Per la disciplina del design il Salone del Mobile può rappresentare uno spazio di questo genere? Per suscitare sommosse di piazza a questa annuale fiera commerciale basta poco più della prospettiva di gin, vermut e Campari gratis, ma quest’anno una manciata di manifestazioni fuori Salone è uscita dalla mischia per parlare criticamente dei rapporti del design, talvolta insostenibili e iniqui, con gli schemi di espansione dei consumi del marketing, mentre altre manifestazioni hanno proposto soluzioni a questi problemi attraverso nuovi modi di produzione. Oggi gli steccati sono alti come nel ’68.
In un’epoca in cui la polemica populista latra senza tregua dalle televisioni satellitari e la politica si modella di conseguenza, occorre un sussulto critico per ridare consistenza al fondamento generale dei diritti umani, dei diritti civili e della politica ambientale che la generazione più giovane considera garantiti. Ovviamente non sarà il design a risolvere i mali dell’umanità, ma i designer hanno la capacità di espandere la loro immaginazione per offrire qualcosa di più di semplici prodotti. Per molti solo scoprire una voce critica è una novità, e in uno spettacolo commerciale come il Salone, nutrito da centinaia di migliaia di euro di sponsorizzazioni e di collaborazioni di marchi multinazionali, queste voci spesso risultano soffocate. Ma non sono completamente silenti.
Metà del nucleo centrale della mostra era rappresentata dalla collezione fotografica But It Used to Be So Cool (“Ma com’era bello”). Louis de Belle ha realizzato un servizio fotografico sull’ex sede direzionale del settore macchine da scrivere e telecomunicazioni della Olivetti, il vasto complesso di Ivrea che, oltre alla sede amministrativa e a vari stabilimenti di produzione, comprendeva anche abitazioni e servizi sociali per i dipendenti. All’epoca il comportamento della Olivetti veniva celebrato come un esempio di come un’azienda potesse fare il bene dei dipendenti grazie al buon design. Una strategia di base in aperto contrasto con quella della Fiat, i cui sgangherati impianti e le cui carenti condizioni di lavoro suscitarono a Torino la contestazione dei lavoratori nell’“Autunno caldo” italiano del 1969-70. Le crude, freddamente documentarie fotografie di De Belle della sede Olivetti oggi mostrano come certi elementi del progetto, come il complesso per lo sport e il tempo libero progettato nel 1953 da Ignazio Gardella, siano umili monumenti a una forma di capitalismo più comprensivo.