“Per creare si deve mettere in discussione tutto” afferma Eileen Gray. Considerata oggi una delle più importanti pioniere del movimento modernista, Gray è stata capace di spaziare dall’architettura al design d’interni, dalla pittura alla progettazione di mobili. Ha contaminato linguaggi di volta in volta diversi, affermando l’idea di “opera d’arte in tutto”, dove ciò che conta non è solo il corpo architettonico, ma anche tutti gli altri elementi, dal guardaroba agli sgabelli, includendo persino tappeti e specchi.
Eileen Gray
“Una casa non è una macchina da abitare, è il guscio di un uomo, la sua estensione, la sua liberazione, la sua emanazione spirituale.”
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- Irene Sofia Comi
- 24 marzo 2023
“Un intervento così totale del designer nella creazione dell’ambiente oggi non è un’eccezione, ma negli anni venti poteva dirsi un’anticipazione”, come ha detto Joseph Rykwert su Domus (469, dicembre 1968), dal portato innovativo e transdisciplinare, in cui tutto diventa motivo di esplorazione, conoscenza e trasformazione creativa. Come invece lei stessa scrive nel 1929: “un lavoro acquisisce valore solo attraverso l’amore che riesce a manifestare”.
Gray (Kathleen Eileen Moray Smith) nasce nel 1878 in Irlanda, a Enniscorthy, in una famiglia benestante. La sua eclettica formazione fonda le radici nell’Art Nouveau di fine Ottocento e approda all’architettura moderna. Dopo aver studiato a Londra disegno e pittura alla Slade School of Fine Arts, apprende l’arte della lacca, tecnica che approfondisce anche a Parigi sotto la guida dell’artigiano giapponese Seizo Sugawara. Trascorre i primi anni della sua carriera tra Londra e Parigi, dove alcune sue lacche vengono esposte con discreto successo, tanto che nel 1917 l’edizione inglese di Vogue le dedica un articolo.
Un intervento così totale del designer nella creazione dell’ambiente oggi non è un’eccezione, ma negli anni venti poteva dirsi un’anticipazione.
Joseph Rykwert
Dopo essersi arruolata come volontaria durante la Prima Guerra Mondiale, si trasferisce stabilmente nella Ville Lumière, dove ottiene il primo incarico di rilievo nel 1919, quando Suzanne Talbot, celebre stilista, le commissiona la decorazione del suo salotto, in rue de Lota. I mobili disegnati da Gray per l’occasione sono curati nei minimi dettagli e intercettano le esperienze formali del moderno, riscuotendo un grande successo confermato nel 1923 dalla sua prima mostra presso la Union des Artistes Modernes.
Nello stesso anno, instaurando relazioni internazionali, entra in contatto con il gruppo De Stijl e l’anno successivo J.J.P. Oud e Walter Gropius commentano favorevolmente la sua partecipazione al Salon des Artistes Décorateurs de Paris, per il quale concepisce il boudoir de Monte Carlo, proposta innovativa nella quale si scorge l’influenza Bauhaus. Sulla scia della notorietà, apre in quegli anni la galleria Jean Désert a Parigi, laboratorio dove produce mobili in serie – un’operazione all’epoca poco comune – sperimentando materiali alternativi come i tubolari in acciaio. Al contempo accetta alcuni incarichi di arredamento d’interni producendo pezzi iconici dallo stile semplice ed elegante, come il Sofà Lota, le poltrone Transat (1925-26) e Bibendum (1926) e il paravento Schermo (1922-25). In questo periodo incontra Jean Badovici, critico di origini romene, promotore di Le Corbusier
e redattore della rivista L’Architecture Vivante, che si rivelerà centrale nella vita sentimentale di Gray.
L’arte non è solo l'espressione di relazioni astratte, deve anche incapsulare le relazioni più tangibili, i bisogni più intimi della vita soggettiva.
Eileen Gray
Dalla fine degli anni Venti, complice la storia d’amore con Badovici, Gray lavora a progettazioni nelle quali architetture e oggetti acquisiscono pari centralità e collabora con Le Corbusier al Pavillon des Temps Nouveaux, presentato poi all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937, edizione divenuta celebre anche per aver ospitato Guernica di Picasso. Tra il 1926 e il 1929, durante il prodigioso decennio dell’architettura modernista, Gray lavora al suo progetto più grandioso, ma anche più sofferto, troppo a lungo ricondotto alla fama di Le Corbusier: è la villa E-1027, detta Maison en bord de mer a Roquebrune-Cap-Martin, nel sud della Francia.
Nelle intenzioni di Gray, quest’opera è pensata per sé e per il suo compagno Badovici e rappresenta i desideri più intimi di un’abitazione vissuta, come conferma la sigla che dà il nome al progetto, e che riprende le lettere iniziali del proprio nome e dell’amato. Come afferma lei stessa: “una casa non è una macchina da abitare, è il guscio di un uomo, la sua estensione, la sua liberazione, la sua emanazione spirituale”. Il progetto si sviluppa su due piani e poggia su pilotis di stampo moderno, ma possiede al contempo un estro distante dalle architetture del tempo (si pensi ad esempio a Villa Noailles, progettata da Robert Mallet-Stevens a Hyères). E-1027 è stata infatti pensata come una maison minimum, semplice, efficiente e dotata di mobili ad incasso; ogni stanza si affaccia su un balcone diverso e le finestre permettono di interagire con il paesaggio circostante, grazie a pareti divisorie che possono essere spostate per creare spazi alternativi, in un’ideale continuità esperienziale con l’esterno.
L’arredo degli interni cerca di adattarsi al corpo umano e ai suoi bisogni: nella zona giorno le piastrelle bianche riflettono la luce e i tavolini, rivestiti in sughero, attutiscono i rumori.
Il progetto diviene in poco tempo simbolo di un’opera complessa nella quale i confini tra architettura e interior design sfumano, in una sintesi sapiente di diverse correnti del movimento moderno. Eppure, nel 1938, avviene una “colonizzazione pittorica” dell’abitazione che segnerà per sempre la sensibilità di Gray. Dopo la fine della loro relazione, Badovici permette a Le Corbusier di realizzare, senza l’autorizzazione della progettista, otto murales di ispirazione picassiana sulle pareti della casa, con riferimenti espliciti alla sessualità non canonica di Gray, la quale vivrà l’azione come un atto di vandalismo, svilente dei principi fondativi della casa.
Inoltre quando Le Corbusier pubblica i suoi dipinti in Oeuvre complète (1946) e nella rivista Architecture d'aujourd'hui (1948), definisce il progetto come “una casa a Cap-Martin”, senza menzionare il nome di Gray. “È stata una violazione. Un collega architetto, un uomo che lei ammirava, aveva mutilato il suo lavoro senza il suo consenso”, scrive Peter Adam in una monografia a lei dedicata nel 1987.
Dopo l’accaduto Gray si allontana dal suo entourage e da Parigi – dove nel frattempo aveva anche progettato l’appartamento di Badovici in rue Chateaubriand (1931) – e si ritira a Tempe à Pailla, villa da lei progettata tra il 1932 e il 1934 a Castellar, poco lontano da E-1027, per la quale realizza l’intero arredamento, tra cui una seduta a serpentina con una struttura forata leggera mutuata dalla costruzione degli aerei, e il tavolo multifunzionale Menton. Questa casa segnerà la fine delle opere realizzate da Gray sino al 1958, anno in cui costruisce per sé Lou Perou, una villa vicino a Saint Tropez (nel frattempo realizzerà su carta altri 32 progetti per case unifamiliari e centri culturali, conservati oggi al Victoria and Albert Museum di Londra).
L’attività e la personalità di Gray all’interno della storiografia architettonica sono state quasi dimenticate per quarant’anni. La sua riscoperta si deve alla vendita in un’asta del 1972 di un suo pezzo d’arredo, il paravento Le Destin, per trentaseimila dollari: sarà anche l’anno in cui verrà nominata Royal Designer for Industry dalla Royal Society of Arts di Londra.
Gray morirà pochi anni dopo, nel 1976, a Parigi. Di lì a breve il suo lavoro riconquisterà notorietà anche grazie al lavoro di diversi studiosi – tra cui Rykwert, che abbiamo visto scrivere di Gray proprio per Domus già nel 1968 – contribuendo a riabilitare la figura dell'architetta.
Un lavoro acquisisce valore solo attraverso l’amore che riesce a manifestare.
Eileen Gray
Nel 1978 il suo leggendario tavolo regolabile E-1027 entra a far parte della collezione di design permanente del MoMA di New York e ancora oggi i suoi mobili sono considerati pezzi da collezione, fattore che ha contribuito alla ricostruzione della vicenda della villa E-1027, trascurata fino al 2006 da critica e amministrazioni pubbliche. Il Centre Pompidou le ha dedicato una grande retrospettiva personale nel 2013 a cui è seguita nel 2014 la produzione del film Price of Desire e del documentario Gray matters.
Si tratta di riconoscimenti fondamentali per riconsiderare la centralità di una figura protagonista del Novecento, che ha attraversato i principali cambiamenti del secolo ed è stata capace di sfidare le norme patriarcali, promuovendo uno status paritario per le professioniste, e di ripensare l’architettura come spazio non neutrale, fuori dai canoni di un settorialismo stringente. Come insegna Gray, “l’arte non è solo l'espressione di relazioni astratte, deve anche incapsulare le relazioni più tangibili, i bisogni più intimi della vita soggettiva”.
Immagine di apertura: Eileen Gray su Domus 469, dicembre 1968