di Giovanni Comoglio
Al di là dei soliti revival, sembra a ogni buon conto impossibile o perlomeno forzato trovare una connessione tra una poltrona Float anni ’60, un divano di Zaha Hadid e una striscia-lampada dei Formafantasma. Ma una multiforme, ramificatissima connessione c'è, ed è fatta di tutte le epoche, le emergenze, le mode stratificate dentro gli oggetti di cui il design italiano e internazionale ha letteralmente riempito case, strade, spazi individuali e spazi condivisi. In oltre 60 anni, il Salone del Mobile coi suoi discendenti queste epoche, emergenze, mode le ha rappresentate tutte; e Domus è sempre stata lì a raccontarne, criticarne, approfondirne e decostruirne altrettante.
Tappeti di rassegne, anteprime, interviste, discussioni, selezioni – persino una cena – hanno portato avanti questa loro doppia missione: al momento dell'uscita, indirizzare gusto, pensiero, acquisti; ma appena un attimo dopo, subito cristallizzare passi di storia, come le zanzare dentro l’ambra. E parliamo di Storia, la history collettiva, ben al di là delle nostre stories individuali: una storia per oggetti.
D’altro canto, nell'orgia di decluttering, di fuga dagli oggetti che ha monopolizzato il mainstream odierno, come potremmo seriamente affermare che storia e storie non dipendono dagli oggetti? Se non bastasse l'esistenza di un'intera disciplina a convincerci – la storia materiale – potremmo allora precipitare di nuovo nella sfera individuale e pensare a quel Kemal, personaggio del grande scrittore turco Orhan Pamuk, che raccoglie e tesaurizza tutti gli oggetti toccati dagli episodi del suo amore ossessivo e sofferto – da una Chevrolet incidentata alle cicche di sigaretta – per raccoglierli in un Museo dell'innocenza. O forse bisognerebbe più pensare allo stesso Pamuk, che quel museo lo ha poi realizzato sul serio, ma è altra questione.
È anche partendo da queste domande che ci siamo imbarcati nell'impresa anche piuttosto improbabile di individuare nei nostri archivi 50 oggetti che sono stati capaci di raccontare oltre sei decenni di Saloni, di Domus, ma soprattutto di storia. Ne è nato un paesaggio parziale, nei due sensi che la lingua italiana attribuisce a questa parola: parziale perché ce n'è solo una parte (la fonte è stata rigorosamente l’archivio Domus, quindi, come nei migliori archivi, spesso oggetti che daremmo per scontati sono in realtà assenti); e parziale proprio per questo fatto, perché un archivio è già di per sé testimone e prodotto di un lavoro di critica, di una scelta.
È prodotto delle mille diverse componenti che generano un'epoca, così come lo sono gli oggetti.
Questi 50 oggetti quindi sono 50 storie, pietre miliari del Salone vuoi perché al Salone hanno debuttato, vuoi perché al Salone è stato convalidato il loro successo – magari erano nati poco prima e poco distante – o ancora perché sulle pagine di Domus si è ritenuto necessario preferirli, benché fuori fiera, a tutta la pletora dei loro colleghi che invece in fiera ci stavano, e che in quel momento sembravano però non essere incisivi abbastanza su questioni che erano prioritarie per la contemporaneità.
È questo il ruolo principale degli oggetti selezionati nel nostro archivio: rappresentare temi, questioni che hanno di volta in volta dato forma al presente cercando di darlo al futuro. Prima di tutto quella “cosa” che chiamiamo casa, e che diventa un sempre più ibrido “spazio dell'abitare”, decostruita dai radicali n’60, riallestita e scenografata negli ‘80, disgregata e atomizzata dai 2000 digitali fino a non avere più una connotazione fisica nel millennio nomade e virtualizzato del multiverso. Cos'è industria, poi, cos'è artigianato e cos'è arte; e ancora, man mano che la scala delle questioni si è estesa al globale più che allo specifico dell'oggetto, queste domande hanno spinto per uscire dai muri del Salone e dalle strade del Fuorisalone, per portare al centro dell'attenzione emergenze e cambiamenti sociali e ambientali, con cui gli oggetti si dovevano, e si dovranno, confrontare, in un rapporto sempre più stretto, e, ci si augura, sempre meno tossico.
50 oggetti per raccontare il privilegio di poter ogni anno relazionarci con il mondo della materia – sperabilmente bella, ci si augurava già all’alba della stagione “eventistica” dei Saloni 40 anni fa – e soprattutto la necessità e l'importanza di poterli sempre abbracciare e guardar crescere dalla posizione privilegiata (e tutt’altro che priva di responsabilità) della libertà critica.
01
Blow, poltrona, 1967
De Pas, D’Urbino, Lomazzi
Domus 456 novembre 1967
Rottura di tutti gli schemi, ma non della membrana in pvc che ne definisce i corpi gonfiabili. Partecipe del clima sperimentale del design radicale italiano che attraversa la seconda metà degli anni ‘60, il progetto Blow ne traduce in un oggetto – una poltrona – alcuni dei temi più importanti e dirompenti: l’invasione del pop e di un approccio giocoso al design industriale, l’assunzione delle plastiche come materiale che può occupare gli spazi dell’abitare alla pari dei materiali tradizionali e “nobili”, e la negazione della distinzione interno-esterno, del ruolo fisso degli spazi domestici. Tutto è salotto, tutto è prato, tutto è piscina, e Blow è l’arredo appropriato in tutti i casi.
Immagine apertura: courtesy Zanotta
02
Divano “senza misura” (Lombrico), 1967
Marco Zanuso
Domus 456 novembre 1967
Verrà presentato ufficialmente nella complessa Triennale del 1968 e passerà alla storia come Lombrico, il divano in moduli potenzialmente componibili all’infinito che la allora C&B presenta al Salone del Mobile, in uno stand disegnato da Zanuso stesso, il cui pavimento in acciaio inox innesca col divano un gioco di riflessioni e distorsioni che è piena espressione dell'identità visuale di quegli anni. I moduli hanno una struttura in fiberglass e una componente di seduta in poliuretano, la destinazione è lo spazio domestico ma anche quello collettivo. Lombrico apre una stagione di sperimentazioni dove figurerà anche il Serpentone di Cini Boeri per Arflex.
Immagine apertura: da Domus 866 gennaio 2004
03
Sedia 4867 “universale”, 1967
Joe Colombo
Domus 456 novembre 1967
Nel 1964, è ancora Marco Zanuso a progettare la prima sedia interamente realizzata in plastica, ma la sua K1340 è una sediolina per asili e scuole elementari. Nel 1965 invece Joe Colombo inizia a progettare quella che due anni dopo debutterà come la prima sedia per adulti impilabile, in plastica stampata ad iniezione: è “universale”, destinata alla produzione di massa in un’ottica di design democratico, le sue gambe, a partire da una forma cilindrica, sono formate e tagliate lungo l’asse verticale per renderla affiancabile. La bucatura centrale garantisce circolazione dell’aria, deflusso di liquidi e possibilità di impugnatura e spostamento.
Immagine apertura: da Domus 456 novembre 1967
04
Mies, poltrona, 1969
Archizoom Associati
Domus 480 novembre 1969
Nel 1969 muore Ludwig Mies van der Rohe e il gruppo fiorentino Archizoom, una delle punte del radical design italiano, gli rende omaggio con una poltrona, realizzata per Poltronova, che fa eco al rigore delle sue linee e delle sue espressioni strutturali. Ma non ci si ferma al tributo: la seduta è un foglio di caucciù, teso, bidimensionale, astratto come la forma stessa della poltrona – con la sua struttura, stavolta prismatica, in metallo cromato – che viene plasmato da forma e peso del corpo di chi si siede, ad esempio Sergio Camilli, fondatore di Poltronova, che posa per Ugo Mulas al Salone. Geometria e pop, metallo e materiali elastici, e poi le note ancora pop del poggiatesta e del poggiapiedi in cavallino, quest’ultimo appoggiato su un piccolo portale cromato e illuminato, stesso colpo distopico-animalier del leopardo associato al fiberglass nel divano Safari dell’anno precedente.
Immagine apertura: courtesy Centro Studi Poltronova, Foto di Pietro Savorelli
05
Up, 1969
Gaetano Pesce
Domus 480 novembre 1969
A fine ‘60 sono soprattutto i nuovi nomi dell’industria italiana a sbilanciarsi verso un coinvolgimento di quelle realtà che stanno tra design, architettura e arte, intente a sovvertire canoni fino ad allora condivisi. La collezione Up (una poltrona e un pouf destinati a diventare icone, premiate alla carriera col Compasso d’Oro nel 2022, e anche un divano) è concepita da Gaetano Pesce col centro ricerca di C&B e riunisce oggetto dalla materialità sperimentale, forme allusive dall’eco quasi postmoderna e cifra artistica dell’happening non ripetibile. “La sorpresa più grossa del Salone”, la definisce Domus, Up letteralmente “rinviene” dall’imballaggio che, alla consegna, ne riduce il volume di nove decimi, e una volta tagliato lascia espandere la struttura in poliuretano rivestita in tessuto elasticizzato fino ad assumere le sue forme caratteristiche.
Immagine apertura: da Domus 480 novembre 1969
06
Sedilsasso, pouf, 1969
Piero Gilardi
Domus 480 novembre 1969
L’arte di Piero GIlardi fin dalle sue prime espressioni fa una riflessione critica sul rapporto tra società, produzione e natura: dai tardi anni ‘60 i Tappeti-natura, pareti vegetali completamente realizzate in poliuretano, denunciano l’ambiguità di questo rapporto. Un dispositivo figurativo che, basandosi sulla sorpresa materica, trova un terreno d’azione anche nel design, traducendosi nei grandi sassi, anch’essi di poliuretano, morbidi ed elastici contro ogni logica semantico-ontologica o apparenza visiva, che vanno ad ampliare il catalogo dei multipli prodotti dalla piemontese Gufram, tutti in bilico tra la portata concettuale dell’oggetto di disegno industriale e la riproducibilità dell’opera d’arte.
Immagine apertura: da Domus 480 novembre 1969
07
Plia, sedia, 1967
Giancarlo Piretti
Domus 480 novembre 1969
Al Salone 1969, lo stand di Anonima Castelli celebra e conferma il successo folgorante della sedia pieghevole con cui, nell’edizione di due anni prima, il giovane progettista Giancarlo Piretti ha consegnato alla storia del design la sua figura, e le tre intuizioni divenute iconiche: la leggerezza strutturale e visuale, con un telaio di acciaio cromato con le caratteristiche sedute in acetato trasparente; l’economia generalizzata del progetto, che ne determina un prezzo definibile come – all’epoca – democratico; la meccanica del perno “a tre dischi” che consente di gestire in un unico elemento le tre cornici separate del telaio.
Immagine apertura: courtesy Anonima Castelli
08
Parentesi, lampada a saliscendi, 1971
Achille Castiglioni (da un’idea di Pio Manzù)
Domus 492 novembre 1970
L’approccio Castiglioni parte sempre da un pensiero funzionale, che non è tecnicismo o sua estetizzazione, ma studio, intuizione di un comportamento, di un fenomeno che è capace di generare forma. A volte è il comportamento di un oggetto esistente, come il faro d'auto della lampada Toio; qui è l’interazione tra un’idea iniziale – la luce ad altezza regolabile su stelo – e un fenomeno fisico – l’attrito – a creare un’icona dalla vita lunghissima e dalle diverse riedizioni, composta da due punti fermi (attacco e contrappeso), un cavo d’acciaio e un tubino metallico a parentesi capace di sostenere la lampadina-spot sul suo portalampada rotante in gomma per l’attrito generato dalla sua forma.
Immagine apertura: courtesy Fondazione Achille Castiglioni
09
Pratone, multiplo da seduta, 1970
Giorgio Ceretti, Pietro Derossi, Riccardo Rosso
Domus 480 novembre 1969
Ceretti, Derossi e Rosso hanno appena vinto il concorso “Sintesis Idea 70” con una “poltrona” che in brevissimo tempo lascerà questa identità limitante per passare a quella di “icona”, al massimo alla denominazione di “multiplo”, con cui amplierà il catalogo della piemontese Gufram. Composta da una serie di enormi fili d’erba in poliuretano, morbidi ed elastici, rappresenta la connessione tra pop art e radical design, portando l’atto del sedersi e del rilassarsi nell’ambito del gioco e negando anche lei tutte le convenzioni rispetto alle interazioni tra le persone e alla forma degli spazi domestici che le dovrebbero contenere.
Immagine apertura: foto di Adam Štech
10
Camaleonda, divano, 1970
Mario Bellini
Domus 504 novembre 1971
I divani di Mario Bellini sono quasi un capitolo a parte, e fondativo, del design domestico italiano e del suo paesaggio visuale inizio anni ‘70. Utilizzando la formula “poliuretano (a tre strati di diversa elasticità) + tessuto”, il divano progettato per C&B è onda, con le sue rotondità che ne enfatizzano confortevolezza e modularità, ed è camaleonte, col suo adattarsi ad ambienti infinitamente diversi grazie alla possibilità di assemblare i suoi moduli (la base è 90x90cm), i cuscini-schienali-braccioli, e anche un elemento scatolare che fa da piano d’appoggio, in configurazioni diverse grazie ad un sistema di ganci.
Immagine apertura: Domus 505 dicembre 1971. Foto di Falchi e Salvador
11
Le bambole, divano, 1972
Mario Bellini
Domus 504 novembre 1971
Con Le Bambole si entra esplosivamente nel postmoderno: amorfo ma strutturato, questo divano sempre di C&B, che inizialmente Bellini avrebbe voluto rendere una “sporta” di materiale modellato dal solo appoggio a terra, offre alla vista una forma di puro cuscino modellabile dal corpo – effetto garantito dalla schiuma di poliuretano, foderato in poliestere e rivestibile in tessuto o pelle – nascondendo invece un telaio in tubolari e profilati d’acciaio che ne detta le linee principali. L’ingresso nel postmoderno è esplosivo soprattutto grazie alla campagna fotografica con cui Oliviero Toscani lancia il progetto, ritraendo la modella Donna Jordan, già di per sé iconica Warhol star e musa di Antonio Lopez, in topless. Al ritorno del premio nel 1979, Le Bambole vince il Compasso d’Oro.
12
Ultrafragola, specchio, 1970
Ettore Sottsass
Domus 528 novembre 1973
Al Salone del 1973, lo stand di Poltronova è quello di un brand che ha ormai associato il suo nome al concetto di radical design in modo consolidato, così come lo ha fatto Sottsass, autore di tutti i pezzi esposti: un “salotto radicale”, di tavoli, sedie, librerie, totem, e specchi. Uno in specifico, presentato assieme ai “mobili grigi” nel 1970 a Eurodomus, è quello che mette la firma all’ allestimento, validandone l’identità. È l’Ultrafragola con la sua cornice retroilluminata in fiberglass traslucido, ispirata a una cascata di chiome femminili. Oggi forma ricercata da chiunque possieda un account social, rapportato all’epoca Ultrafragola era l’oggetto che confermava il posizionamento culturale di un’azienda e di un movimento.
Immagine apertura: courtesy Centro Studi Poltronova. Foto di Pietro Savorelli
13
Vertebra, sedia da ufficio, 1979
Emilio Ambasz, Giancarlo Piretti
Domus 601 dicembre 1979
Il progetto di Ambasz e Piretti per Castelli, oltre a segnare l’inizio della collaborazione tra i due progettisti e ad aggiungere un’altra pietra miliare nella produzione del brand dopo Plia, segna una rivoluzione nel pensiero sullo spazio del lavoro e sull’ergonomia: è la prima sedia che asseconda movimenti e posizioni di chi la occupa, attraverso un sistema di contrappesi, peraltro contenuto, oltre che sotto la sedia, in un tubolare flessibile continuo e nervato, che contribuisce assieme all’attenzione ergonomica a determinare il nome della sedia. “Mi piace perché è davvero una protesi del fondo schiena e inoltre è minacciosamente servile come tutte le macchine”, scrive Tommaso Trini su Domus, e il gradimento e il successo di Vertebra sono consacrati dal Compasso d’Oro vinto nel 1981.
Immagine apertura: courtesy Emilio Ambasz
14
Cabina dell’Elba, armadio, 1980
Aldo Rossi
Domus 646 gennaio 1984
Quello inizialmente realizzato da Aldo Rossi come prototipo in 4 esemplari per Molteni, nel 1980, è forse l’esempio più cristallino del suo approccio al design, che a partire dalla leva della memoria si mette a lavorare su archetipi che gli sono funzionali nel rompere i confini di scala tipici della progettazione, concependo lo spazio domestico come uno spazio urbano in cui edifici – di scala diversa, appunto – trovano ruolo e creano nuovo senso. La cabina da spiaggia è il punto di partenza più archetipico e allo stesso tempo ibrido, porta l’esterno negli interni, e la “casa” nel mobile. Al Salone 1984 Domus pubblica i disegni di Rossi per il catalogo dell’atelier Bruno Longoni di Cantù, che da due anni ha cominciato a produrre la Cabina. Come già con Tea and Coffee Piazza, o con la caffettiera Conica, i nuovi pezzi sono altri pezzi di città.
Immagine apertura: da Domus 646 gennaio 1984
15
Tawaraya, ring da soggiorno, 1981
Masanori Umeda
Domus 620 settembre 1981
Dopo il Salone del 1981, forse non tutti se ne accorgono sul momento, ma le cose non potranno mai più essere com’erano prima: infatti, ha ufficialmente debuttato Memphis. Il collettivo che nasce nel dicembre 1980 in casa di Ettore Sottsass evoca la storia e la contemporaneità, la profondità dei riferimenti culturali alti e il pop più completo, non ha alcuna intenzione di sottrarsi alla produzione e al mercato, e determinerà un’influenza senza precedenti sulle tendenze visuali di diverse generazioni. La foto forse più famosa ritrae il gruppo su un ring molto particolare: è quello disegnato da Masanori Umeda, in paglia intrecciata, metallo e legno laccato, pieno di cuscini di seta. L’oggetto icona della prima collezione, che esordisce in tempo di Salone.
Immagine apertura: da Domus 620 settembre 1981
16
Gibigiana, lampada, 1980
Achille Castiglioni
Domus 620 settembre 1981
“Fare la gibigianna” è riflettere un raggio di sole su qualcosa, magari su qualcuno, con qualsiasi oggetto capace di riflettere. Ancora una volta, senza bisogno di assecondare alcuna moda o spirito del tempo, l’approccio Castiglioni studia un fenomeno, un comportamento e ne fa la base di un progetto. In Gibigiana, disegnata per Flos, la luce, proveniente da una sorgente luminosa nascosta dentro una scocca in acciaio, sale e viene contemporaneamente schermata e riflessa da uno specchio orientabile: due persone, potranno così svolgere attività differenti con luce differente, nello stesso ambiente e nello stesso momento.
Immagine apertura: courtesy Fondazione Achille Castiglioni. Foto di Frank Huelsboemer
17
Mobile infinito, 1981
Alessandro Mendini e Studio Alchimia
Domus 620 settembre 1981
Le due realtà italiane che nel 1981 fanno da interlocutore critico allo status quo del disegno industriale sono la neonata Memphis e Alchimia, fondata nel 1976 da Alessandro Guerriero, che però a differenza di Memphis non si interessa della produzione e del mercato, esplorando sotto la direzione artistica di Alessandro Mendini –allora direttore di Domus – il terreno del redesign, del ripensamento cioè di progetti archetipici della storia del design. Memphis inaugura la sua prima mostra il giorno dopo che Alchimia ha presentato questo sistema potenzialmente infinito di aggiunte, che diversi membri, ospiti e ispirazioni del gruppo operano sulla base di mobili grigi esistenti: decorazioni magnetiche di Mimmo Paladino e Nicola Demaria, piccola architettura di Andrea Branzi, maniglie di Ugo La Pietra, gamba di Denis Santachiara, laminati magnetici Abet con disegni di Ponti, Veronesi, Munari e così via.
Immagine apertura: da Domus 620 settembre 1981
18
Sindbad, sedute, 1981
Vico Magistretti
Domus 620 settembre 1981
Al Salone dell’81 c’è anche un Magistretti sessantenne che ancora una volta rompe gli schemi, ma ancora una volta in modo totalmente personale. Parte infatti da un gesto, quello del buttare un pezzo di tessuto o pelle su un divano, e ne fa la soluzione per un “divano senza tappezziere”: una base di faggio laccato nero, poi acciaio, schiuma poliuretanica e ovatta di poliestere su cui si può decidere quale “coperta” – l’ispirazione è anche quella delle coperte da cavalli – stendere, assicurandola alla struttura tramite bottoni e scegliendola da una serie di diversi colori e materiali, tra cui lana, cotone, lino, pelle e piqué. Una gamma versatile e trasformabile, inizialmente sviluppata per Cassina e composta da divano, poltrona, divano, pouf e un tavolino complementare.
Immagine apertura: courtesy Cassina. Foto di Mario Carrieri
19
Tangram, tavolo, 1983
Massimo Morozzi
Domus 646 gennaio 1984
Gli anni del postmoderno sono tutti immersi nel potere evocativo delle forme, apparentemente pure, e della loro combinazione in configurazioni date, ma non sempre prevedibili. Succede con il gioco del tangram, come succede con questo tavolo disegnato per Cassina da Massimo Morozzi, già cofondatore di Archizoom Associati. È componibile in configurazioni diverse accostando tra loro i 7 diversi elementi, triangoli, rettangoli, parallelogrammi e quadrati policromi in faggio tinto; uno di loro può diventare una scacchiera, e unire gioco figurativo con generazione di situazioni e storie, come quelle create dall’illustratore Antonio Lopez, icona della New York di Warhol e dello Studio 54, appositamente per il lancio.
Immagine apertura: da Domus 646 gennaio 1984
20
Traffic, divano, 1983
Bruno Rota
Domus 646 gennaio 1984
Il linguaggio degli anni ‘80 è un linguaggio di complessità, in cui confluiscono tanti altri linguaggi, che spesso vengono per la prima volta scoperti in quanto tali proprio in questo periodo. È il caso del linguaggio industriale, nelle sue componenti produttive, impiantistiche e macchinistiche, che in un’evoluzione della poetica dell’objet trouvé di Duchamp, del Mirò surrealista e tanti altri, coll’articolarsi del postmoderno diventa anche un’estetica, rappresentata, in questa sua dualità di natura, da oggetti come il tavolino in vetro a ruote di Gae Aulenti. Questo divano, progettato da Rota per Esse, enfatizza questo linguaggio, con le grandi ruote che ne permettono la spostabilità e ne determinano l’identità estatica, assieme alla scocca esterna in lamiera verniciata che avvolge i cuscini rivestiti in pelle. Viene scelto come arredo per un altro progetto simbolo dell’epoca, la Citè des Sciences et de l'Industrie de la Villette a Parigi.
Immagine apertura: da Domus 646 gennaio 1984
21
Diva, specchio, 1984
Ettore Sottsass
Domus 657 gennaio 1985
Ancora uno specchio, ancora di Sottsass, ancora per rappresentare l’apice di una stagione, in questo caso il massimo splendore del collettivo Memphis che tanto sonoramente aveva debuttato durante il Salone di tre anni prima (e che Sottsass lascerà un anno dopo). Diva ha tutto di Memphis, ne è rappresentativa come le librerie Carlton e Magnolia, potrebbe quasi essere un archetipo di “oggetto-Memphis”, totemico qual è, simmetrico, metafisico e astratto, e al contempo giocoso nell’accostare pattern e cromatismi artificiali su laminato a legni pregiati, sempre pensati come rivestimento, vestito di qualcosa che è struttura e che non è prioritario vedere.
Immagine apertura: da Domus 657 gennaio 1985
22
Quinta, sedia, 1984
Mario Botta
Domus 675 settembre 1986
Nel discorso degli anni ‘80 trova anche spazio il debutto di Mario Botta, architetto, nel disegno industriale, con gli arredi che progetta per Alias a partire dal 1982. Di questa prima serie di collaborazioni, la sedia Quinta è l’unica a non avere il caratteristico schienale costituito da un rullo in gomma, e permette di apprezzare maggiormente i fondamenti della poetica del designer, eredi di un razionalismo internazionale espresso in una razionalità delle linee, dei materiali e del loro funzionamento: sono infatti due fogli di lamiera forata, piegati e arcuati, a garantire ergonomia e sorprendente comodità di schienale e seduta, oltre alla resistenza ed elasticità della struttura in tubolare metallico, e soprattutto unicità dell’identità visiva della sedia, creata proprio dal suo comportamento fisico.
Immagine apertura: courtesy Mario Botta Architetti. Foto di Aldo Ballo
23
Tippy Jackson, tavolo pieghevole, 1983
Philippe Starck
Domus 675 settembre 1986
Nuovi nomi negli anni ‘80, e nuovi modi di vivere la figura del designer. Philippe Starck è uno degli esempi più rilevanti di questa transizione, verso un’epoca dove il designer si fa “firma”, con un’attenzione a un linguaggio che investe molto sulla forma in modo da renderla riconoscibile come tratto individuale ed autoriale, come succederà poco dopo con l’iconico spremiagrumi Juicy Salif per Alessi. A metà ‘80 Starck è in ascesa in Francia coi suoi interni e i primi oggetti: i tavoli che realizza per la collezione Ubik di Driade/Aleph hanno echi Bauhaus ma sfruttano l’accorgimento funzionale dei tre piedi ad arco che diventano complanari quando il tavolo è ripiegato per creare un linguaggio estetico che non rifugge la decorazione, passando anzi a richiamare l’Art Déco.
Immagine apertura: da Domus 675 settembre 1986
24
Costanza, lampada, 1986
Paolo Rizzato
Domus 675 settembre 1986
“Immaginando questa nuova lampada non volevo dunque riferirmi a uno speciale paralume, messo a fuoco nel ricordo, ma a un’atmosfera, a un contesto che ci circonda, alle cose che tutti abbiamo visto. Questa forma ‘imperterrita’ mi incuriosiva.” Così Paolo Rizzatto descriveva a Domus la collezione di lampade dall’evocativo nome Costanza, con cui si apriva una stagione di ripensamento degli archetipi del design e dell’arredo, come in questo caso dove il tradizionale abat-jour è riproposto nell’essenzializzazione dei suoi elementi, in un paralume tronco-conico in policarbonato e uno stelo estensibile in alluminio. La varietà di diverse declinazioni, appoggi e attacchi, contribuirà negli anni a creare una famiglia di modelli dalla lunga vita.
Immagine apertura: courtesy Luceplan
25
Feltri, poltrona, 1987
Gaetano Pesce
Domus 686 settembre 1987
Nel commentare queste poltrone, realizzate completamente in tessuto, anche nella parte strutturale, Marco Romanelli parlava di Gaetano Pesce come “quanto di meno effimero” gli fosse dato conoscere, per la forza dei suoi progetti nello stravolgere lo status quo in modo permanente. Feltri viene sviluppata nel centro studi Cassina e brevettata, amalgamando immagine, tecnica e sensorialità: un corpo in feltro di lana, irrigidito con resina termoindurente nella parete inferiore, e modellabile invece in quella superiore, per generare e plasmare secondo le proprie preferenze un effetto di coperta avvolgente, ottenuto attraverso la combinazione di struttura e trapunta interna.
Immagine apertura: courtesy Cassina
26
LightLight, sedia, 1987
Alberto Meda
Domus 686 settembre 1987
La sedia progettata da Alberto Meda per Alias rappresenta un’altra rivoluzione di pensiero per la sua epoca, rispetto al rapporto tra forma, materiale e immagine. È estremamente leggera, pesa 1 kg; ha anche un aspetto estremamente leggero, destabilizzante nella misura in cui sembra debordare nel troppo leggero, se non fragile, in realtà il prodotto di uno studio della fisica dei materiali e delle forme che rende efficace e resistente ogni centimetro della sua struttura in composito a nido d’ape e fibra di carbonio, dall’immagine innovativa che sembra voler parlare un linguaggio diverso da quello dei prodotti suoi coetanei.
Immagine apertura: courtesy Alberto Meda
27
Sedili in acciaio inossidabile, 1992
Ron Arad (con One Off Team)
Domus 741 settembre 1992
Dopo aver esplorato le potenzialità elastiche ed espressive del foglio d’acciaio curvato creando un’icona come la Well Tempered Chair del 1986, Ron Arad spinge sull’acceleratore di un tema che già quel progetto aveva aperto, cioè lo sfondamento dei confini tra design e arte plastica, sviluppando con One Off una vera collezione di pezzi che riflettono sull’espressione formale a partire da un comune denominatore – il ‘tessuto’ continuo in acciaio e le sue sinuose variazioni, che negano le strutture classiche delle sedute con telai, molle e rivestimenti – e meritando dei veri titoli (No Duckling No Swan, Creature’s Comfort, Up like a bear etc.) fondamentali quanto il loro aspetto nel raccontarne l’idea generativa.
Immagine apertura: da Domus 741 settembre 1992
28
Bottle, portabottiglie, 1994
Jasper Morrison
Domus 762 luglio 1994
In un contesto che sta portando la sfera del design verso quelle della comunicazione, del brand e dell’identità, il lavoro di Jasper Morrison, specialmente negli anni ‘90 in cui la sua posizione si consolida, rappresenta una riaffermazione del concetto fondamentale di disegno industriale, che parte da un’idea che è risposta a un quesito funzionale, pronto ad operare nel campo dell’anonimo, di “utensili minimi ‘design by’ ma capaci di abitare nelle nostre cantine e nei nostri sgabuzzini”. Il portabottiglie per Magis è il primo oggetto in plastica di Morrison, ispirato dalle casse per il trasporto delle bottiglie, che lui dichiara il suo “disegno più copiato, assorbito dall’industria per diventare un nuovo archetipo, un tipo di furto che può essere solo considerato un complimento”.
Immagine apertura: courtesy Magis
29
Vaso Amazonia e produzione Fish Design, 1995
Gaetano Pesce
Domus 776 novembre 1995
Negli anni ‘90, col Salone, Domus trova l'occasione, più che di comunicare strettamente le novità presentate, di esplorare criticamente temi come la presenza della plastica nello spazio domestico, e di nuovo, selezionato da Paola Antonelli, Gaetano Pesce si distingue in un’innovazione fatta di sorpresa. Pesce crea un azienda che lavora la plastica secondo tecnologie note e poco specializzate, affidando a chi lavora (la produzione avviene in Messico) la gestione della colata in stampo di una resina morbida ed elastica, negazione della complicazione tecnologica del design e della staticità dell'oggetto decorativo. Ogni singolo vaso prodotto è unico, sorprendente ogni volta al tatto.
Immagine apertura: da Domus 776 novembre 1995
30
Wireless, lampade, 1996
Andrea Branzi
Domus 784 luglio 1996
Col crescere di tutti i progetti e gli eventi esterni alla fiera come parte integrante del Salone, anche mostre, collezioni limitate e pezzi unici sono diventate altrettante occasioni di riflessione che provano ad alzare l’asticella della consapevolezza su aspetti spesso generali del design. Wireless è appunto una mostra allestita da Andrea Branzi presso Design Gallery, fatta da lampade senza fili, dove in una completa libertà di collocazione si combinano negli oggetti legno, la carta di riso e canna di bambù, vetro di Murano e fibre sintetiche come il Dacron, materiali che contrastano l’immaterialità dell’epoca e si interrogano sull’uso di nuove libertà acquisite.
Immagine apertura: da Domus 784 novembre 1996
31
Mayday, lampada, 1998
Konstantin Grcic
Domus 806 luglio 1998
Mayday è la lampada che rappresenta al meglio, negli anni della dematerializzazione digitale e del design come linguaggio e immagine, l’approccio di un’azienda – Flos, che sempre al Salone del ‘98 presenta la lampada Diabolo di Castiglioni – e soprattutto di un designer, Kostantin Grcic, che parte da un tema funzionale per ridiscutere la totalità degli assunti sugli spazi della casa: un grande gancio-maniglia in plastica, 5 metri di cavo, un diffusore tronco-conico in polipropilene, ispirata alle lampade da officina, Mayday è lampada da lavoro e da atmosfera, funzionale in garage come in soggiorno, da appendere o da appoggiare, su tavolo o in terra. Vince il Compasso d’Oro nel 2001.
Immagine apertura: da Domus 806 novembre 1998
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Caadre, specchio, 1998
Philippe Starck
Domus 806 luglio 1998
Lo specchio prodotto da Fiam racconta uno Starck ormai consacrato come star del design che si esprime per disegni signature, tratti riconoscibili come solo suoi, che puntualmente decostruiscono i fondamenti di tutte le tipologie: qui l’idea di specchio-appeso-con-cornice si perde, la cornice è una estensione curvata della superficie riflettente in cristallo argentato, l’oggetto è pensato per stare a terra, appoggiato al muro, con possibilità di essere decorato con incisioni, colorato, o integrato con una luce, una candela, un portafiore, appendiabiti o mensole.
Immagine apertura: courtesy Fiam
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Xenia, paravento, 1999
Thomas Kühl
Domus 817 luglio 1999
“Vivo e lavoro nella stessa stanza. Quando siedo al computer, ho bisogno di uno schermo che mi protegga dalla luce diretta del sole. Finito il lavoro, il mio home office deve scomparire nello sfondo della stanza”. Con le parole del suo stesso giovane autore si delinea la doppia innovazione rappresentata da questo paravento prodotto da Schopenhauer: sperimentare con la tenuta per forma e per proprietà dei materiali (metallo in compressione, tessuto tecnico teso in trazione), ma soprattutto rispondere a un modo di abitare tutto nuovo, quello degli anni digitali, dove si rompe la corrispondenza univoca tra vita, lavoro, socialità e spazi a loro dedicati.
Immagine apertura: courtesy Thomas Kühl
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Z-Scape, divani, 2000
Zaha Hadid
Domus 827 giugno 2000
Come in architettura, anche nel design il lavoro di Hadid rappresenta una visione completamente alternativa sul progetto, come rappresenta concettualmente Z-Scape, vero e proprio sistema sviluppato per Sawaya & Moroni, ispirato alla formazione dei paesaggi terrestri. Un solido teorico di 5 x 2,5 m nel quale sono intagliati 4 elementi, due tavoli e due divani. Z-Scape racconta l’esordio della progettazione parametrica nel mondo dell’arredo, della possibilità di un completo controllo software sulla forma finale dell’oggetto e sulla sua produzione, come dimostrano i due elementi divano, Glacier e Moraine, che vengono prototipati come monoliti in schiuma poliuretanica per il Salone.
Immagine apertura: courtesy Zaha Hadid Architects
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Agaricon, lampada, 2000
Ross Lovegrove
Domus 827 giugno 2000
Delle grandi tendenze di inizio millennio, la lampada del designer gallese per Luceplan esprime quella a esplorare nuove tecnologie e materiali nelle loro possibilità espressive e interattive. Pensata come un fungo artificiale in policarbonato con all’interno la sorgente luminosa, Agaricon ricerca con la sua trasparenza monomaterica l’effetto di chiarezza delle bottiglie dell'acqua minerale, mentre toccando l’anello, tattile e termosensibile, che ne circonda la testa, se ne può regolare la luminosità. “Così”, dice Lovegrove a Domus, “in un senso fisico, questo pezzo finisce per rivelare una strana ambiguità, mostrando allo stesso tempo le proporzioni di un fungo e la trasparenza di una medusa”.
Immagine apertura: da Domus 827 giugno 2000
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Flap, divano, 2000
Francesco Binfarè
Domus 827 giugno 2000
“La sensibilità prevale rispetto al legno e al metallo. All'analogico o al digitale. Lo diceva quest'anno un graffito anonimo per le strade della vecchia Milano: ‘Life follows sincerity, form follows nothing’. Le parole con cui Juli Capella introduce il report di Domus dal Salone 2000 calzano perfettamente anche al rapporto creativo tra Edra e Binfarè, chiamato nel 1992 da Morozzi ad una collaborazione che genererà progetti sempre guidati dalla sensazione e dall’invenzione di situazioni. Flap ha una struttura di acciaio cromato su cui posa un’idea di divano inedita, dove schienali e braccioli si alzano e si abbassano come petali, negando il davanti e il dietro, l’ortogonalità, e tutte le posizioni predefinite.
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Chair_one, sedia, 2002
Konstantin Grcic
Domus 847 aprile 2002
Al Salone 2002 Domus dedica una serie di incontri con diversi designer per discutere con e attraverso loro differenti temi. È il caso di un Grcic che sta attraversando una fase di maggior distanza dal design anonimo che invece lo aveva affascinato nelle sue prime produzioni, ora “interessato a una maggiore complessità formale”. La sedia Chair_one, un’altra instant icon, è progettata in alluminio pressofuso, ma per Magis, usualmente operante sulla plastica: è quindi pensata come una struttura avvolgente continua che garantisce allo stesso tempo tenuta e comfort, sviluppata attraverso un continuo rimando tra modello virtuale e modello fisico per definire la forma ottimale; poggia su un piede in cemento o su quattro gambe in alluminio.
Immagine apertura: courtesy Magis
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Fiat Panda Alessi, 2004
Stefano Giovannoni
Domus 869 aprile 2004
La grande riflessione di Domus nel 2004 abbraccia Il mondo degli oggetti, le persone e soprattutto i nuovi significati che sono arrivati a dargli forma: sono anni dove il brand assume il valore di identità primaria, anche di collante capace di stendersi tra campi diversi e tenerli assieme, come nel progetto di co-branding che, con la firma di Giovannoni, unisce automotive e design del prodotto dando un'identità Alessi alla nuova Panda. Un progetto dichiaratamente di make-up, dove sono elementi visivi – cerchi, palette colori, specchi e tunnel all’interno, contenitori – a costruire questa identità alternativa, nell’idea di ampliare il bacino di riferimento di entrambi i partner.
Immagine apertura: courtesy Giovannoni Design
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Circle, divano, 2005
UNStudio/Ben Van Berkel
Domus 884 settembre 2005
A chiudere il cerchio, e non solo metaforicamente, della stagione parametrica ‘90–2000 nel design d’arredo, arriva il sistema di monolitici archi di circonferenza disegnati dallo studio di Van Berkel per Walter Knoll – continui come altezza di schienale, variati in profondità lungo il loro sviluppo – che si possono disporre in differenti combinazioni creando una varietà di situazioni e dinamismi. Se la rassegna Salone di Domus si apre con un saggio su “architettura, disabilità e paura”, è però ancora il rapporto tra forma ed emozione a dominare la scena e il mercato, in una stagione dove istanze sociali e istanze formali continuano a convivere su piani paralleli.
Immagine apertura: @Benne Ochs_Courtesy of Walter Knoll
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Cookit, Kit Open Source per cucina solare, dagli anni ‘70
Roger Bernard et al.
Domus 891 aprile 2006
Geodesign. “Chiedersi dove, come e perché gli oggetti complessi vengano oggi progettati”. Temi sempre più evidenti in quanto globali diventano priorità, come la limitatezza di molte fonti primarie di energia, e l’importanza di quelle rinnovabili. Ecco che si distingue sulle pagine di Domus non un oggetto da catalogo come era solito vedere in tempo di Salone, ma un oggetto da catalogo nel senso radicale del termine: un sistema di superfici specchianti che concentrano i raggi solari permettendo di cuocere, sperimentato fin dagli anni ‘70 formalizzato nel 1987 come progetto dal fisico Roger Bernard, ma poi evoluto negli anni col contributo di infinite ONG, aziende e utenti, dimenticando di volta in volta il proprio autore fino a diventare un oggetto a diffusione globale, totalmente open source, le cui istruzioni possono essere facilmente trovate anche online.
Immagine apertura: da Domus 891 aprile 2006
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Domestic Shell, partizione per interni, 2006
Erwan e Ronan Bouroullec
Domus 891 aprile 2006
Più che un oggetto, i fratelli Bouroullec studiano una formazione, come quelle rocciose o marine, una partizione autoportante perché fatta di elementi singoli connessi e solidarizzati, dove tanto la dimensione quanto la forma, il numero degli elementi e anche il loro processo di taglio a macchina sono il prodotto di un processo numerico, di un controllo software. Questo esperimento ideato per Vitra è un nuovo e più profondo episodio che descrive un abitare dove si rende necessario suddividere, schermare gli stessi spazi dove già si vive, per dare risposta a un ibridarsi delle funzioni che è risultato della digitalizzazione globale così come lo è la forma della stessa partizione.
Immagine apertura: da Domus 891 aprile 2006
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Antibodi, chaise longue, 2006
Patricia Urquiola
Domus 892 maggio 2006
Gli anni 2000 sono anche anni di un ritorno a un rapporto più leggero, quasi sereno con la decorazione, così come a una riconsiderazione del rétro come linguaggio che si può sposare bene con l’innovazione tecnologica. Per Domus, il 2006 è anche l’anno di un inviato speciale molto speciale, Gillo Dorfles, che percorre Salone e Fuorisalone alla ricerca di una mappatura dello stato del design. In Fiera, Dorfles si dichiara piuttosto a disagio nel sedersi sui fiori di panno 3D che ricoprono la chaise longue creata per Moroso da Patricia Urquiola, designer che trova in ogni caso le lodi del critico, e che proprio con Antibodi dichiara aperta l’age d’or della convivenza di decorazione e tecnologia.
Immagine apertura: da Domus 1000 marzo 2016
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Myto, sedia, 2008
Konstantin Grcic
Domus 913 aprile 2008
Ancora Grcic, ancora un debutto in Salone, ancora un Compasso d’Oro. La sedia presentata ufficialmente a Milano nel 2008 per Plank, e poi premiata nel 2011 “per aver risolto il problema della struttura e della flessibilità attraverso un intelligente uso del materiale plastico”, era stata mostrata in anteprima a Düsseldorf per una fiera di settore piuttosto estranea al mondo dell'arredo, cioè quella della plastica: nasce infatti da una collaborazione lunga un anno con la BASF attorno a un materiale plastico specifico, che ha permesso di realizzare una sedia in plastica a sbalzo stampata in un unico blocco.
Immagine apertura: courtesy Plank
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Skin, sistema di sedute, 2008
Jean Nouvel
Domus 913 aprile 2008
Architettura e design: lunga, sempre complessa, sempre imprevedibile, talvolta burrascosa relazione. Ma Jean Nouvel, quando crea per Molteni & C. il sistema di divano, poltrona e pouf Skin, ha già 40 anni di carriera e un ampio catalogo di quelle che lui chiama “piccole architetture per interni”, non è nuovo a esplorare questa relazione, e a partire dal concept di interni per il Musée du Quai Branly a Parigi porta avanti la ricerca su mobili in parte strutturati, da un telaio in tubolari metallici, e in parte autoportanti, grazie al loro rivestimento strutturale in cuoio o feltro bifacciale, con incisioni geometriche automodellanti.
Immagine apertura: via molteni.it
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Concrete Things, sedute per esterni, 2009
Komplot
Domus 934 aprile 2009
Man mano che col nuovo millennio il campo del design si fa sempre più ampio, staccandosi dalla sola sfera del prodotto, anche un evento di per sé basato sugli oggetti come il Salone cambia la sua forma, seguendo le mutazioni del suo contenuto. Compaiono oggetti, ad esempio, che sono effettive discussioni critiche di temi come l’uso dello spazio pubblico: un po’ come faceva Ugo La Pietra con i suoi piani inclinati in giro per Milano, ma qui siamo nell’ambito del prodotto da catalogo. Le sedute in calcestruzzo dello studio danese Komplot per Nola vanno in esterni pubblici, hanno una forma che è memoria della presenza di un corpo, in una superficie descritta da una griglia deformata: materializzata in metallo, la griglia diventa a sua volta una seduta, complementare a quella monolitica che le corrisponde.
Immagine apertura: courtesy Komplot
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Stelle Filanti, lampada, 2013
Atelier Oï
Domus 970 giugno 2013
Anche la parola “artigianato” vive un grande ritorno sulla ribalta del design, specialmente con gli anni ‘10, e in rapporti di volta in volta diversi, di maggiore o minor contrasto, con il concetto di “produzione industriale”. Atelier Oï, realtà svizzera da sempre investita nel carattere interdisciplinare del design, si allea con uno dei nomi leggendari della produzione vetraria di Murano, Venini, per proporre una lampada a sospensione in vetro soffiato – lattimo combinato a tipologie diverse – lavorato a mano, che viene sorretta da una maglia di fasce sottili in cuoio che vanno a creare una vera struttura spaziale, al contempo naturale e progettata.
Immagine apertura: da Domus 970 giugno 2013
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Tierras, piastrelle, 2014
Patricia Urquiola
Domus 983 settembre 2014
Tattilità e cromatismi dallo stato naturale della materia, in una parola matericità. Un concetto ormai tornato a dominare le filosofie contemporanee dell’interior, in un cambiamento che Patricia Urquiola interpreta presentando al Salone 2014 una linea di terre – Tierras, appunto – per Mutina: piastrelle in otto formati e sei colori saturi e naturali, ceramica riciclata su cui si compongono lave, terra e terracotta; ma anche una collezione di gelosie in cotto, moduli componibili pensati per creare partizioni, dare tridimensionalità alle superfici verticali e fare anche dell’ombra una materia.
Immagine apertura: da Domus 983 settembre 2014
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Cell, sedute
Dorigo Design (F. e M. Dorigo, L. Garbet)
Domus 991 maggio 2015
Gli arredi degli anni ‘10 rispondono a nuove parole d’ordine nella concezione degli interni, come coworking, embrionalmente smart working, il sempiterno open space e l’ormai consolidato nomadismo digitale: tutte articolazioni di uno spazio del lavoro che non è più unico, localizzato, delimitato e individuale. In paesaggi ibridi e diffusi come i coworking, o di passaggio come hotel e centri congressi, lo spazio necessario a isolarsi, pensare, effettuare chiamate spesso va a coincidere con singoli elementi d’arredo, come le poltrone e i divani a schienale alto di questa linea prodotta da Sitland, che abbinano il poliuretano ad un isolante acustico garantendo privacy e si combinano con altri elementi come poltrone, pouf e sedie da conferenza.
Immagine apertura: courtesy Dorigo Design
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Origami, radiatore, 2016
Alberto Meda
Domus 1002 maggio 2016
La logica è “plug-and-play”: prodotto da Tubes, Origami è un radiatore elettrico che però a seconda della collocazione assume ruoli differenti, soprattutto nello spazio. Gli elementi verticali, collegati da cerniere e poggianti a terra su piedi metallici, formano un paravento scaldante, mentre un singolo elemento a libro, montato a parete, può servire per avvolgere, scaldare e riporre asciugamani. Di nuovo un’interazione tra dispositivo tecnologico e spazio dell’abitare, che nell’anno della presentazione vince il Salone del Mobile.Milano Award come miglior oggetto nel settore bagno, e nel 2018 vince il Compasso d’Oro
Immagine apertura: courtesy Alberto Meda. Foto di Max Zambelli
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Wireline, lampada, 2019
Formafantasma
Domus 1035 maggio 2019
Il duo milanese amplia il dialogo con Flos, iniziato con la lampada Wirering, estendendolo agli spazi pubblici nella chiave di quello che chiama “minimalismo tecnico”: una rarefazione e semplificazione degli elementi visibili che richiede un alto tasso di ingegnerizzazione. La sospensione è garantita da una fascia di gomma ad arco, ad attacco decentrato (che contiene il cavo), mentre l’apparecchio illuminante è un tubo quasi astratto in vetro estruso. Brand e progettisti si ritrovano nel parlare la lingua di un’epoca, interpretandone e plasmando il lessico in prodotti che puntano a diventare anch’essi instant icons.
Immagine apertura: foto di Henrik Blomqvist