Comunità chiuse

Da Atlanta allo stato brasiliano di Acre, modelli di comunità autonome in epoca postliberista.

Tra le aree residenziali più ricche intorno ad Atlanta c'è una cittadina che si chiama Sandy Springs. Nel 2005 i cittadini di Sandy Springs votarono la separazione dall'amministrazione locale che fornisce i servizi municipali all'area metropolitana di Atlanta, diventando completamente autonomi e affidando la maggior parte dei servizi amministrativi che li riguardano al gruppo multinazionale CH2M HILL, una grande società statunitense che prende in appalto lavori di ingegneria, edilizia e gestione di progetti con clienti come il ministero delle Difesa. Negli anni recenti numerose analoghe "città in appalto" si sono moltiplicate in quelle che spesso sono prospere aree urbane e suburbane degli Stati Uniti. Una comunità benestante ha motivi decisamente ovvii per separarsi dall'amministrazione pubblica, ma è di particolare interesse che il desiderio di farlo si esprima a volte con lo stesso linguaggio utopico di una comune hippie. In un'intervista rilasciata ad Avi Lewis per Al Jazeera, il consigliere comunale di Sandy Springs Rusty Paul (che è anche ex senatore dello Stato della Georgia e presidente del Partito Repubblicano della Georgia) dichiara: "Ci si è presentata un'occasione insolita: potevamo fare tabula rasa e ricreare i modi di operare e i meccanismi dell'amministrazione municipale." (1) Pare un'idea decisamente affascinante: ricominciare tutto da capo, una vera rivoluzione! In realtà però Sandy Springs era semplicemente abbastanza ricca da aggirare un'amministrazione statale che comunque favoriva le iniziative congiunte tra pubblico e privato. In fin dei conti questa forma di autogoverno ha più a che fare con la riduzione delle imposte comunali e con la marginalizzazione dei problemi dei poveri (o più precisamente dei non ricchissimi) ed è quanto mai lontana da una comune hippie. Ma per qualche strana coincidenza si ritrova a scimmiottarne il linguaggio.

Nel disastro finanziario globale, e con le proteste che si accendono in tutta l'Europa contro le punitive misure d'austerità, appare molto più facile che negli anni passati formulare una critica generalizzata del capitalismo liberista. Forse siamo alla glasnost del neoliberismo, ma non ne sono tanto sicuro. Bisogna vedere a che cosa approdano le proteste, perché il loro obiettivo concreto è l'inedita affermazione, crescente ed esplicita, di un'ideologia che prima, e specialmente nel decennio trascorso, mascherava la crescente ingiustizia sociale con una serie di sottili inversioni, come nel caso della "liberazione" di Sandy Springs.

Nel frattempo la scorsa estate il primo ministro britannico David Cameron ha annunciato la sua iniziativa della Big Society, definita in termini impassibilmente rivoluzionari come un'idea di "liberazione: la più grande e più spettacolare ridistribuzione del potere dalle élite del Palazzo all'uomo e alla donna della strada". (2) La Big Society, trascendendo in apparenza il puro liberismo per divenire una specie di movimento popolare di base fatto di individui dotati di potere di autogoverno, sembra una specie di volontaria decolonizzazione della Gran Bretagna a opera del suo stesso governo, che promette maggiore autonomia alle amministrazioni locali (o "comunità d'avanguardia") per governarsi come pare loro meglio, magari anche con il finanziamento di una "Banca della Big Society". Ma la Big Society è stata essenzialmente il preludio del sistematico smantellamento dei servizi sociali britannici, come ritiene l'attuale segretario laburista Ed Milliband: un modo per "mascherare cinicamente la rinuncia all'assistenza con i discorsi sulla rigenerazione della cittadinanza". (3) E che denominazione curiosa, se si pensa che Margaret Thatcher, che ha preceduto Cameron come leader del Partito Conservatore, proclamava nel 1987 che questa realtà dal punto di vista sociale era inesistente.

La Big Society appare come il disperato tentativo di spingere al limite estremo la possibile, illusoria confusione tra liberalismo, libertà e liberismo, e il livello di resistenza contro cui si è scontrata è il segno che la gente non intende investire in quest'ultimo. Ma mentre la proposta della Big Society nasconde la brutale dismissione dei bisogni sociali sotto insidiose inversioni retoriche di autogestione utopistiche e populiste, nel caso di Sandy Springs c'è una sottile differenza, perché la sua dismissione sociale scatta semplicemente nel momento in cui le generali speranze di autonomia sono in grado di realizzarsi nella misura dei propositi dei singoli, per corporativi ed egoriferiti che siano. E in ogni caso resta un punto in cui la comune hippie e la comunità chiusa manifestano un parallelismo strutturale, il che pare indicare una possibilità di superare la logica neoliberista, dal momento che anch'essa può essere ribaltata contro se stessa.

L'artista Marjetica Potrc suggerisce che la comunità chiusa possa fornire un utile modello "postliberista" secondo il quale certe comunità marginali (come quella degli indigeni Croa del remoto Stato brasiliano di Acre) possono adottare a proprio vantaggio forme di privatizzazione, limitando l'accesso a risorse naturali (per esempio la gomma) che altrimenti sarebbero sfruttate da grandi gruppi industriali: "Dopo tutto la comunità chiusa oggi è uno dei modelli di vita più popolari e ambiti: l'entità residenziale di piccola scala. Ma a differenza delle comunità chiuse, che rappresentano strategie statiche di rifugio e di autosegregazione, i nuovi territori di Acre sono dinamici e proattivi: si protendono verso gli altri". (4) In effetti ciò significa che comunità più economicamente vulnerabili possono utilizzare la stessa forma di visione a senso unico rivendicata (o comprata) dai ricchi per governare una microeconomia proprietaria fatta di interessi condivisi. Il modello della comunità chiusa, proprio come la comune hippie o la società segreta, consente ai beni e alle persone di uscire, ma controlla attentamente che cosa (e chi) entra. Una "sfera privata" con questa prospettiva attirerebbe più o meno chiunque, ricco o povero, vivesse sotto un regime autoritario, cioè sotto qualcosa da cui non si allontana mai abbastanza le distanze. Mi viene da pensare a un paio di posti in Medio Oriente, per esempio. Ma purtroppo manca in tutto questo contesto il concetto fondamentale che la ricchezza dovrebbe, o perfino potrebbe, essere distribuita equamente. Come domanda Potrc: "Funzionerebbe davvero senza il sostegno statale?".

(1) Cfr. english.aljazeera.net/programmes
(2) Cfr. www.guardian.co.uk/politics
(3) Ibid.
(4) Cfr. Marjetica Potrc, "New Territories in Acre and Why They Matter," e-flux journal no. 0 (November 2008), e-flux.com/journal/view/10


Brian Kuan Wood è saggista e giornalista. Vive a New York e recentemente ha curato il volume Selected Maria Lind Writing, pubblicato dalla Sternberg Press, ed è redattore di e-flux journal.

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