Domitilla Dardi: La tua prima formazione non parte dal design di prodotto, giusto?
Constance Guisset: No, i miei primi studi sono stati in Gestione e Scienze Politiche (Management and Politics). Poi ho cominciato a lavorare prima per una compagnia in Giappone e poi per una Galleria di Arte Contemporanea in Francia. Ma, sebbene fossi vicina al mondo dell’arte, avevo bisogno di qualcosa di “creativo”. Sin da allora ho capito che dovevo lavorare con le mie mani.
Domitilla Dardi: Qual è secondo te la differenza tra essere un’artista o una designer?
Constance Guisset: Me lo sto domandando ancora io per prima! Già, perché ho una sorta di percorso di sviluppo artistico anche nel mio lavoro di designer. Per esempio, quando sono in vacanza non pratico mai il design, ma mi dedico a sculture e disegni. Al tempo stesso mi rendo conto che il design si adatta meglio al mio bisogno di tecnologia, perché sono una persona sostanzialmente tecnica e questo è un aspetto che amo profondamente del mio lavoro. Quindi è la combinazione di razionalità e creatività quella che più mi si addice.
Domitilla Dardi: Forse dipende anche dal fatto che nel design hai una committenza, un cliente?
Constance Guisset: Sì, anche se in realtà dipende dalle occasioni, è più una questione di energia. A volte è più facile avere una vera committenza, con dei chiari limiti, mentre altre volte preferisco essere completamente libera. Per esempio quando in vacanza mi dedico alle mie sculture, lo faccio esclusivamente per me stessa, per nutrire la mia anima. Lì non sto rispondendo a una richiesta, ma solo a miei quesiti personali, a intime esigenze. A volte sono abbastanza libera anche nel design perché di base ho buone relazioni con i miei clienti. Tutto il mio lavoro in realtà è un mix di fantasia e classicismo.
Domitilla Dardi: È vero, guardando il tuo lavoro a volte sembra un po’ di ritrovarsi in una sorta di Alice nel paese delle meraviglie.
Constance Guisset: Penso che il mio progetto sia molto legato ad aspetti tecnici quali l’ergonomia, sebbene al tempo stesso sia anche proiettato verso l’immaginazione. Ogni tanto mi piace dare una sterzata, mentre sono su un cammino rettilineo. Quello che ho sempre cercato di creare sono cose che fossero davvero utili, ma con un margine di libertà al loro interno.
Domitilla Dardi: Quando progetti pensi alla relazione tra gli oggetti e lo spazio?
Constance Guisset: Per me è molto importante dare ai miei oggetti un movimento nello spazio.
Domitilla Dardi: Di solito inizi facendo degli schizzi dei tuoi progetti?
Constance Guisset: Di solito sì, ma è difficile trovare una vera sequenza nel processo di ideazione e sviluppo di un progetto. Dipende dalle condizioni specifiche, non c’è una regola assoluta. In ogni caso molti dei miei progetti iniziano da un prototipo realizzato a mano. Preferisco iniziare a dar forma manualmente alle mie idee; non sono una fanatica del bel disegno e non dedico molto della mia attività a questo. Per esempio per i Bouroullec fare schizzi e acquarelli è davvero parte centrale del loro lavoro. Io, invece, se uso uno schizzo è solo all’inizio per fissare le prime idee e poi passo subito a dare consistenza tridimensionale con un modello. Sono più plastica, in questo senso. E in generale non sono una progettista molto “ortodossa” perché amo la fantasia.
Domitilla Dardi: Infatti a volte sembri più italiana che francese! Intendo dire che questa caratteristica di porre un pizzico di surreale nel progetto del reale è una peculiarità molto italiana.
Constance Guisset: Sono d’accordo, infatti mi sento molto vicina al design italiano. Io vivo analizzando oggetti, cerco di comprenderne il funzionamento. Ma alla fine la cosa più importante per me è il loro impatto visivo. Non mi interessano i millimetri, mi interessa che le cose abbiano un senso e che questo sia visibile. Per me è altrettanto importante che ogni creazione sia collegata a un aspetto profondamente umano; non voglio vivere in un mondo di strumenti e attrezzature perfettamente rispondenti a una funzione. Mi interessa l’idea che è dietro le cose, l’aspetto umano del creare, perché è questo che ci rende differenti dagli animali. Credo che le cose possano essere migliori se conservano un certo spirito al loro interno.
Domitilla Dardi: E l’aspetto politico e sociale delle cose t’interessa?
Constance Guisset: Di recente, ho preparato i contenuti per la mia monografia e stavo individuando alcune parole chiave. Alcune di queste sembrano collegate ad aspetti più formali, ma tra loro per me rientra anche la parola “politica”. Per esempio, quando ho progettato la Suite per il Novohotel c’era qualcosa di profondamente politico per me nel cercare di progettare una soluzione ergonomica che fosse al tempo stesso in grado di accogliere il corpo. Sono più interessata all’idea di accoglienza in generale che non a disegnare una poltrona. Dare il benvenuto al corpo quando si siede, farlo sentire bene su un supporto, è una questione di empatia. Ed è anche in relazione con l’eleganza e il rispetto. Forse non è letteralmente “politico”, ma ha a che fare col trovare la giusta distanza fra le cose. E se sei rispettoso verso il tuo pubblico, il tuo cliente, i tuoi collaboratori, allora lo sarai nei confronti dell’ambiente. Penso che questo sia l’inizio di un cambiamento nella nostra società.
Domitilla Dardi: E nelle relazioni sociali come si può intervenire col progetto?
Constance Guisset: Sono molto attiva sulle questioni di genere, anche se subito si rischia di essere tacciate di femminismo. Non credo sia necessario essere aggressive per difendere un principio femminista, per esempio. C’è da domandarsi perché le donne siano più del 50% dell’umanità ma solo il 10% dei lavoratori del mondo. E perché la gente dice che il mio lavoro è “femminile”, mentre se fossi un uomo nessuno lo commenterebbe come “maschile”? Porsi domande anche attraverso gli oggetti è molto importante. L’ultima lampada che ho progettato, Loop, è molto acquatica e animale, ma non la definiresti mai “maschile” o “femminile”; il mio lavoro sta sempre nel mezzo.
Domitilla Dardi: Come ti poni rispetto al colore?
Constance Guisset: Di solito quando progetto lo faccio in nero, senza pensare al colore. I miei primi schizzi riguardano la forma, il movimento, l’eleganza. Sono alla ricerca dell’armonia del movimento dei corpi nello spazio. Il mio primo interesse è verso il punto limite tra astrazione e figurazione, fantasia e realtà. È come se fossi in ascolto di una sorta di presenza nell’oggetto, che a volte è geometrica e altre un po’ più figurativa. Una scatola nera è senz’altro molto interessante e razionale nel suo rigore, ma non vorrei viverci dentro. Penso che il design riguardi molto quello di cui le persone hanno bisogno per vivere o meno. Non credo di essere una persona delicata nel senso di fragile, ma per me è importante difendere la delicatezza in un mondo così duro.
Domitilla Dardi: Cosa pensi delle edizioni limitate e del prodotto artigianale?
Constance Guisset: È un modo completamente diverso di lavorare, ma non puoi limitare la tua creatività a un singolo campo di applicazione. Per esempio, quando lavoro per le industrie so che il mio progetto deve essere abbordabile economicamente. Quando ho realizzato la scrivania per La Redoute sapevo che il basso costo finale era un requisito indispensabile, ma ci ho messo la stessa energia e passione per il dettaglio che dedico a un progetto artigianale. Ma se una forma non può essere realizzata in maniera industriale, è importante sapere che esiste un’alternativa.
Domitilla Dardi: E come cambia la relazione col pubblico tra prodotto industriale e artigianale per te?
Constance Guisset: Una delle cose che amo di più è quando vedo la Vertigo apprezzata da persone che non hanno nulla a vedere col mondo del design. C’è qualcosa di molto diretto e intuitivo nella sua forma. Così diventa un oggetto democratico: è per tutti. Il mio senso etico va verso questo tipo di oggetti. Penso sempre che chi acquista un oggetto non sia interessato a me, alla mia storia, alle mie idee. Giustamente vogliono un tavolo o una lampada, non altro. Per questo sono convinta che gli oggetti debbano vivere da soli, a prescindere da chi li ha creati.
Domitilla Dardi: Sei critica verso qualche aspetto del design?
Constance Guisset: Essere un progettista vuol dire sempre essere critico verso ciò che esiste. Apprezzo ogni cosa che possa essere progettata, non ho pregiudizi sulle tipologie e detesto i designer che ne hanno. Così come non amo i progetti che seguono una tendenza; a me piace stare decisamente al di fuori dalle mode. Un progettista è un sismografo della società in cui vive: in questo senso dovrebbe captarne le tendenze, non esserne soggiogato perché è di moda. Ma quello che trovo davvero difficile nel mondo del design è vivere del proprio lavoro. Troppo spesso non si presta la giusta attenzione all’idea e alla proprietà intellettuale. La richiesta è sempre più verso un progetto economico. Così succede che puoi trovare sul mercato sedie al costo di 15 o addirittura 5 euro, ma davvero mi chiedo che senso questo possa avere. Non è un messaggio responsabile. Chiunque sa che, lavorando in modo corretto, non è possibile ottenere quel prezzo finale. Questo uccide la creatività e non rende il pubblico minimamente consapevole.
Domitilla Dardi: Ti riferisci anche al mondo delle copie?
Constance Guisset: Mi riferisco soprattutto al fatto che il 90% degli uccelli del pianeta pare abbiano ingerito plastica nella loro vita e, molto probabilmente, è capitato anche a me. Allora che senso ha che una sedia in plastica costi 5 euro? Stimo le aziende che fanno un prodotto conveniente e accessibile ai più, ma 5 euro non è un prezzo accettabile. Se gli stessi produttori ottenessero un prezzo anche doppio, gestendo responsabilmente la produzione, avrebbero lo stesso un grande profitto. E magari le creature viventi non sarebbero condannate a ingerire plastica.
fino al 3 luglio 2016
Constance Guisset: Studio Design
Château de Courcelles
Montigny-les-Metz