LʼAntica Università dei Minusieri rappresenta una delle realtà storicamente più radicate nel territorio: fondata a Torino nel 1636, da quattro secoli è attiva nel tramandare i segreti della più sofisticata e certosina lavorazione del legno da parte di maestranze appassionate e instancabili, le cui doti tecniche non smettono di affasciarci. Legnaioli, ebanisti, carrozzai – vocaboli appartenenti a un altro tempo – sono coloro che portano avanti oggi questa attività sorprendente fatta di precisione, pazienza, esperienza e lunghe ore di lavoro d’intarsio e levigatura, decorazione. Operae che “propone ad aziende e progettisti una prospettiva inedita sul mondo del design, una prospettiva nella quale le abilità manuali e il prestigio di manufatti in bilico tra artigianato e arte suggeriscono nuove possibilità di azione sul mercato”, dichiara Annalisa Rosso, a cui Bold ha assegnato questa edizione, “ha affidato al singolare approccio alla progettazione di Zaven questo specifico confronto con la memoria artigianale, memoria che sebbene lontana è ancora ricca di suggestioni e aperta a rivisitazioni”. Realizzato in collaborazione con il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale e l’Associazione Scuole Tecniche San Carlo, “Trecentottanta” ci consegna una visione vivace e dinamica di questa antica arte. Enrica e Marco filtrano la storia e il contesto storico dove sono stati chiamati a intervenire, ci raccontano di questa esperienza e del confronto con il presente che più loro appartiene.
Maria Cristina Didero: Leggo nel manifesto della fiera che “il design riflette il proprio tempo. Nella sintesi formale di un oggetto, inevitabilmente si trovano segni e significati che appartengono alla specificità di un’epoca”. In che modo secondo voi il design contemporaneo riflette il nostro tempo?
Enrica Cavarzan: Con gli amici mi è sempre piaciuto indovinare e ricordare le date di canzoni, di mode e di oggetti. Saper collocare nello spazio tempo “un’immagine” del passato è davvero interessante e mi ha sempre aiutato a capire perché ci stiamo muovendo così oggi. Ogni oggetto ci raccontava del designer che l’aveva disegnato, del materiale che lo componeva, in quale paese era stato realizzato. Adesso un telefonino o un vestito sono composti da tanti elementi che convergono da differenti parti del mondo. Gli oggetti ora più che mai riflettono un periodo storico segnato dall’utilizzo di una produttività globalizzata.
Marco Zavagno: sicuramente la velocità del nostro tempo ha influito sulla produzione del design contemporaneo. C’è un’incessante ricerca di novità, e questo ha favorito un cross-over molto interessante, che ha fatto si che il design si sia aperto a nuovi campi di ricerca, come la biologia e le scienze ad esempio, dimostrando come questa disciplina possa diventare un motore fondamentale della nuova economia.
Maria Cristina Didero: La parola minusiere indica una lavorazione del legno nel minuto, nel dettaglio, in contrapposizione alla carpenteria del mastro di grosseria. Quanto il contesto storico in cui nasce un oggetto è in grado di influenzare un progetto?
Zaven: Nel caso dei minusieri tanto, perché la produzione di oggetti, portoni, soffitti, librerie e stanze private all’interno dei palazzi di Torino più belli, si rifaceva allo stile barocco delle corti francesi del ’700. Anche oggi il contesto è molto importante perché legato anche alle tecnologie di produzione che si evolvono molto più rapidamente.
Maria Cristina Didero: Il legno in quanto materiale iconico, ha qualche particolare fascino su di voi?
Zaven: Il legno ha un fascino unico perché per dargli una forma devi lavorare per sottrazione ovvero scoprire la forma che nasconde, come la pietra. Il legno racconta una storia di tempo e geografia, ogni pezzo diventa unico e rivela nella sua lavorazione il suo carattere, la sua forza e unicità.
Maria Cristina Didero: Il tema della manifestazione è “Designing the future”: al netto del progetto torinese, voi in che modo lo state facendo nel quotidiano professionale, in che modo disegnate il vostro futuro professionale?
Zaven: Passo passo, facendo! Attraverso un lavoro di studio costante fatto di ricerche e di esperienze, di tentativi e di successi, di pratica e di coraggio.
Maria Cristina Didero: Mi date la vostra definizione di design e la vostra definizione di decorazione?
Enrica Cavarzan: Mi piace pensare al design come ad un’attitudine, ad un mezzo che definisce forma, funzione e decorazione.
Marco Zavagno: Il design è tutto, ogni cosa pensata e realizzata è design, ha un significato vastissimo, non confinato nel mondo del prodotto ma che estendo anche alla progettazione di un’esperienza. Mi piacciono i progetti dove gli elementi decorativi sono funzionali all’uso.
Maria Cristina Didero: Come si deve porre oggi un designer in merito alla responsabilità nei confronti della storia, o di una grande eredità? E più precisamente, come lo fate voi? – Nel caso in cui ciò avvenga.
Zaven: Nella nostra pratica la storia è molto importante, ci serve per capire dove siamo ora, per formare una coscienza e ci permette di andare oltre. La ricerca di quello che già è stato fatto, ovvero scoprire come un tema è già stato trattato, è il punto di partenza per immaginare nuovi scenari, nuove applicazioni e soluzioni.
Maria Cristina Didero: Per voi il passato – la storia del design – è un punto di partenza, una fonte di ispirazione? Mi spiego meglio: le influenze storiche (notoriamente quelle italiane di straordinaria importanza a livello internazionale) sono propedeutiche a fare di più e meglio o voi non vi confrontate con il passato e partite esclusivamente dal presente?
Zaven: Cerchiamo delle fondamenta su cui costruire i nostri progetti, gli spunti sono vari, molto spesso derivano dall’arte, dalla moda, dall’architettura, abbiamo bisogno di suggerimenti del passato per costruire il presente e un prossimo domani.
Maria Cristina Didero: Avete dei maestri? Ci sono personaggi di particolare rilevanza per voi?
Enrica Cavarzan: Si, io ho tante persone che prendo come riferimento; provo a darti qualche nome tra quelli che mi hanno incuriosito e spinto a fare questo lavoro: Josef e Anni Albers, Franz West, Vivienne Westwood, Carlo Scarpa.
Marco Zavagno: Più che maestri, tanti innamoramenti, alcuni duraturi altri effimeri. Il problema è che un vero maestro dovresti conoscerlo e frequentarlo, odiarlo e amarlo, un maestro è una persona con un corpo e un carattere, qualcuno con cui compi dei viaggi e condividi esperienze. Ma senza dubbio Ettore Sottsass, Donald Judd o Spike Jonze sono dei fari molto lontani tra loro, ma che continuo a guardare con estremo interesse.
Maria Cristina Didero: In qualità di curatori ma anche di autori di pezzi, quali sono state le prime influenze per lo sviluppo di questo vostro lavoro a Operae?
Zaven: Non definirei la nostra una curatela nella classica accezione del termine, ma piuttosto un progetto in cui abbiamo lavorato con diversi linguaggi. La cosa più importante era creare un racconto, ovvero introdurre a un pubblico contemporaneo una realtà conosciuta prevalentemente dagli storici del territorio. Abbiamo costruito la narrazione su tre livelli, ovvero la storicità (i documenti scritti), l’unicità (i dettagli degli oggetti) e la tecnologia (le tomografie dei mobili). In primis siamo stati influenzati da alcune eccellenze torinesi, il titolo ci è stato suggerito da Alighiero Boetti, la geometria dei mobili, probabilmente da Giacomo Balla, l’attenzione per i dettagli da Pietro Piffetti.
Maria Cristina Didero: Quanto e come l’aderenza alla propria epoca è un risorsa determinante per un designer oggi? Voglio dire: voi progettereste mai come in passato, cioè con tecniche desuete?
Zaven: La vera sfida è utilizzare tecniche passate per realizzare oggetti che abbiano un significato presente. Sicuramente le tecniche dove la componente umana è determinante sono quelle più entusiasmanti, ci riferiamo alla lavorazione della ceramica al tornio o la soffiatura a bocca del vetro, ovvero dove il manufatto finale è sempre uguale ma sempre unicamente diverso.
Maria Cristina Didero: Quanto il senso dell’identità, della provenienza influisce nel vostro lavoro?
Zaven: Tantissimo, crediamo molto nell’idea di linguaggio perché è qualcosa che si evolve continuamente, ma ha sempre delle radici molto forti; ciò che progettiamo è frutto di un insieme di forze e fattori, storici e geografici. Viaggiamo molto e questo ci permette di conoscere culture e storie diverse, ci piace l’idea di poter elaborare e migliorare il nostro linguaggio, di aggiungervi nuovi vocaboli, ma siamo convinti che la sua radice italiana resti sempre ben piantata e riconoscibile.
Maria Cristina Didero: Nello specifico del progetto torinese: mi piace l’idea di aver sostituito i tradizionali intarsi in osso, per esempio, con elementi stampati. Quanto e come passato e presente possono convivere?
Zaven: È importante che convivano, perché la nostra esistenza è basata sull’evoluzione. Se non siamo in grado di riconoscere gli errori ma anche i meriti del passato non saremo in grado di progettare un presente e un futuro sostenibili.
TRECENTOTTANTA. Appunti sull’Antica Università dei Minusieri
Progetto: Zaven
Direzione e coordinamento di progetto: Sara Fortunati / Paola Zini
Produzione oggetti in mostra: GP di Pasquale Stefano, Pavan Arredamenti, PMF di Pedrone Franco
Con la collaborazione di: Associazione Scuole Tecniche San Carlo, Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale