Carousel, la giostra di moulage e modelli di tassidermia installata nel sottosuolo della Fondation Cartier è un opera del 1988 ma è la più semplice delle metafore per descrivere il carattere diretto del lavoro e lo stato attuale della leggenda dell’artista Bruce Nauman nato a Fort Wayne, Indiana, nel 1941.
Bruce Nauman
Con la mostra alla Fondation Cartier, l’americano Bruce Nauman si riconferma come un artista capace di descrivere il nostro prometeico e impossibile rapporto con il reale.
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- Ivo Bonacorsi
- 10 aprile 2015
- Parigi
Tutto, in questa mostra, funziona come in un idillio di sensibilità celibe, modulando i dispositivi tipici di questo schivo ed enigmatico artista americano.
Ogni lavoro sottolinea la sua estrema abilità nel presentare le idee nella loro forma più diretta ed essenziale. Un cerchio perfetto si traccia al suolo, nel roteare di questo simulacro di parco dei divertimenti – disegno o unico segno – ma altro non è se non una corsa sospesa, di linci, cervi e coyotes, un ibrido tra la fisicità del macello e l’innocenza del divertimento infantile.
Tradisce, forse, di Nauman una localizzazione geografico-biografica – l’artista è dagli anni ’70 installato in New Mexico in un ranch, che non lascia per la mondanità dell’attuale sistema dell’arte. La sua opera si presenta nuda come questa rincorsa ambigua al senso profondo dell’opera, che consciamente sprofonda gli spettatori in una posizione di disequilibrio. Per Nauman è stato così fin dall’inizio, da quel self-portrait as Fountain del 1966 in cui la fisicizzazione del gesto concettuale e fondante di Marcel Duchamp fu annientata in un’azione catartica. La componente feticista e oggettuale del famoso urinatoio del sig. Robert Mutt veniva cancellata nello zampillo che usciva dalla bocca di Nauman.
Oggi un nuovo display di poche, precise selezionatissime opere, tutte conosciute dagli addetti ai lavori, ma per le quali l’artista ha cercato una diversa assonanza con lo spazio architettonico, rende doppiamente interessante la loro rivisitazione. Il carattere processuale del lavoro di Nauman, prosegue nella ricerca dell’effetto meditativo, una sorta di mantra in cui il pubblico è invitato ad abbandonarsi. Impossibile ancora una volta tentare una possibile spiegazione dell’enigma Bruce Nauman. Il quantum di illusionismo nel dato crudo che egli presenta ai nostri sensi, ha una temperatura e una densità per le quali nessuna definizione del contemporaneo si addice all’artista. Certo produce opere multimediali, video, e performances ma sarebbero una definizione restrittiva visto che costantemente ne rinnova la gamma di esperienze visive e sonore. Linguaggio e parola che si manifestano in un sistema operativo restano il fulcro nella fisicità di tutte le opere.
For Children, presentato in una nuova versione francese e inglese, trasforma la nuda sala in cui è installata in uno spazio di ricreazione dagli effetti perversi che rimanda a tipologie di istituzione: dalla scuola all’asilo d’infanzia passando per un’idea di costruzione di regole psichiche. È un gioco beckettiano di istruzioni, su una partitura di Béla Bartók dove i concetti di disciplina e controllo sono tagliati al vivo nello spazio circostante. Uno splendido disegno accompagna, come uno spartito, la ricezione di questa inclassificabile scultura sonora.
Ciascuno dei lavori in mostra testimonia dell’estensione e della tenuta di una pratica che ha cominciato negli anni Sessanta incorporando l’uso del linguaggio e della performance nella costruzione di situazioni. Pencil Lift/Mr. Rogers, 2013, è una versione spettacolare, per la grande dimensione dello schermo LED, di un opera quasi inedita. In questa nuova collocazione, la videoinstallazione presentata alla galleria Sperone Westwater nel 2013, è un dittico composto di due video. Su di uno schermo tre mozziconi di matita fluttuano in equilibrio precario nel bianco dello schermo e in barba alla legge di gravità. Sull’altro continua la sua riflessione sul controllo dello spazio e, come in tanti precedenti lavori, prevede che la nozione di spazio sia aperta al caso e dunque l’attraversamento dello studio da parte di Mr. Roger il gatto dell’artista, disegna sull’insieme dell’immagine una memorabile variante.
Ciò che sembra un incidente è di fatto la negoziazione dell’effetto di realtà. Si passa nel buio attraverso la nenia straniante di Anthro/Socio (Rindle Facing Camera) del 1991 e si fanno i conti e con l’ossessività del suo testo e con l’idea di un materiale minimo per definire situazioni di tensione conflitto e ansia. È un all over di schermi e video FeedMe/Eat Me/Anthropology. HelpMe/HurtMe/Sociology e Feed me, Help me, Eat me, Hurt me. Frasi che passano in loop e invitano alla ricerca di una situazione di fuga dalla sensazione totale di controllo del Nauman coreografo.
La scultura sonora nel giardino della Fondation, For Beginner/Instructed Piano (2010) sembrerebbe la soluzione, l’unica soluzione. Prima di uscire all’aperto ci viene offerta Untitled (1970–2009), doppia proiezione vista alla Biennale di Venezia nel 2009 e installata nell’ultima stanza. Esiste la possibilità di uno scarto naturale dell’azione o persino la possibilità di una ripetizione differente? Non lo si direbbe se si ascoltano i controllati e rigorosi clusters di pianoforte di Terry Allen, prodotti senza spostare le mani dalla posizione in DO (C) sulla tastiera o si segue la ripetitiva e cronometrica danza al suolo su di un quadrante di due ballerini che girano come lancette dell’orologio.
Bruce Nauman si riconferma come il solo artista capace di riscrivere con la precisione del suo linguaggio, il discorso politico del nostro prometeico e impossibile rapporto con il reale.
© riproduzione riservata
fino al 21 giugno 2015
Bruce Nauman
Fondation Cartier pour l’art contemporain
261, Bvd Raspail, Paris