Nell’editoriale di Domus 1066, Jean Nouvel scriveva che le architetture, come gli esseri viventi, sono troppo spesso irresponsabilmente abbandonate, dimenticate o sfruttate. Perché un’architettura duri negli anni, bisogna poterla conservare viva, per permetterle di adattarsi alle situazioni del momento. Orfane di gestioni lungimiranti, talvolta distratte o dormienti, queste architetture hanno dato volti civici a istituzioni e poteri, ospitato eventi simbolici e accolto le popolazioni locali, segnando epoche e immaginari collettivi.
Architetture abbandonate in Italia: 10 edifici dismessi che dovresti conoscere
Viaggio attraverso sogni interrotti e opere lasciate al proprio destino: dalle architetture d’autore lasciate a se stesse ai casi più chiacchierati sui media.
Archivio Luigi Cosenza, Archivio di Stato di Napoli, Pizzofalcone
Foto di Davide Galli Atelier
Foto di Roberto Conte
Foto di Roberto Conte
Foto di Roberto Conte
Foto di Roberto Conte
Domus 1026, luglio 2018
Foto di Gerardo Semprebon
Foto su Wikicommons
Courtesy Archivio Magistretti – Fondazione Vico Magistretti
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- Gerardo Semprebon
- 28 maggio 2024
Immaginando di tracciarne l’identikit, una serie di connotati risultano ricorrenti. Si tratta di manufatti dal forte carattere espressivo, in molti casi disegnati sui tavoli di celebri interpreti dell’architettura del Novecento, spesso destinati ad usi straordinari, e spesso testimoni di un cambiamento sociale che li ha inizialmente portati in auge per poi scaricarli una volta esaurita l’utilità, ovvero una volta scoccata la data di scadenza.
Guardandoli in un ordine cronologico, affiora un itinerario attraverso alcune tappe fondamentali della cultura architettonica italiana, dal razionalismo degli anni Trenta al Brutalismo degli anni Sessanta. Il sogno di plasmare la società del futuro con le infinite possibilità espressive offerte dalle colate in calcestruzzo si infrange con l’amara scoperta di un’imprevista e acerba deperibilità del materiale. Le cause del declino annoverano anche cambiamenti strutturali nei modi di intendere la società e abitare lo spazio, che variano dall’organizzazione delle istituzioni pubbliche all’evoluzione degli standard edilizi, dal disincanto seguito a scommesse troppo azzardate all’inadeguatezza delle condizioni al contorno. L’elenco potrebbe continuare per ricondurre, in definitiva, ad una mal posta fiducia nella capacità di rinascere oltre il progetto iniziale, come la società preindustriale ha invece ripetutamente fatto nel corso dei secoli.
Di luoghi abbandonati il Belpaese è pieno, ed è sufficiente percorrere una superstrada per imbattersi, in scheletri di cemento, pareti mangiate dall’edera, grandi contenitori più o meno devastati, esiti di traumi politico-sociali che hanno portato a precoci abbandoni. In alcuni casi, sono spazi avvolti dall’alone del mistero tipico dei luoghi interdetti al pubblico, che, come dimostra il pullulare sul web di pagine dedicate e del trend dell'urbex, alimentano le fantasie di chi ci passa accanto o suscitano l’irrefrenabile propensione a una loro archeologica riscoperta. In altri, diventano l’habitat di fortuna di gruppi emarginati o addirittura il teatro di discariche a cielo aperto. Cosa resta oggi di quegli edifici che la società non è riuscita a riassorbire nei propri cicli vitali?
Il mercato ittico di Napoli è una delle maggiori testimonianze dell’opera di Luigi Cosenza, figura di spicco nel panorama architettonico napoletano nella prima metà del 1900. Aderente ai principi del razionalismo – ne è il primo esempio a Napoli – il mercato coperto è costituito da un’ampia sala per la contrattazione e da una serie di spazi accessori alla vendita organizzati lungo il perimetro. La notevole volta a tutto sesto poggia su archi reticolari in ferro mentre le testate verticali e le larghe feritoie sono realizzate in vetro-cemento Saint-Gobain, in una delle prime applicazioni nel mezzogiorno. Sebbene il mercato risulti vincolato e oggetto di progetti di recupero, con operazioni di bonifica in corso, le cronache recenti riportano atti di occupazione illegali.
Archivio Luigi Cosenza_Archivio di Stato di Napoli, Pizzofalcone
Archivio Luigi Cosenza_Archivio di Stato di Napoli, Pizzofalcone
Questa opera di Renzo Zavanella è un raffinato esempio di razionalismo nautico, esplicitato tanto nella composizione volumetrica quanto nella definizione dei dettagli costruttivi. Viene progettata tra il 1931 e il 1932 come residenza per i direttori del relativo complesso industriale e si caratterizza per alcune soluzioni all’avanguardia rispetto alla tipologia degli spazi interni, come il salone a doppia altezza e le nicchie in cui alloggiare gli armadi a incasso, e alla tecnologia impiegata, come l’inserimento di un ‘intercapedine tra le due pareti in calcestruzzo armato che formano le chiusure. Sono tuttora in corso studi per il recupero di questa preziosa testimonianza architettonica.
Foto di Davide Galli Atelier
Foto di Davide Galli Atelier
Foto di Davide Galli Atelier
Inaugurata con il nome del gerarca Costanzo Ciano, questa colonia poteva ospitare fino a 800 bambini. Il complesso si inserisce all’interno di un’area verde di circa 60.000 metri quadrati con uno schema planimetrico basato su una forte simmetria. Il corpo centrale era adibito alla distribuzione mentre i padiglioni laterali a camerate e spazi di servizio. Durante la guerra, l’edificio venne occupato dai tedeschi per cadere in seguito in uno stato di sottoutilizzo fino al definitivo abbandono. Tra gli anni '70 ed '80 Marcello Aliprandi e Pupi Avati usarono la colonia Varese come set rispettivamente dei film La ragazza di latta e Zeder.
Domus 659, marzo 1985
L’istituto Marxer è un raro esempio di architettura brutalista in Italia, commissionato da Adriano Olivetti per ospitare la produzione e la ricerca in campo farmacologico per l’omonima società. Il complesso è articolato in due volumi principali, che ospitavano uffici, laboratori di ricerca e lo stabilimento produttivo, e un volume già esistente con la mensa e altre funzioni. A partire dalla fine degli anni '70, le mutate condizioni socioeconomiche hanno portato a diversi cambi di proprietà e un progressivo abbandono, contestualmente a un processo di degrado alimentato dall’azione del tempo e da atti di vandalismo.
Foto di Roberto Conte
Foto di Roberto Conte
Domus 394, settembre 1962
Il Foro Boario nasce per ospitare attività di trattativa, scambio ed esposizione di bestiame. La concezione strutturale basata sull’iterazione di un modulo geometrico in orizzontale e verticale dà origine ad un ampio, luminoso e arioso spazio coperto, la cui qualità architettonica è valsa svariati riconoscimenti come il Premio In/Arch nel 1969, l’interesse del MoMA di New York e un relativamente prematuro vincolo monumentale in quanto elemento di qualificazione attiva ed episodio di altissima emergenza panoramica nell’ambiente urbano circostante definito in modo totalmente inedito. Tramontato il progetto cittadino di istituire un punto di riferimento internazionale, questa cattedrale, come viene definita da molti, è caduta in disuso ed è oggi al centro dell’interesse della multinazionale di Lille Leroy Merlin.
Domus 490, settembre 1970
Domus 490, settembre 1970
Domus 490, settembre 1970
Sulla litoranea in uscita da Salerno, poco dopo lo stadio Arechi e in prossimità di una stazione di servizio, si trova il fu Ufo Bar, un piccolo locale notturno oggi abbandonato. L’edificio disegnato da Giovanni Giannattasio ha la forma di calotta sferica forata da piccoli oblò. L’ingresso è segnato da due muri obliqui e, una volta varcata la soglia, sembra di entrare in una taverna di Tatooine, in Guerre Stellari. Teatro della movida salernitana fino alla fine degli anni Novanta, l’Ufo Bar ha cessato l’attività da quando le autorità hanno apposto i sigilli in seguito all’accertamento di alcune attività illegali.
Foto di Roberto Conte
Foto di Roberto Conte
Il sogno di una casa al mare sulle sponde di una costa selvaggia e l’incontro con un architetto visionario portano all’ideazione e costruzione di un edificio avveniristico: una sfera in calcestruzzo armato indissolubilmente integrata al paesaggio marino circostante. È il brevetto Binishell che convince una coppia, il regista Michelangelo Antonioni e l'attrice Monica Vitti, ad affidarsi a Dante Bini per la realizzazione della loro dimora in Sardegna. La casa è realizzata in un’unica colata di cemento sfruttando la pressione dell’aria. Con la rottura del rapporto tra Antonioni e Vitti si determinano le condizioni per un graduale abbandono della struttura e l’inevitabile degrado.
Domus 1026, luglio 2018
Domus 1026, luglio 2018
L’ampliamento della stazione di San Cristoforo fu commissionato per ospitare un terminal per il trasporto di automobili private lungo la tratta Milano-Parigi. La costruzione non venne mai completata a causa dei continui ripensamenti del committente, fino al definitivo abbandono dei lavori nel 1991. Dello scheletro in rovina, oggi possiamo leggere virtualmente le masse e immaginare il transito dei veicoli nell’area antistante. Il dibattito sul futuro di questo incompiuto è destinato a protrarsi anche negli anni a venire in vista del programma di trasformazione che sta interessando gli scali milanesi.
Foto di Gerardo Semprebon
Foto di Gerardo Semprebon
Foto di Gerardo Semprebon
Sono i primi anni Sessanta quando l’imprenditore Mario Bagno acquista i terreni della contrada di Consonno e rade al suolo le poche case abbandonate in seguito alla crisi del settore agricolo per costruire una nuova città dei balocchi. Incentrata sull’industria del turismo, Consonno ospitava negozi, ristoranti, campi sportivi, una balera, un hotel di lusso, un luna park, un giardino zoologico, un castello medievale come porta di ingresso e il celeberrimo minareto. Nel 1966, la prima di due frane che nel giro di dieci anni avrebbero segnato il futuro di questo luogo, isola il paese, mettendo a nudo le conseguenze dell’eccessiva cementificazione. È l’inizio di un graduale abbandono che varrà al villaggio a tema il titolo di città fantasma.
Foto da Wikicommons
Foto da Wikicommons
Il complesso è il risultato di un’operazione immobiliare commissionata dalla Cemadis S.p.A. acronimo di Centri Marittimi di Soggiorno, nel quadro del piano di urbanizzazione della pineta di Arenzano. I 300 metri di negozi, strade, spazi pubblici, servizi, parcheggi, e residenze sono organizzati su corpi basamentali che raccordano le diverse quote del litorale e blocchi fuori terra che si organizzano attorno a corti e patii disegnati per mantenere rapporti di scala contenuti. Negli anni la struttura è stata progressivamente abbandonata dai residenti, lasciando gli spazi pubblici all’uso di bagnanti e passanti. La presenza di diversi proprietari con interessi eterogenei ha contribuito a rallentare le iniziative per un recupero funzionale.
Courtesy Archivio Magistretti – Fondazione Vico Magistretti
Courtesy Archivio Magistretti – Fondazione Vico Magistretti