Lisa Ponti, nata a Milano nel 1922, disegna e scrive. Il nostro primo incontro con lei è da studenti, invitata da Corrado Levi, al corso di composizione architettonica al Politecnico di Milano, a parlare dei suoi disegni in formato A4. Figlia di Gio Ponti, collabora con lui dal 1940 al 1979, alla redazione di Stile e Domus, e lo assiste agli affreschi del Palazzo del Bo, Università di Padova, nel 1940. Pubblica un libro di poesie Gio Ponti agli amici, nel 1941, e un libro di favole L'armadio magico, nel 1946. Dedica uno studio all'architettura di Gio Ponti, pubblicato nel 1990 da Leonardo edizioni, con il titolo Gio Ponti, l'Opera. Fino al 1986, si occupa delle pagine dedicate all'arte sulla rivista Domus e scrive come freelance a proposito di arte, architettura e design per diverse testate. Fra le mostre principali: Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma, Palazzina Azzurra a San Benedetto del Tronto, Galleria Gangurin a Reykjavik, Galleria Victor Saavedra a Barcellona. Le ultime personali sono alla Galleria Milano di Carla Pellegrini e 10 anni dopo alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, nel giugno 2011. Espone regolarmente con gli artisti di portofranco.
"Basta non fare quasi niente", una tua frase, è la dichiarazione di un metodo?
In un certo senso sì. La mia fortuna è negli incontri. Tantissimi. Incontri che si trasformano in favole per bambini, in poesie, in racconti di viaggio, in articoli, e ora in disegni.
Nel catalogo della tua ultima mostra personale con Franco Toselli, lo scorso anno, scrivi che l'infanzia è l'unica età che tende all'infinito.
90 anni sono ancora una sorpresa quotidiana. È un semi-confine. È il cambiamento di ritmo con cui si guarda al passato. A una storia che non è solo la mia.
Errori, doni… Cosa prevale?
I primi passi nel '900 sono nell'infanzia allegra e spensierata con mia sorella Giovanna. Col tempo le sorelle diventano gemelle.
La casa di via Randaccio, dove sono quasi nata, è stata importante dagli Anni Sessanta, quando divenne luogo di incontro per molti artisti, da Alighiero Boetti a Vincenzo Agnetti, da Mario Nigro a Mario Merz, da Gianni Colombo a Nanda Vigo, come ha raccontato Elena Pontiggia nella mostra Il mondo di Lisa Ponti.
In via Randaccio, hai ripetuto a tuo modo gli incontri che i tuoi genitori improvvisavano nella loro casa di via Brin negli Anni Trenta?
A Casa Laporte (in via Brin 12, ndr), progettata da Gio Ponti nel 1931, De Chirico, Sironi, Campigli, Persico, Sinisgalli e Cantatore erano tra gli ospiti abituali. Niente "sala da pranzo" in via Brin, ma una grande tavola rotonda e bassa, su cui dopo cena si appoggiavano libri, libri e libri, e quando c'era De Chirico un piattone di Mont Blanc.
Sono poesie brevi, composte in solitudine, afferrate da Gio Ponti e pubblicate per gli amici, insieme a disegni di Martini, Morandi, De Pisis, Longanesi…
Dopo la guerra, nel 1946, esce L'armadio magico, una raccolta di favole illustrate da Ettore Calvelli, per Edit – Edizioni Italiane.
Allora inventavo favole per intrattenere i miei fratelli più piccoli, Tita e Giulio. Per noi la guerra non è stata pericolo di vita, quanto disagio, freddo e scarsità di cibo. Trasferiti a Civate, in quell'ex-roccolo che abitavamo. Le favole iniziavano con uno spunto qualsiasi, il tetto, il cielo, gli animali, duravano anche tutto il giorno e il giorno successivo. Poi ho deciso di scriverle.
In quel periodo avevi già iniziato l'avventura editoriale di Stile.
Alla fine della guerra Stile era un fascicolo povero, stampato in bianco nero e rosso, edito da Garzanti, con "pensieri" di Le Corbusier, Carlo Mollino, Leonardo Sinisgalli, poesie di Nicola Ghiglione… E progetti per una costruzione edilizia dell'Italia economica e intelligente.
Domus era per noi redattori una forma di "disobbedienza mensile", che Gianni Mazzocchi, editore gentiluomo, apprezzò
Alla Thoreau, Domus era per noi redattori una forma di "disobbedienza mensile", che Gianni Mazzocchi, editore gentiluomo, apprezzò.
Domus si distingueva non solo per l'apertura al mondo dell'arte e dell'artigianato, ma anche per il ritmo della narrazione, scandito dagli inserti delle strisce a colori, dalle carte diverse, per una rivista pensata, come tu spesso ricordi nelle parole di Gio Ponti, come "rivista d'arte che sogna di essere un'opera d'arte attraverso i suoi autori".
Le pagine da rotocalco erano pastose, adatte a restituire neri profondi, di velluto, che esaltano le linee dell'architettura. La carta tipografica celestina e ruvida segnalava il cambio di argomento. Le strisce colorate, forse un'idea mia, inserivano un filmino a colori, su mezza pagina per non interrompere il discorso.
In cosa consisteva il "metodo Domus"?
Lo chiamo "MM, Meccanismo Magico", perché era una collaborazione mondiale che avveniva "per affinità". La rivista era fatta, senza intermediari, da architetti, designer e artisti, che segnalavano e documentavano spontaneamente per immagini opere di altri autori. Il bello era che fosse Charles Eames a inviarci le foto del TWA di Saarinen, il giorno stesso dell'apertura, a nostra insaputa.
Mulas lavorava in autonomia. Casali fotografava in funzione della pagina, viste frontali e dettagli fuori scala che reggevano il grande formato. Se l'architettura non gli piaceva, non nasceva la fotografia. Sottsass, con la sua Nikon, era autore di un' immagine subito riconoscibile, senza fondo e senza peso. Con le immagini e attraverso il contatto diretto con gli autori, Domus viaggiava al nostro posto.
Eppure tu viaggiavi. In Stile e in Domus i tuoi contributi hanno spesso la forma del reportage, di parole e immagini. Prendiamo ad esempio i numeri di Domus di cinquanta anni fa. 1962 e 1963. Storie di luoghi lontani, in Lapponia da Tapio Wirkkala e negli USA dagli Eames.
Nelle pagine di Domus, Tapio Wirkkala ci ha guidato alla scoperta del design e dell'artigianato lappone e finlandese. L'ospitalità di Tapio e di sua moglie Rut Bryk, che disegnava tessuti, nella loro casa in Lapponia, è stata per me la scoperta di un modo diverso e nuovo di abitare immersi nella natura. I viaggi compiuti insieme in Finlandia, hanno favorito l'incontro con designer, artigiani e artisti finlandesi che a quel tempo erano quasi misconosciuti all'estero.
Come erano organizzati vita quotidiana e lavoro dagli Eames?
Senza distinzione e senza intervallo. Alla Case Study House ho assorbito il loro modo di "lavorare non lavorando", con la mente sempre in azione e la Rolley al collo. È stata la rivelazione di una vita-lavoro senza principio e senza fine. Per me la California è stata un vero shock (New York era pur sempre Milano-Italia-Europa). In quel periodo gli Eames stavano lavorando alla mostra sulla matematica. "Lavorando" alla loro maniera: un continuo scattare di foto e di filmini interrotto dai pic-nic sulla spiaggia, disturbati solo dai gabbiani.
Le pagine dell'arte in Domus sono nate, nel tempo, dagli incontri con Pierre Restany, Gregory Battcock, Franco Toselli.
Non "inviati di Domus", ma inviati da se stessi. Battckock, che a New York impersonò la rivolta all'interno delle università, portò la protesta intellettuale in forma diretta. A Restany piaceva essere nel cuore del mondo e nelle periferie estreme. Combatteva le sue battaglie nei punti caldi come Milano, Parigi, New York, ma faceva conoscere anche le parti più sommerse dell'Europa. Ha intuito e trasmesso a noi la novità dell'architettura "povera e araba" dei giovani talenti israeliani. Pierre Restany portava una visione da viaggiatore, spingendosi in zone allora estreme e difficili da penetrare, come la Cina e il Rio delle Amazzoni.
Gli interventi millimetrici di Franco Toselli hanno fatto cambiare in modo impercettibilmente radicale, il modo di portare l'arte in Domus. Così accadde che Mario Merz scrivesse per Domus, che De Dominicis "scomparisse" in copertina e che tra le pagine della rivista Agnetti precipitasse nella "lettera perduta" a New York.
Da molti anni ti dedichi al disegno e la tua prima mostra personale d'arte l'hai fatta alla Galleria Toselli a settant'anni.
E il formato A4, l'ho adottato da allora in avanti. "Formato universale così il disegno sa dove atterrare". L'A4 è mettersi nei limiti che ti invogliano, "è un duello fra disegno e acquarello".
Un pensiero ai lettori
Fare accadere e lasciare cadere.