Alla fine della seconda fase dell'emergenza COVID può essere utile tornare a vedere come si pensava il 2020 all'inizio di gennaio, quando lo scenario globale ancora non sembrava dare troppa importanza ai primi casi di "influenza" registrati nel mercato umido di Wuhan. E ne attribuiva invece molta a una nuova configurazione geopolitica che l'attento Economist aveva appena messo subito in copertina ribattezzandola Anglosphera versus Sinosfera.
Otto mesi dopo, in una realtà globale radicalmente stravolta sotto ogni profilo, davanti all'incertezza di nuove ondate di contagi e ancora lontani da una soluzione scientifica, quell'immagine resta valida.
Anglosfera e Sinosfera sono infatti due configurazioni informali e sovranazionali, omogenee per lingua e cultura ma soprattutto per attitudini sociali e politiche. L'Anglosfera è costituita sostanzialmente da America, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Un gruppo piuttosto compatto di leading o ex leading countries, tutte di lingua inglese, tutte con indici di ricchezza molto alti ma soprattutto tutte caratterizzate da società aperte, tendenzialmente di impostazione democratica, che hanno generato e continuano a generare grandi libertà sociali e individuali, di cui la più importante è l'impossibilità, o quasi, della censura. Dall'altra parte del globo e della realtà si colloca invece la Sinosfera, che si presenta come un ecosistema di tutt'altra specie, dove la deferenza verso il leader politico a vita è non solo auspicato ma dovuto, con tutto quello che ne consegue.
Sebbene la Sinosfera sia costituita in larghissima parte dalla Repubblica Popolare Cinese, molti sono gli stati asiatici, ma anche africani e sparsi in molte regioni dell'ex terzo mondo, che rientrano sotto il suo influsso. Un influsso che sta cambiando radicalmente, e a una velocità impressionante, tutti i concetti base che fondavano il primato dell'Anglosfera: libertà, mercato, democrazia, futuro.
In realtà, come riconosceva l'Economist, si tratta di costruzioni giornalistiche, di modelli teorici o se vogliamo di paradigmi leggeri. L'Anglosfera nei fatti non esiste, non ha un confine, non ha un sistema di leggi, non ha un presidente e un governo, proprio come non lo ha la Sinosfera. Però, se ragioniamo con queste due categorie, riusciamo a capire meglio il mondo che ci aspetta nel futuro prossimo, che il COVID ha accelerato e stravolto al tempo stesso. Tutti i paesi dell'Anglosfera hanno in comune una (teorica) libertà di parola e d'impresa, assieme a una larga tolleranza per la differenza di costumi e di abitudini, da quelle religiose a quelle personali. Questo fa dell'Anglosfera un metaluogo abbastanza attrattivo, dove continuano a convergere due terzi degli immigrati globali con la più alta preparazione, culturale e professionale. A differenza della Sinosfera, dove secondo le ultime ricerche (fonte Gallup) solo l'1% dei 750 milioni di immigranti desidera trasferirsi. Al punto che l'Australia da sola avrebbe più residenti stranieri di tutta la Cina.
Altre caratteristiche delle due sfere appaiono ancora più significative. Fra queste c'è un vero asset intangibile ma molto materiale: la fiducia. I membri dell'Anglosfera risultano più disponibili a fidarsi fra di loro. Non solo rispetto a quelli della Sinosfera ma anche rispetto ad altre democrazie ricche non parlanti inglese, come per esempio Francia, Germania e Giappone che non hanno mai messo in comune i loro servizi di intelligence come invece hanno fatto i cinque membri dell'Anglosfera. All'esatto opposto, la Sinosfera gira il mondo per offrire consenso ma non lo trova così facilmente, sebbene "compri" influenza con strade e prestiti, e soprattutto offra un modello a chiunque vuole conciliare rapido sviluppo economico con l'opposto dei principi democratici.
Il tema della fiducia appare cruciale, perché le due sfere non si fidano affatto l'una dell'altra. Lo dimostra l'atteggiamento degli Stati Uniti, ma anche le preoccupazioni dell'Australia verso il commercio con la Cina. Da questo la strategia dell'Anglosfera rispetto al controllo militare del pacifico della Cina, che han portato l'Anglosfera addirittura a rallentare l'adozione della tecnologia 5G, dominata da aziende cinesi, per non rischiare di esserne ostaggio intellettuale ed economico. Tutto mentre la Sinosfera sta investendo in spese militari in una maniera mai vista e con chiari obiettivi antiamericani.
Da queste premesse, lo scontro in prospettiva appare inevitabile. Come scongiurarlo, quindi? E come far si che le metastasi delle relazioni fra America e Cina, cuori pulsanti delle due sfere, non degenerino in uno scontro aperto che potrebbe partire proprio dall'influenza nei mari del sud?
È qui che l'architettura e le tematiche che ogni mese affrontiamo a Domus diventano cruciali, non solo nel 2020 ma in prospettiva. Un buon terreno comune infatti potrebbe essere il tema della sostenibilità, del carbon footprint, dell'emergenza climatica e dei rischi infrastrutturali della mobilità globale. Così, se è un dato che America e Australia non sono riuscite a portare a bordo la Cina sui temi del cambiamento climatico e dell'inquinamento dei mari, è anche vero che la retorica di ostilità soprattutto di Donald Trump non ha creato il miglior ecosistema per raggiungere gli obiettivi.
Un fatto è certo: la collaborazione degli ingegni del design e soprattutto dell'architettura, che resta una chiave globale e pacifica di business ma soprattutto di empowerment delle libertà individuali e dell'evoluzione della società, appare come una chiave cruciale di collaborazione e di stemperamento degli animi molto più plausibile dell'abbassamento delle tariffe americane per i prodotti cinesi o la maggiore accessibilità verso la proprietà intellettuale tecnologica cinese auspicata dal settimanale londinese. Anche nel 2020, ma soprattutto nel 2020 che sta cercando di trovare soluzioni dopo la pandemia, che sta cercando bussole per ricostruire la più grande crisi avvenuta fuori dai conflitti nell'era modera, che rischia di creare il più grande vulnus alle società e agli individui degli ultimi secoli, il primo modo di costruire i ponti resta proprio costruire i ponti fuori di metafora, assieme alle città, gli appartamenti e gli oggetti grazie alla sfera di professionisti di tutto il mondo che contaminano, in continuazione, le due sfere.
Mai come adesso l'architettura e il design, inteso come approccio intelligente alle problematiche della società, sono la chiave geopolitica obbligata per superare l'empasse e ripensare il futuro. Mai come oggi l'estetica pubblica è il tentativo pacifico e altamente culturale per ridurre le diseguaglianze su scala globale, superando sia l'arroganza di alcuni player assolutisti del mercato globale sia le tentazioni protezionistiche dei loro antagonisti sia delle talassocrazie petrolifere, per usare una felice espressione di Gianni Bonini.
Dal 1928 Domus si occupa, in chiave verticale e orizzontale, di tutto questo. Guarda il mondo da Milano e porta l'Italia nel mondo, essendo distribuito in più di 85 paesi e riconosciuto come leader iconico dell'architettura, del design e dell'arte. I giornalisti di oggi direbbero che da quasi un secolo Domus fa “design thinking”, quell'insieme di processi cognitivi, strategici e pratici con il quale la progettazione di edifici, prodotti e macchinari è sviluppata e, soprattutto negli ultimi anni, si è spostato verso l'innovazione di servizi individuali e sociali, diventando così un paradigma operativo e strategico per pensare il futuro ripensando il presente attraverso visione e gestione creative. Un approccio, quello di Domus, che resta centrato sulle persone e si basa sull'abilità di integrare capacità analitiche con attitudini creative nel segno di quel sapere politecnico che unisce anima tecnica e umanistica e che definisce, dal Medioevo, la cultura milanese e italiana. Un metodo che a Domus continuiamo a praticare, offrendolo come contributo per immaginare e realizzare una società che sia migliore non perché si confronta con le emergenze che la realtà ci mette di fronte ma con la nostra idea di vita che si afferma su queste condizioni. Sempre.