
La prima conferenza delle Nazioni Unite a traguardare pienamente le sfide dell’urbanizzazione (nel frattempo cresciuta insieme alla popolazione che a metà degli anni ‘70 raggiunge i 4 miliardi di individui) si tiene a Vancouver, in Canada, nel 1976, con il nome di Habitat I. La conferenza avvia il programma UN-Habitat: il programma dedicato allo studio degli insediamenti umani, alla distribuzione di risorse (soprattutto nei paesi del Sud del mondo) e allo sviluppo di strategie per assicurare a tutti una “casa dignitosa”.
Nel 1996, sull’onda di un’ulteriore crescita del numero di individui sulla Terra (ormai quasi 6 miliardi) e della loro concentrazione urbana (metà della popolazione vive ormai in città), le Nazioni Unite organizzano una seconda conferenza a Istanbul, in Turchia, per fare il punto su due decenni di attività di Habitat e individuare i nuovi obiettivi strategici per il millennio.
È nelle città infatti che sempre di più si concentrano non solo le persone ma anche i flussi economici, i consumi di materia ed energia. Con tutto ciò che ne consegue in termini di problemi ambientali (è alle città che è largamente dovuto l’inquinamento e il conseguente riscaldamento globale) ma anche di economie di scala, economie di condivisione di beni e servizi.
Ecco perchè, nonostante la firma dell’Agenda spettasse naturalmente alle nazioni, la vera novità di Quito è stata l’attenzione diffusa che l’incontro è riuscito a suscitare, attestata dalla registrazione alla conferenza di ben 50.000 persone. Tra queste 500 delegazioni di città provenienti da tutto il pianeta e 200 sindaci. Lo stesso Joan Clos, attuale direttore del programma UN-Habitat, è stato per quasi dieci anni sindaco di Barcellona.

In questo contesto è avvenuto lo scontro sul concetto di diritto alla città, risolto dal Segretariato con l’inserimento dell’espressione ma con l’omissione di qualsiasi denuncia tanto delle gated communities quanto delle espulsioni forzate, spesso praticate in questi anni su larga scala. Espulsioni è il titolo dell’ultimo libro di Saskia Sassen, a Quito insieme a Richard Sennet e Richard Burdett protagonisti di uno dei tanti eventi e tavoli di riflessione paralleli o dichiaratamente alternativi rispetto ai lavori di Habitat.
Certamente il tema dell’elaborazione di nuove forme di diritto di proprietà, differenti dalla proprietà privata, così come di nuove economie, circolari e inclusive, resta un tema di fondo che lega in un nodo inestricabile economia, politica e città. La dichiarazione di Quito proclama sottovoce un nuovo diritto. In un mondo in cui un miliardo di persone vive ancora in baraccopoli e rifugi temporanei, non possiamo non considerarlo un passo avanti.