Le quattro giornate di riprese fotografiche sono state strutturate in base a un insieme di semplici regole, per scandire le modalità e le tempistiche di lavoro in modo simile a una liturgia: ho percorso la costa a piedi lungo una linea ovest-est, procedendo da ponente a levante; ho ripreso ogni giorno il tragitto di mattina presto esattamente dal punto in cui mi ero fermato la sera precedente; ho scattato tutte le inquadrature orizzontali con la linea dell'orizzonte sempre alla stessa altezza.
Ognuno dei quattro tratti percorsi è delimitato naturalmente dalla foce di un fiume (Sile, Piave, Livenza) e mostra caratteristiche proprie di utilizzo dello spazio.
Luca Casonato
di Sebastiano Brandolini
La linea leggermente arcuata della costa che da Punta Sabbioni raggiunge Caorle è sì monotona, ma non noiosa; il suo grado di ripetitività dipende da come la osserviamo e da cosa ci scopriamo. Appena ci allontaniamo dalla costa verso l'entroterra, il mare diventa pressoché invisibile, e lo stesso vale anche in senso contrario, cioè dal mare guardando verso la terra. Tutto è maledettamente orizzontale, e mancano quasi del tutto quelle emergenze verticali che rendono comprensibile un paesaggio, tramite le visuali profonde e panoramiche.
Dal punto di vista naturalistico, il paesaggio è una lunga striscia di sabbia dorata e fine, così fine che i granelli non sono più riconoscibili individualmente, ma assieme formano una massa omogenea, compatta e pastosa. Camminarci sopra richiede leggerezza, equilibrio, ritmo e resistenza, e non è poi così diverso dal camminare sulla neve marcia di primavera, quando comincia a fare caldo; sabbia bagnata e asciutta sono due terreni completamente diversi. Che si tratti di spiaggia o del suo progenitore, le dune (dove queste ancora sopravvivono), poco conta: la spiaggia e le dune fanno da interfaccia tra mare e terra, e separano dunque le attività "da acqua" da quelle "da villaggio". Sì, perché il binomio acqua+villaggio fa da protagonista di questo litorale; l'acqua addomesticata che nell'ultimo secolo significa vacanza per tutti, e il villaggio che, in quanto ritorno al passato, fa da alter ego della metropoli.
Punta Sabbioni è un punto preciso, frutto delle triangolazioni necessarie a chi si muove nella laguna – che non è né terra né mare – per definire esattamente la propria posizione. Alla fine della terraferma, c'è un lungo frangiflutti con in fondo un faro; questa è una delle bocche d'ingresso nella laguna veneta, e il mega-cantiere del Mose ci ricorda quanto sia sempre stato e sia ancora oggi precario il rapporto tra l'uomo e la natura, e quanto questo richieda continui aggiustamenti. In distanza si vedono il campanile di San Marco, e altri campanili di Venezia. A pochi metri, le dune di sabbia ospitano una vegetazione povera ma selvaggia, che si adatta in continuazione al terreno sabbioso e battuto dagli spruzzi salmastri.
All'occhio del profano, le piante appaiono ispide e poco generose, ma in realtà offrono riparo e sussistenza a una fauna specifica, soprattutto ai tanti uccelli che volano nei pressi e si sentono.
Il Cavallino, pochi chilometri più in là, è ancora Venezia, perché Venezia prima di essere una città è un territorio fortificato. Siamo nei pressi della sua linea difensiva, che la rendeva invisibile alle flotte nemiche, accanto alla sua diga naturale, il Lido lungo e stretto. Oggi il turismo di Venezia non dovrebbe riguardare soltanto i suoi monumenti e l'emozionante osservazione in diretta del suo lento ma inesorabile ritorno a polvere, ma anche l'eccezionale natura della sua costa. Venezia è anche un interminabile susseguirsi di alberghi, strutture ricettive e piccoli divertimenti. Il Cavallino, con la sua profonda spiaggia, le sue erbe selvagge e i suoi bungalow, in certi tratti più frequentato che in altri, ci accompagna lungo il cammino.
Questo è anche un territorio scandito dagli estuari dei fiumi: il Sile, il Piave, il Livenza, tutti a poca distanza l'uno dall'altro; questi interrompono la lunga spiaggia e squarciano il paesaggio interno, rendendolo visibile. È curioso quanto il mare oggi attiri più dei fiumi, e non è chiaro il perché. Jesolo finisce con il Piave, e poco dopo si trova la Laguna del Mort, una enclave di acqua salmastra che pochi visitatori coraggiosi attraversano a piedi camminando nella melma e trasportando i propri bagagli (acqua, cibo, asciugamani, creme per la giornata) in bilico sulla testa. Perché sono pochi i turisti pronti a camminare più di qualche decina di metri, e a cercare un pizzico di avventura e di isolamento; qui la disomogenea distribuzione dei turisti è determinata dalla presenza o meno dei parcheggi per le automobili. La Laguna del Mort offre l'opportunità unica di camminare e tuffarsi nel passato, nella costa com'era una volta. In distanza, guardando a ovest, una nuova torre di Jesolo ci ricorda che non siamo così distanti dai comfort dell'aria condizionata.
Se non fosse per la presenza di vecchi confini amministrativi e consuetudini toponomastiche, e si attribuisse maggiore importanza allo stato attuale delle cose, diremmo che tra Punta Sabbioni e Caorle c'è una sola città, per ora senza nome. Jesolo, Caorle, Duna Verde, Eraclea Mare, Cavallino, Porto S. Margherita: sono tutti quartieri di un'emergente metropoli lineare, capace di comprimersi e dilatarsi a seconda del periodo dell'anno. Questa camaleontica stagionalità ne accentua l'urbanità. Nell'agosto 2010, le presenze giornaliere sono state oltre 167.000, che, unite ai residenti, portano questa metropoli balneare a toccare i 231.000 abitanti. Il senso di urbanità è dato dalle molteplici attività che si svolgono nel suo sistema di spazi aperti: al sole e all'ombra, di giorno e di sera, lungo la costa e lungo le strade, per ogni generazione anagrafica. Il sovraffollamento, con i suoi tre corollari (vita pubblica, cibo, rumore), è, per la società di massa, sinonimo di vacanza; gran parte della popolazione di oggi vive tutto l'anno nell'isolamento forzato della città suburbana, e quindi appare naturale che per contrasto le vacanze vengano consumate in luoghi affollati.
Sebastiano Brandolini