Il fenomeno Serpentine si avvia ormai verso la maggiore età, ed è lecito pensare che i promotori dell’iniziativa si domandino quale sarà la prossima tappa
Non è chiaro se l’intenzione sia di sperimentare un materiale nuovo, o una tecnica costruttiva, o di elaborare una configurazione spaziale particolarmente complessa
È legittimo chiedersi se la giocosità del padiglione non sia solo una declinazione dell’architettura del controllo per l’era dell’immediato e dell’effimero
Lo hanno dichiarato esplicitamente i progettisti: il padiglione di quest’anno è pensato per il popolo di Instagram
Il padiglione 2015 dichiara, nella maniera forse più esplicita nella storia dell’iniziativa lanciata dalla Serpentine, di essere rivolto a un’audience molto più ampia rispetto agli esperti di architettura. Architetti praticanti, accademici, critici, e il popolo di studenti che ogni anno vi si reca in pellegrinaggio sono, infatti, solo marginali destinatari di un’iniziativa che cerca di catturare lo spirito del proprio tempo in cui il pubblico – in buona parte grazie al potere di opinione apparentemente illimitato offerto dai nuovi social media – si fa anche committente.
È con questa committenza diffusa e invisibile, più che con quella concreta dei curatori e dei finanziatori, che il padiglione si confronta, sfatando così un mito associato all’architettura effimera delle Expo, fiere, e così via, che la vede come il paradiso dell’architetto, ovvero l’opportunità di realizzare le proprie ambizioni nella confluenza tra sperimentazioni formali e tecnologiche, in condizioni astratte dalle contingenze della realtà; giovandosi, cioè, di un rilassamento dei meccanismi pesanti che governano l’architettura “vera”. Su questo aspetto, José Selgas è stato esplicito, puntualizzando come non si sia trattato affatto di una commessa con carta bianca.