Nel 1966, Il territorio dell’architettura, certamente il saggio più importante tra i tanti scritti da Vittorio Gregotti, svela al mondo della teoria e della pratica architettonica orizzonti nuovi e prima in gran parte inesplorati. Ne rinnova non solo la scala di riferimento, ma soprattutto le strategie di relazione con il contesto e la geografia.
Anche sulla scia della riflessione gregottiana, l’architettura italiana degli anni Settanta s’impegna ad esplorare le città fuori dalle mura dei centri storici (spesso ridotte in ruderi, ma sempre conservate come memorie rassicuranti). Progetti di edifici animati da un forte slancio civico commentano brani di tessuto suburbano, che fino ad allora una disciplina dai dogmi invecchiati aveva rifiutato di osservare.
Italia, anni Settanta. I nuovi territori dell’architettura scolastica
Maurizio Sacripanti, Gino Valle, Aldo Rossi e Vittorio Gregotti: una generazione di progetti ambiziosi per scuole di ogni grado rifletteva sulle possibili strategie di costruzione della città contemporanea.
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- Alessandro Benetti
- 17 settembre 2018
- Italia
Nel 1983, quando è già possibile tracciare un bilancio di una stagione dalle ottime intenzioni ma dai risultati contraddittori, sulle pagine di Domus Fulvio Irace descrive con queste parole i percorsi di ricerca di due suoi protagonisti indiscussi: “Laddove i grandi fossili disseminati da Guido Canella nell’ostica cintura dell’hinterland padano gridano la concitazione passionné dell’urgenza di un ritorno alla tradizione dell’architettura civile, le muse silenziose di Aldo Rossi parlano il linguaggio algido e trattenuto della sottrazione segnica e della reticenza espressiva. Al fondo, dunque, una comune aspirazione o nostalgia a quella magnificenza dell’architettura che costituisce, forse, il virtuale luogo di complementarità di architetture così divergenti”.
La sintesi di Irace chiarisce con grande forza evocativa tanto le specificità quanto il retroterra culturale comune alle esperienze dei due architetti, in occasione della presentazione sul numero 639 della rivista del progetto di Rossi per una scuola media a Broni.
Negli anni ‘70, numerose scuole di ogni grado, dagli asili alle università, si caricano nelle intenzioni dei loro progettisti di un valore culturale e sociale che trascende ampiamente la richiesta “statistica” di infrastrutturare i nuovi quartieri e dotarli dei servizi necessari, secondo le indicazioni degli strumenti urbanistici.
In continuità con alcune fortunate esperienze italiane (una su tutte, la convincente reinvenzione di Urbino come città universitaria, da parte di un’amministrazione cittadina illuminata e di Giancarlo De Carlo) e nell’ambito di una rinnovata attenzione alla qualità dei luoghi dell’istruzione alla scala internazionale (si pensi ai progetti olandesi di Herman Hertzberger), la scuola è considerata uno dei tasselli fondamentali per definire una possibile coerenza spaziale e stimolare un sentimento comunitario in luoghi che ne sono sprovvisti.
Ben al di là del lotto loro assegnato, gli edifici scolastici ambiscono a riverberare sul proprio contesto, catalizzandone le energie: nei centri urbani, nelle periferie e nel territorio. È ancora Gregotti l’autore di uno dei tentativi più ambiziosi in questa direzione: le immagini e i disegni del colossale viadotto mai compiuto dell’Università della Calabria, megastruttura ad alta precisione urbanistica affondata da infinite peripezie burocratiche, sono icone malinconiche che testimoniano del parziale fallimento non di un singolo edificio, ma del progetto culturale di un’intera stagione.