Un giovane architetto vince una borsa di studio per una ricerca sui territori dell'Impero ottomano. Un lungo viaggio nel Mediterraneo del Sud, e tocca, tra le altre, la città di Aleppo in Siria.
Questa selezione di immagini, scattate nel 2011, è la documentazione di quel pezzo di viaggio. Pubblicarle oggi quando alcuni dei luoghi che immortalano sono stati bombardati, nel pieno di una guerra civile ancora in corso, è una sorta di omaggio alla città.
Ma non solo di questo si tratta è anche l'occasione per fare e rifare un ragionamento sulla fotografia. A che serve oggi? E quale tipo di immagini?
Mi limito a questo piccolo pezzetto di una storia: risulta evidente che queste fotografie assumono un valore documentario e sono il documento di un prima che ha come riferimento il dopo della guerra. In sé rappresentano la volontà di tracciare una storia della città, nella città. E se pure non dicono la realtà e tanto meno la guerra diventano, loro malgrado, storia delle ferite inferte dalla guerra: nostalgia e memoria recente anche di ciò che era già perduto ma viveva come vestigia della sua storia, frammento incarnato da muri e colonne e strade.
E allora la documentazione? Già Susan Sontag aveva scritto in Davanti al dolore degli altri (Mondadori, 2003) parole definitive sulla fotografia di guerra ma che dire delle ferite alle cose in cui le persone s'identificano? Le città sono luoghi d'affezione per chi ci vive, e gli edifici che le costituiscono punti di riferimento emotivi. E Aleppo è città millenaria in cui si sono sovrapposte migliaia di storie, culture e persone. La città ottomana, certo, ma anche quella degli armeni sfuggiti al grande massacro del 1915, e degli ebrei che vi risiedevano fino dai tempi biblici, e dei sognatori del socialismo panarabo, e dei nemici giurati di Israele. Oggi da Aleppo tutti, quelli che possono, fuggono.
In rete sopravvivono immagini didascaliche, fotografie turistiche, vedute dei monumenti storici ma facendo una ricerca con la parola Aleppo vengono prima centinaia di immagini di guerra, distruzione e morte. Il presente si fa, giustamente, spazio, e le fotografie di solo qualche mese fa sembrano antiche.
Così quelle qui mostriamo sono anch'esse 'antiche', di un tempo, l'anno scorso, in cui si poteva attraversare la Siria per fare una pacata ricerca sulla sopravvivenza dell'architettura ottomana e la sua integrazione con le preesistenze e la contemporaneità. Simona Bordone
Giuseppe A. Alizzi, nel 2010 si laurea in architettura con una tesi su Beirut e l'anno seguente è ricercatore per la Fondation Marc de Montalembert: scattando foto ripercorre, da Istanbul a Beirut a Rodi, una personale idea di contemporaneo. La Siria è il momento più significativo della ricerca, Aleppo e Damasco le città in cui cammina per più tempo. Nel 2011 rientra a Milano dove si occupa di pianificazione presso lo studio Systematica. Da settembre vive a Berlino e lavora per Topotek 1.
Aleppo, ieri
Il reportage di un giovane architetto, borsista della Fondation Marc de Alembert, è un omaggio all'antica città siriana: com'era soltanto pochi mesi fa e non sarà più. Testo di Simona Bordone.
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- Giuseppe Alizzi
- 20 novembre 2012
- Aleppo