È nato come veicolo commerciale, un mulo da lavoro, ed è diventato un simbolo di libertà. Era il simbolo della rinascita a benzina di un'Europa in ginocchio e oggi diventa elettrico. Il Volkswagen Typ 2 (“Tipo 2”) è uno dei mezzi che più ha cambiato pelle durante la sua storia ma dopotutto aveva un padre che aveva fatto la storia. Typ 2 infatti deriva dal Tipo 1, meglio conosciuto come Maggiolino (o Maggiolone in alcune zone d'Italia). Come nella classica scuola tedesca, il primo modello è razionalista, privo di fronzoli e con un'estetica tutta votata alla funzione. Non è un caso.
Ad avere l'idea di questo cassone su gomme era stato Ben Pon, importatore olandese della VW che era stato colpito da un mezzo curioso visto nello stabilimento di Wolfsburg. Sotto c'era la meccanica di un Maggiolino ma era stata riadattata per farlo diventare il Plattenwagen, un carrello trasportatore. Un adattamento fatto alla buona, di uso prettamente industriale, con una cabina piccola e stratta sul retrotreno e un vano di carico sull'avantreno. Da lì l'illuminazione. Fa i primi schizzi e li propone al marchio. Siamo nel 1947, poco dopo la guerra, e la Germania ha bisogno di ripartire. Dalle merci, ovviamente.
Ecco quindi che nel 1949 nasce il Transporter T1, praticamente un parallepipedo su ruote con un enorme volume interno tutto dedicato al trasporto merci. Ai tedeschi piace e, come ogni auto del cuore, riceve subito un soprannome, Bulli. Però perché fermarsi alle merci? Quel vano di carico fa gola a chi voleva viaggiare spendendo poco e così ecco un primo cambio di pelle. Con la versione Samba, il Trasporter diventa un mezzo di lusso. Ha il tettuccio apribile e tutta una serie di finestrelle panoramiche che ne fanno un mezzo da viaggio adattabile anche come minivan. Nasce insomma quel germe di libertà che esploderà negli anni ’60 con il Westfalia, la versione camperizzata senza la quale il movimento hippie non sarebbe stato lo stesso. Una metamorfosi curiosa per un mezzo nato da un marchio voluto direttamente da Adolf Hitler. Questa però è un'altra storia e, dopo l'Europa, il Bulli conquista la costa ovest degli States, compare su libri, t-shirt, album. Difficile resistere alla versione bicolor con la fascia colorata laterale che va a chiudersi in basso sul muso a formare una freccia.
La prima versione un po’ militaresca, con quel parabrezza diviso in due e il muso che sembra un elmo medievale, viene addolcita con il nuovo modello del 1967, il Transporter T2 Bay. Tutto ciò che prima era quadrato ora diventa tondo. Il parabrezza ora è unico, ampio (da qui il nome Bay, derivato da Bay-window), i fari sembrano occhi, la presa d'aria delle sopracciglia, il grande marchio VW un naso. Il Bay sembra un mezzo uscito da un manga giapponese, fa simpatia e tenerezza e ovviamente non rinuncia alla versione camperizzata. Il modello, con qualche modifica estetica sopravvivrà per ben tredici anni in Europa, dal 1967 al 1979, ma nei paesi emergenti durerà ancora a lungo. In Brasile, per esempio, è stato dismesso solo nel 2013, con la Kombi Last Edition, edizione speciale (e bruttina) limitata a soli 600 esemplari.
Il mito però si ferma negli anni ’70 con la terza generazione, chiamata T3. Il Typ 2 ha perso il suo fascino, diventa squadrato, spigoloso, poco attraente, più una grande utilitaria per chi ha tanti figli, un monovolume che non è più un simbolo ma una necessità. Ma non è la fine, solo una nuova mutazione, con i successivi modelli T4, T5 e T6, uscito nel 2015 e tutt'ora in produzione, il Bulli del passato diventa un Multivan, un mezzo per muovere tante persone in poco spazio. Ha perfino allestimenti di lusso e versioni furgonate ma, dopo oltre settant'anni, non rinuncia a diventare un camper che, non a caso, è stato battezzato California.
Insomma, sarebbe la fine della storia e invece no. A differenza del Maggiolino che è andato in pensione nel 2019, il Bulli continua a venire riproposto. A parte il T6 ancora in produzione, il marchio di Wolfsburg ha in serbo per il 2022 una versione elettrica con autonomia di livello 4. Il nome sarà ID.7 mentre il design sarà figlio del concept ID.Buzz visto al Salone di Francoforte del 2017. Nelle linee futuristiche, filanti ma muscolose firmate Einar Castillo, è facile rivedere la burbera e austera fisionomia di quell'antenato che ha fatto la storia. Chissà, se, come lui, sarà in grado di cogliere quell'afflato pacifista ed ecologista che ancora oggi, dopo oltre settant'anni, continua a fare presa.