Jeffrey Lew e la moglie Rachel avevano acquistato l'edificio al 112 di Greene Street alla fine degli anni Sessanta. Avevano affittato pressoché l'interno edificio ad artisti. Nel 1970 – dopo che un'attività di raccolta di indumenti usati se ne fu andata, lasciando liberi il piano terra e lo scantinato – cercarono un modo per occupare lo spazio. Law, ai quei tempi, era molto attivo tra gli artisti di Soho, che costituivano una comunità molto vivace. Questi artisti esprimevano il bisogno di un luogo diverso dal tradizionale spazio immacolato delle gallerie d'arte che si trovavano in Uptown, considerate troppo commerciali. Per di più molti di loro erano assorbiti in opere del tutto inadatte agli spazi commerciali del tempo; avevano bisogno di uno spazio dove lavorare liberamente senza essere costretti a non "contaminare" l'ambiente per lasciarlo nelle condizioni originarie.
All'inizio, Lew aprì ai suoi amici le porte di 112 perché avessero uno spazio per lavorare e mostrare il proprio lavoro. In esso portò anche la sua visione di spazio aperto a tutti, 24 ore al giorno: uno spazio non accademico e non gestito da un comitato di selezione.
Era uno spazio piuttosto grande – diviso da una fila di colonne di ghisa – che fu lasciato grezzo, nello stato in cui era stato trovato.
Lo scantinato, che all'inizio era anche adibito alle mostre, è stato ripetutamente descritto dai vari artisti con cui ho parlato, come scuro e piuttosto sudicio. Era, però, esattamente il tipo di sede di cui questi artisti avevano bisogno per emergere: potevano operare tagli, sezionare il pavimento o intervenire, scavando, nello scantinato, oppure includere animali nelle performance o manipolare lo spazio stesso per includerlo nell'opera: lo spazio non era, dunque, una mera cornice ma un contesto vivo in grado di vivere la stessa vita dei lavori che conteneva.
I primi anni furono curati da coloro che erano l'anima della comunità di artisti che ruotavano attorno a 112: chi voleva fare una mostra doveva accordarsi con chi era già lì e trovare il modo per montare la propria mostra, non appena smontava la precedente.
Questa comunità non era soltanto funzionale alla produzione dei lavori ma serviva anche da interlocutore per un confronto continuo: gli artisti sono cresciuti creativamente insieme, usando 112 come sede per le loro sperimentazioni artistiche e la loro reciproca evoluzione.

Volevo che questa mostra raccontasse la vitalità e il coinvolgimento del lavoro della comunità di artisti che gravitavano intorno a 112 Greene Street e nello stesso rimarcare l'importanza di questo luogo per la carriera e la pratica creativa di Matta-Clark.
Per prima cosa ho cercato di circoscrivere il periodo concentrandomi sui primi anni, quando lo spazio era auto-gestito dalla comunità stessa degli artisti coinvolti, in maniera organica e semi-caotica. Erano questi gli anni in cui la visione originaria di Jeffrey Law si rifletteva pienamente nella vera natura dello spazio.

In questi primi anni, centinaia di artisti hanno esposto o hanno avuto modo di portare le proprie performance a 112 Greene Street; quindi c'era una ampia possibilità di scelta tra opere di grande interesse.
Di tutti gli artisti presenti in questa mostra, uno soltanto, Richard Serra, non era parte del gruppo originario della comunità di 112 Green Street. L’unico lavoro che realizzò a 112 – la performance video Prisoner’s Dilemma – è una straordinaria riflessione non solo sulla comunità che ruotava intorno a 112 ma anche sull’intero mondo dell’arte dell’epoca.

Mi interessava scegliere lavori che riflettessero le idee centrali esplorate dagli artisti di 112 in quel periodo (investigazioni dello spazio, sculture performative, installazioni che intervenissero sulla crisi della decadenza urbana, etc…) ma che restituissero anche l'energia, l'ispirazione e l'estro di questa comunità multi-disciplinare di artisti.
Nel curriculum di Tina Girouard, Suzanne Harris, Richard Nonas, Jene Highstein, e Larry Miller ,112 Greene Street compare innumerevoli volte, poiché furono coinvolti in collettive, personali e performance. Ognuno di questi artisti ebbe un forte legame con Gordon, non solo personale ma anche creativo: i loro lavori investigavano questioni simili e, spesso, collaborarono. Girouard, Harris, Nonas e Highstein, per esempio, erano tutti membri del collettivo Anarchitettura. Il lavoro di Larry Miller, Carrot Piece (che abbiamo ricostruito per la mostra alla David Zwirner gallery ) riflette le prime investigazioni di Matta-Clark sul materiale organico quale materia scultorea, per creare, perfino con l'azione della performance (o piuttosto per effetto della decomposizione), lavori effimeri.
Le carote di Miller furono mostrate originariamente nello scantinato di 112 insieme a Cherry Tree di Matta-Clark che prevedeva la sua fioritura e successiva decomposizione nel corso della sua installazione. Alan Saret, per esempio, non ha avuto una storia altrettanto corposa a 112 poiché, nel 1971, se ne andò in India per quattro anni. Fu, comunque, strumentale alla sua creazione e il suo lavoro ebbe un impatto significativo su quello di Matta-Clark.
Saret aprì le porte del suo studio e del suo soggiorno agli artisti ancor prima che 122 Greene Street entrasse in funzione. Anche il suo spazio aveva fatto parte dell'attività di indumenti usati e, quindi, conservava caratteristiche architettoniche simili. Poiché si affacciava su Spring Street, lo chiamò Spring Palace e invitò artisti del calibro di Joan Jonas e George Trakas a esibirsi. Questo luogo servì da ispirazione per la nascita di 112 Greene Street e, infatti, sia Jeffrey Lew che Gordon Matta-Clark si incontrarono lì per la prima volta grazie a Saret che aveva frequentato la Cornell University con Gordon, dove entrambi avevano studiato architettura.

Bronx Floor: Floor Hole, 1972
Stampa su gelatina al bromuro d’argento, 41.3 x 51.4 x 3.8 cm
A me interessava particolarmente restituire la storia della comunità originaria dei primi anni di cui Matta-Clark è stato una figura centrale ; quindi ho scelto artisti che fossero fortemente coinvolti nell'attività di 112 (ognuno espose in numerose mostre, sia collettive che personali) e che avessero avuto una stretta relazione, sia personale che artistica, con Gordon. Mi interessava scegliere lavori che riflettessero le idee centrali esplorate dagli artisti di 112 in quel periodo (investigazioni dello spazio, sculture performative, installazioni che intervenissero sulla crisi della decadenza urbana, etc…) ma che restituissero anche l'energia, l'ispirazione e l'estro di questa comunità multi-disciplinare di artisti.

Le carote di Miller furono mostrate originariamente nello scantinato di 112 insieme a Cherry Tree di Matta-Clark che prevedeva la sua fioritura e successiva decomposizione nel corso della sua installazione. Alan Saret, per esempio, non ha avuto una storia altrettanto corposa a 112 poiché, nel 1971, se ne andò in India per quattro anni. Fu, comunque, strumentale alla sua creazione e il suo lavoro ebbe un impatto significativo su quello di Matta-Clark.


La scultura di Saret presente in questa prima mostra è un esempio del suo lavoro di quel periodo in cui usava materiale industriale flessibile correntemente disponibile sul mercato, come la rete metallica del tipo usata per le recinzioni, manipolandone la forma (in questo caso sperimentando diversi modelli di piegatura) in modo che sfidasse la forza di gravità rimanendo solida e stabile.
Il suo contributo alla prima attività di 112 fu un'altra scultura che sfidava la forza di gravità: appese una serie di cornicioni di edifici che aveva raccolto tra i rifiuti di una recente demolizione nel quartiere di Soho. Questo lavoro sfortunatamente oggi è andato perduto ma la connessione con il successivo intervento architettonico di Matta-Clark è notevole (anche lui avrebbe portato all'interno di 112 frammenti di edifici che furono messi in ombra dal lavoro sui Bronx Floors che abbiamo voluto fossero presenti in mostra).

È un'incredibile fotografia dello spazio, della gente e delle idee che circolavano in questo speciale momento della storia artistica di New York. Ritrae figure chiave di 112 come Jeffrey Law (che interpreta un vice-sceriffo) o Suzanne Harris (che canta l'inno nazionale nella sequenza di apertura). Ci sono anche Richard Schechner e Spalding Gray del Living Theatre che si esibiscono insieme a una giovanissima Kathryn Bigelow, la quale espose a 112 agli inizi della sua carriera. Forse la parte migliore è il ruolo di Leo Castelli, allora il più influente gallerista d'arte del mondo, nell'interpretazione di se stesso: si calò a tal punto nel personaggio da accettare di rimanere rinchiuso in un lugubre scantinato per quasi due ore. Il video fu registrato alla presenza del pubblico quasi fosse una sit-com e i sui toni politici accesi riflettono l'impegno degli artisti durante l'era Nixon, mentre lo humor e il carattere legato all'improvvisazione riflette la creatività e l'informalità degli artisti.
Ci sono molti più autori e artisti che non sono stata in grado di inserire nella mostra ma il libro che sto scrivendo li comprenderà, come comprenderà le immagini e la storia delle mostre che resero 112 Greene Street il luogo leggendario che è diventato. Senza dubbio meriterebbe l'attenzione istituzionale di un museo. Il più grande successo di questa nostra mostra, infatti, sarebbe proprio quello di ispirare l'adesione di una grande istituzione museale che si rendesse diponibile a offrire lo spazio adeguato e il supporto necessario a rappresentare la storia di 112 Greene Street. Centinaia sono gli artisti passati per questo luogo solo nei pochi anni su cui ho concentrato la mia attenzione: questa mostra racconta solo la punta di un iceberg.

A proposito di Walls Paper, mi piace sottolineare che il titolo è un gioco di parole poiché si tratta di una specie di tappezzeria (in inglese "wallpaper": carta per muro) fatta di immagini di muri provenenti da edifici popolari fatiscenti del Bronx: una tappezzeria fatti di muri quindi "walls paper". Matta-Clark aveva una certa predisposizione nell'usare giochi di parole nei titoli: un tratto che aveva in comune col padre, il surrealista Roberto Matta. Ad ogni modo, per comprendere il lavoro di Matta-Clark è cruciale inserirlo nel contesto in cui è nato. Egli faceva parte di una vibrante e ispirata comunità di artisti che alimentarono la sua creatività e lo sostennero (sia fisicamente che intellettualmente) nel realizzare le sue opere visionarie. 112 Greene Street fu l'unico luogo dove egli era veramente libero di sperimentare e collaborare. Era il ritrovo della comunità di cui faceva parte, era spronato a esporre –accettandone i rischi – e da qui ricavava validi riscontri e critiche alle sue escursioni artistiche. Fu qui che incominciò a formulare le idee che perseguì nell'intero corso della sua carriera artistica. Si può facilmente tracciare una linea ideale tra ogni suo lavoro esposto a 112 Greene Street e i successivi progetti su grande scala: da quegli esperimenti iniziali alle sue visioni più ampie. Per comprendere il suo lavoro devi vedere il lavoro dei suoi coetanei e connetterlo con l'energia del suo ambiente.
Energy Tree, 1973-1974
Matita, inchiostro e marker su carta. 48 x 61 cm
Food fu aperto poco dopo 112 Greene Street, da Carol Gooden e Gordon Matta-Clark, esattamente nel settembre del 1972. Per molti aspetti era uno spazio gemello: in Food era coinvolto lo stesso gruppo di artisti di 112 –Tina Girouard, per esempio, che introdusse la comunità alla cucina Cajun, tipica del Sud. Il suo appartamento di Chatham Squame, a China Town (che condivideva, tra gli altri, con Mary Heilmann e Richard Landry) può essere considerato, infatti, l'ispirazione di Food, come Spring Palace lo fu per 112. Girouard, e gli altri del Sud, trasferendosi a New York, si erano portati dietro una cultura fatta di grande fermento attorno alla preparazione e alla condivisione del cibo: era uno stile di vita esotico, coinvolgente e pieno di energia per gli artisti "del Nord".
La centralità del cibo divenne, infatti, una caratteristica di molti eventi e mostre che accompagnavano questo gruppo di artisti: può essere individuata quale caratteristica centrale del lavoro stesso di Matta-Clark.
Il ristorante Food offrì lo spazio per la ricerca social/culinaria di questa comunità nello stesso modo in cui 112 l'offriva alla ricerca scultorea/performativa. Rappresentano due facce della stessa medaglia ed entrambi servirono da piattaforma creativa per questo ispirato, energico e divertito gruppo di artisti.

Come dicevo, il collettivo Anarchitettura era composto da molti artisti che facevano parte del nucleo centrale di 112 Greene Street. Molti dei lavori individuali e delle mostre che ebbero luogo a 112 esploravano le stesse questioni che l'Anarchitettura, nelle sue premesse, si era impegnata a affrontare. La mostra "Anarchitecture" riunì per l'ultima volta a 112 Greene Street, Gordon Matta-Clark, Jene Highstein e Richard Nonas: subito dopo le loro strade presero direzioni differenti.
Il problema è che della mostra non rimane documentazione; tutto quello che sappiamo su cosa è stata l'Anarchitettura è affidato alla memoria degli artisti e a quei lavori che essi riconducono a ciò che si considera Anarchitettura. Ovviamente, da parte di coloro che vi presero parte ci sono molte diverse interpretazioni riguardo a una definizione di Anarchitettura, ma forse è proprio questa la più adeguata. Qualunque cosa sai stata, è stato un forum per un dibattito creativo, qualcosa che sopravvive ancora oggi.
Dopo la mostra "Anarchitetture", Matta-Clark ha cominciato il suo primo "taglio" su vasta scala, sezionando in due parti la famosa casa a Englewood, nel New Jersey, per produrre "Splitting". È uno dei sui lavori più iconici, quello che ha segnato una nuova traiettoria nella sua carriera.
Così in un certo senso l'Anarchitettura riassume molte di quelle lezioni e idee apprese e messe a fuoco durante i suoi anni a 112 Greene Street, che lo hanno proiettato verso la scala più grande – e anche incredibilmente ambiziosa – dei tagli architettonici che sono il segno del suo lascito.
Tree Forms, 1971
Matita, inchiostro e marker su carta. 48 x 61 cm
