di Alessandro Scarano
Ehi Siri, accendi il giradischi!
E il giradischi Beogram 7000, uno degli ultimi modelli prodotti da Bang & Olufsen sul finire del ventesimo secolo, effettivamente parte, con il vinile che prende a girare sul piatto, senza che nessuno abbia toccato un singolo tasto. Una luce soffusa si accende sulla chaise longue accanto. La musica si diffonde nel grande soggiorno. Che è un vero soggiorno, ma non un soggiorno vero.
La Beo Home è la casa ideale e fittizia costruita dalla celebre azienda danese di elettronica Bang & Olufsen, per dimostrare come la sua filosofia sia quella “di adattarsi all’utente”, spiega Jette Nygaard, Comms Specialist, Brand & Heritage. E come i dispositivi interagiscano con altri, anche di terze parti, in un circolo virtuoso di flessibile funzionalità: le tende scendono per creare il buio quando si guarda un film sul grande Beovision Harmony, che poi ruota per orientarsi verso il tavolo durante il pranzo; oltre ad ascoltare musica, nel bagno si può anche guardare la tv su uno schermo antischizzo Aquavision; e poi l’esperienza quasi magica di pescare il vinile del primo Greatest Hits dei Queen, metterlo su un ripiano e sentire la versione digitale che parte sugli speaker ottagonali da muro Beosound Shape.
In casa B&O, dove nel 2025 si celebra il centenario dalla fondazione, tutto questo non è una novità. Il telecomando Beolink 1000 del 1982, spiega Nygaard, consentiva già di gestire riproduzione audio e video comodamente dalla poltrona; poco più tardi veniva integrato il controllo diretto delle luci di casa. Qui a Struer la casa era già smart.
Il processo di design a Struer
Kresten Krab-Bjerre da piccolo ascoltava i Doors sul giradischi di famiglia, ovviamente Bang & Olufsen, marchio di cui oggi è Director, Head of Creative.
Il suo percorso personale non poteva che portarlo qui, dopo tutto. Da ragazzo lavorava nell’azienda di fabbricazione di utensili di famiglia quando si è iscritto a ingegneria meccanica. “Volevo capire come funzionavano le cose che facevo”, spiega lui. E quando poi ha voluto approfondire l’aspetto umano della progettazione, ha studiato design industriale nel Regno Unito. Bang & Olufsen, dove ingegneria, design e artigianalità sono tre pilastri fondamentali, è da trent’anni la sua casa.
Noi ci sediamo insieme, lavoriamo insieme e risolviamo insieme i problemi.
Kresten Krab-Bjerre
È lui che accompagna Domus nella cosiddetta Big Room della nuova sede di Struer di B&O, 25mila metri quadrati ricavati da un ex stabilimento, dove lavorano circa 500 persone e sulle pareti della mensa si susseguono le foto dei dipendenti che nel corso di quasi un secolo hanno accumulato almeno 25 anni di anzianità aziendale. Apre le danze Peter Bang, manca invece l’altro fondatore, Svend Olufsen, scomparso a 52 anni e troppo presto per avere il suo posto su questa parete. Le regole sono regole e valgono per tutti, anche per i fondatori, nel democraticissimo e severamente scandinavo regno di Danimarca.
Le due ali della Big Room - che è parecchio big - sono occupate da un lato da un setting che potrebbe stare bene in una fiera, con una esposizione dei nuovi prodotti di B&O in teche e ambienti fittizi ricostruiti ad arte; dall’altra parte invece una raccolta di storici dispositivi dell’azienda, dove si riconoscono alcune icone. Krab-Bjerre indica il BeoSound 9000 di David Lewis, il lettore cd verticale di fine anni Novanta, che per primo valorizzava l’artwork dei dischi, dando una rilevanza all’aspetto visuale della musica che dall’iPod in poi (2001) diamo per scontata. Oltre a permettere uno shuffle continuo di musica tra multipli album, un’altra cosa che oggi diamo per normale, all’epoca lo era molto meno. “È un oggetto che fa quello che ti aspetti che faccia”, dice il designer, spiegando che questo è un principio di progettazione fondamentale per lui. “È il genere di cose che cerco di fare”.
A pochi metri, incorniciata, la lettera del ’72 firmata da Philip Johnson con cui il Moma elenca gli apparecchi di Bang & Olufsen che entravano a far parte della sua collezione. Questa non è semplicemente una vetrina, o il ricordo di glorie passate per una azienda che guarda potentemente al futuro. È anzi quasi un imperativo: quello di continuare a creare dispositivi senza tempo, oggi come ieri. Perché le tecnologie cambiano, sottolinea Krab-Bjerre, “ma il comportamento delle persone non cambia”. E l’ambizione è quella di creare prodotti che possano essere utilizzati per sempre. Un aspetto a cui l’azienda danese tiene molto, anche per questioni di sostenibilità - e per giustificare sicuramente prezzi che la pongono decisamente nella fascia di lusso dei produttori di tecnologia. “Se lo fai nella maniera giusta, allora hai creato un’icona”.
Al centro della Big Room è in scena il presente dell’azienda e del suo processo di progettazione, con mockup e prototipi e una versione “aperta” in modo da potere osservare la complessa architettura elettronica interna di schede verdi e circuiti, tutti che raccontano com’è nato e come si è sviluppato l’impressionante BeoSound 90 (che costa circa 135mila dollari), il cui stampo in alluminio adagiato su un fianco è come una navicella spaziale atterrata sul suolo della Danimarca occidentale.
Ed ecco il Beolab 8
Ma è il suo fratello più piccolo, il Beolab 8, il vero protagonista della conversazione. È su quest’ultimo che Krab-Bjerre si sofferma, passando in rassegna diversi prototipi, sollevandoli e coccolandoli come si farebbe con un bambino; illustrando le varie possibilità di posizionamento - con stand da terra, da tavolo, o da parete; mostrando come il diffusore possa cambiare completamente aspetto - con una predominante in legno, o in alluminio, o diversi colori - grazie a una serie di elementi magnetici che si sganciano e riagganciano con un clic.
“Questo è il design più flessibile per la vita moderna” Most flexible design for modern living spiega l’Head of creative. Le scelte cromatiche e di materiali sono perfettamente coerenti con l’eredità di B&O e con gli altri speaker con cui il Beosound è imparentato, come il più grande Beolab 28 – “per la prima volta dagli anni Ottanta, stiamo costruendo una vera e propria lineup, una famiglia di prodotti”, sottolinea Krab-Bjerre. La finitura della parte inferiore, che lo fa somigliare a un proiettile o a un piccolo razzo se girato a testa in giù, porta la chiara firma di Factory 5, l’impianto per la lavorazione dell’alluminio a poche centinaia di metri da qui, dove elaborate procedure industriali, compresa la complessa filiera dell’anodizzazione per colorare i dispositivi, incontrano la sapiente attenzione al dettaglio accumulata nel corso di un secolo di esperienza; qui è l’umanità di chi trasmette conoscenza nel prodotto a fare fare la differenza e anche davanti all’automazione dei robot pare di assistere all’opera di attentissimi artigiani.
Lavorare insieme
In questa gigantesca sede c’è un’altra “big room”, dove si possono vedere ancora elementi del vecchio impianto che sorgeva qui prima del 2017, con i binari sopraelevati o la macchinetta per quando la timbratura del cartellino ancora non sembrava un concetto obsoleto. In questa stanza non ci sono però prodotti o dispositivi, ma persone. Che siedono insieme e insieme partecipano alla nascita delle sublimi creazioni di Bang & Olufsen. “Sono orgoglioso quando abbiamo successo come team”, spiega a Domus Krab-Bjerre. Una cosa molto scandinava, che sarebbe difficile da pensare lontano da qui. “Ma è come ci insegnano a lavorare da quando siamo piccoli”, sottolinea lui.
Il processo che va dall’ideazione di un nuovo prodotto all’inizio della sua fase di produzione, racconta, impiega circa sei mesi. In questo lasso temporale, chi si occupa del design e chi dell’ingegnerizzazione e chi del suono lavorano fianco a fianco, anche insieme ai colleghi di altri reparti ancora, con un tiki-taka che porta alla definizione di gruppo del progetto laddove in qualsiasi altra grande azienda tecnologica ci sarebbe un continuo rimpallo tra diversi team, trincee, barriere, i classici “non si può fare” che rimbalzano da un reparto all’altro.
“Noi ci sediamo insieme, lavoriamo insieme e risolviamo insieme i problemi”: questo succede dal giorno uno, in un processo che complessivamente dura due anni; a quel punto il prodotto sarà pronto per essere consegnato. “Deve essere speciale”, dice Krab-Bjerre, e la ricetta di B&O per riuscirci è appunto questa compenetrazione tra design e ingegneria, con un tocco di artigianato, che rende possibile la magia. Da un secolo.
Durare per sempre
Nel 1945, a guerra oramai agli sgoccioli, i nazisti fanno saltare la fabbrica di Bang & Olufsen. L’azienda era nata esattamente due decenni prima nella fattoria degli Olufsen e all’epoca si era distinta per le sue radio innovative. È la ritorsione contro le attività di supporto alla resistenza durante il conflitto, con il coinvolgimento in prima persona da parte di Olufsen e la produzione in segreto di un apparecchio radio portatile (la “phone book radio”) per i partigiani danesi. La fabbrica prima rasa al suolo e poi alacremente ricostruita viene raccontata da una serie di foto nella vasta area dedicata a B&O del museo di Struer, dove B&O è nata. “Difficile trovare qualcuno che non sia in qualche modo connesso con l’azienda”, mi dicono tutti di questa cittadina sonnolenta affacciata sulla costa.
Dopo la guerra, Bang & Olufsen per risollevarsi deve essere concreta. Così si lancia nella produzione dei rasoi elettrici, all’epoca popolarissimi, per uomini e donne. Nel 1950 il primo prototipo di televisore. Ma la svolta più grande arriva a metà del decennio. Grazie a una osservazione difficile da lasciar passare, quella del critico Paul Henningsem. Il quale fa notare alle tante (all’epoca) aziende di radio e tv danesi che mentre il design della nazione sta decollando, il suo comparto di tecnologia da consumo resta nelle forme ancora troppo all’antica.
Bang & Olufsen reagisce prontamente. Lo fa lanciando sul mercato il Capri 514, un televisore compatto dalle linee modernissime, con uno schermo curvato in modo da essere anti-riflesso, ancora oggi un esempio chiave nel design di Bang & Olufsen. L’anno successivo, nel 1959, Helge Franke Morthensen disegna la radio Mini Moderne 606 K. La B&O che conosciamo in qualche modo nasce lì e inizia così il percorso che l’avrebbe portata nell’olimpo del design. “Mi è stata data ogni libertà che un designer possa immaginare”, avrebbe dichiarato Jacob Jansen, uno dei grandi innovatori del design di Bang & Olufsen, che guidò dalla metà degli anni Sessanta firmando giradischi ancora oggi ricercatissimi sul mercato del modernariato (il Beogram 4000, recentemente reimmaginato con il modello 4000c), sistemi Hi-Fi (Beosystem 5000).
Quella di Bang & Olufsen è una grande storia di design, unica nel mondo del prodotto e dell’elettronica di consumo, che passa dalle radio ai telefoni, dai tv alle tastiere per computer (ideata da David Lewis e mai entrata in produzione), telecomandi e anche un celebre apribottiglie (prodotto ancora oggi e disegnato nel 1937!) fino agli speaker connessi di oggi, ma anche alle cuffie e agli auricolari. Un grande passato, che però appare quasi metaforicamente relegato nel piano interrato di un museo: come a dire che il passato è glorioso, ma l’importante è l’oggi. Un oggi in cui Siri dialoga con un giradischi del secolo scorso. È questa la grande lezione che si impara a Struer: che il motivo del successo di B&O non sta forse nel suono o nelle forme o nella coolness che globalmente si associa al brand. Quelle sono soltanto le conseguenze di una ambizione più alta. Perché la grande sfida che ha reso unica l’azienda danese è quella che ha intrapreso con il tempo. Creando prodotti immortali. Icone: da usare e ammirare per sempre.
Immagine di apertura: Courtesy Bang & Olufsen