Sandra Pfeifer: Come ha conosciuto Buckminster Fuller?
Shoji Sadao: Nel 1952 venne invitato a tenere un corso di critica alla Cornell University, dove studiavo. Ci fece costruire un globo terrestre in miniatura sulla cui superficie sferica mi fece disegnare le masse continentali come le conoscevo dalla cartografia. Poi Bucky ebbe bisogno di un aiuto per la sua Dymaxion Air-Ocean World Map. Fu l'inizio della nostra specifica collaborazione. Era per natura una mia figura di riferimento e mi rispondeva con entusiasmo. Stringemmo un rapporto di lavoro molto stretto.
Lavorare con Bucky pareva un'occasione interessante, per quanto ricevesse più richieste di informazioni che incarichi. Poco dopo fu invitato a partecipare al concorso per il padiglione statunitense dell'Expo '67. E allora mettemmo su in fretta e furia uno studio, il Fuller & Sadao Inc., e facemmo squadra. Pensammo che dopo ci avrebbero offerto progetti di ogni genere, ma si concretizzò solo quello di un piccolo centro religioso alla Southern Illinois University. Nel frattempo mi contattò Isamu, perché era costretto a rifiutare degli incarichi.
Lei ha contribuito anche alla produzione delle Akari, le lampade di Noguchi. Si sarebbe mai immaginato che diventassero un classico?
Per Isamu non c'era confine tra arte pura e arte applicata. Akari è l'espressione della sua ricerca sui materiali e della sua esigenza di incidere sul modo di vivere. L'idea originaria di Isamu era quella di istituire una fondazione con gli introiti dei diritti d'autore. L'Akari per lui era così importante che ignorò il consiglio degli amici di non esporla alla Biennale di Venezia del 1968 perché sarebbe sembrata troppo commerciale. E così non vinse il Gran Premio.
Uno per l'altro erano da vedere: Bucky, bostoniano del New England con tutti i suoi rapporti sociali, e Isamu, appena tornato da Parigi dopo aver lavorato per Brancusi. Fecero amicizia più sul piano personale che su quello intellettuale. Quando, nel 1929, Isamu conobbe Bucky fu, come me, ipnotizzato dal modo in cui illustrava le sue grandiose idee. Fu così conquistato dai discorsi di Bucky sull'alluminio e sulla luce che dipinse completamente il suo studio color argento.
Chi aveva un influsso predominante sull'altro?
Bucky (più anziano di nove anni) era una specie di mentore per Isamu, che per i primi tre anni lo chiamava "signor Fuller". Credo che Isamu parlasse all'artista che c'era in Bucky. Il quale a sua volta per l'altro rappresentava l'America, con i suoi continui discorsi sul modo in cui la tecnologia e i nuovi materiali avrebbero cambiato il mondo. Isamu non conosceva confini nell'interpretazione dell'arte e dello spazio. Così insieme si combinavano bene. Isamu trasse parecchia ispirazione da Bucky, ma non penso più di tanto. Bucky, con la sua testa, era una persona di grande autorità.
L'occasione in cui ci andarono più vicini fu il Martha Graham Theatre. Benché sia stato un peccato, ero in certo qual modo contento che non si arrivasse a una collaborazione, perché certamente non sarebbero stati d'accordo su varie cose, il che mi avrebbe messo in una posizione molto difficile. Il progetto che integrò gli studi di geometria di Bucky con la loro reinterpretazione creativa da parte di Isamu è il Challenger Memorial di Miami, per il quale fui responsabile del progetto architettonico.
Nel suo libro si rammarica di non aver parlato abbastanza con loro. Perché?
Isamu, soprattutto, era una persona molto riservata. Non abbiamo avuto molte occasioni di discutere di arte e della sua opera dal punto di vista filosofico. Bucky dal canto suo non era solo una persona trasparente, razionale. Nella prima gioventù aveva abbozzato un'interpretazione mistica del posto che l'uomo occupa sulla Terra. Mi sarebbe piaciuto conoscere meglio questo aspetto di Bucky. Ma io sono un tipo schivo, si può dire, e preferii stare in secondo piano.