moderno, d’ispirazione razionalista, ma anche per il rigore e la sostanziale sobrietà, un’assenza di enfasi che le differenzia da altre opere del moderno milanese. La chiesa, inoltre, si distingue per la soluzione realmente originale del suo prospetto su strada, che non è una facciata monumentale ma una non-facciata, un “vuoto” di ordine gigante predisposto ad accogliere i fedeli.
Castiglioni si rivela più prolifico ad altre scale e per altre tipologie d’incarico. Progetta numerosi allestimenti di mostre e padiglioni fieristici alla Triennale di Milano, alla Fiera di Milano e anche all’Expo ’61 di Torino. La più impressionante di questa genealogia di architetture temporanee è probabilmente il Padiglione RAI alla XLIII Fiera di Milano, del 1965. Lo invadono le forme audaci di un volume sospeso di potenza costruttivista, concepito come una sequenza di cannocchiali orientati verso il cielo. Castiglioni disegna anche interni e arredamenti, per gli showroom milanesi di grandi marchi del design – il negozio Gavina in corso Monforte, nel 1961, il negozio Flos nella stessa via, nel 1968 – e per altri committenti, ad esempio la birreria Splügen Braü in corso Europa, del 1961. Quest’ultima è un catalogo di soluzioni e pezzi d’arredo integrati e progettati ad hoc, ad esempio la lampada a sospensione che ne eredita il nome, completata dalle grafiche di Max Huber. Sulle pagine di Domus, che pubblica regolarmente i progetti dei Castiglioni, in particolare tra gli anni ’50 e ’60, viene descritta come uno spazio “altro” rispetto alla città che la circonda, un luogo che “crea per chi s’installa la piacevole impressione di ‘mettersi in viaggio’, come in uno scompartimento di treno o su un battello (…). La presenza degli altri ospiti è uno spettacolo” (Domus 380, luglio 1961). Smantellata all’inizio degli anni ’80, la birreria Splügen Braü è anche una delle moltissime opere perdute dei Castiglioni, che sopravvivono oggi solo in preziose sequenze di fotografie dell’epoca.
Castiglioni, però, è soprattutto un protagonista del product design italiano. È innanzitutto attraverso i suoi moltissimi oggetti che si può comprendere appieno la sua filosofia progettuale, elaborata e condivisa con i fratelli, in particolare Achille. Negli anni cruciali, dai ’50 in poi, in cui l’Italia scopre nuovi modi di abitare, nuove forme di comfort e di consumo, i Castiglioni si cimentano nel disegno, o ri-disegno, di tutti gli elementi di cui si compone la casa. Uno stesso approccio pragmatico, sintetico e ironico costruisce un sottile fil rouge tra gli oggetti più strettamente “necessari” – il leggendario interruttore rompi-tratta del 1968, utile quanto raffinato – quelli essenziali e reinventati – lo sgabello “Mezzadro” per Zanotta del 1957, che incorpora un sedile da trattore, quasi dadaista nel suo rifiuto della tradizionale, comoda seduta borghese – e presenze più monumentali – l’iconica lampada “Arco” del 1962, dall’elegante stelo ricurvo e fuori scala.
Come spiega la storica dell’architettura Giuliana Ricci: “Nella storia del design italiano il Castiglioni ed i fratelli sono i protagonisti di quel particolare filone che, con grandissima semplicità di mezzi e pulizia di disegno, tende a riscoprire le ragioni fondamentali dell'oggetto considerato. L'accoppiamento della chiarezza, che mette a nudo elementi generalmente nascosti, all'uso di materiali e forme ‘poveri’ e a un nuovo e più funzionale concetto distributivo delle parti attribuisce al risultato finale un carattere d'ironia. Tale procedimento progettuale ha condotto spesso gli artisti a riproporre, seppure modificati nella forma e risolti più a fondo nei problemi tecnici, modelli tradizionali”. La qualità delle opere dei Castiglioni è stata premiata con numerosi Compassi d’Oro – cinque negli anni in cui era attivo anche Pier Giacomo, nel 1955, 1960, 1962, 1964 e 1967 – e riconosciuta da importanti istituzioni internazionali che le hanno incluse nelle loro collezioni, primi fra tutti la Triennale di Milano e il Museum of Modern Art di New York.
Soprattutto, però, gli oggetti disegnati da Pier Giacomo e dai suoi fratelli sono diventati parte, anzi componente essenziale, di un paesaggio domestico “ordinario”, quelle “delle case di tutti gli italiani”. Ne hanno costruito le estetiche moderne e hanno suggerito nuovi modi possibili di abitarle. All’epoca, nel secondo Novecento, sono stati rivoluzionari. Oggi, in un contesto socio-economico e culturale profondamente cambiato, restano icone timeless di un approccio critico e inventivo che ispira anche il miglior design contemporaneo.