Alla sua prima partecipazione a Venezia, il curatore del padiglione del Marocco Tarik Oualalou – una laurea a Harvard, già presidente della Fondazione FADA’ (Fondazione per le Arti, il Design e l’Architettura) – sceglie un titolo che ironizza sul tema scelto da Kollhass per la sua Biennale “Fundamentals 1914-2014”, e chiama quindi la mostra marocchina “Fundamental(ism)s”.
Abitare il deserto
Alla sua prima partecipazione veneziana, il padiglione del Marocco curato da Tarik Oualalou guarda alla sabbia del Sahara non più come a un limite per la vivibilità, ma come a una risorsa.
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- Maria Cristina Didero
- 12 giugno 2014
- Venezia
All’Arsenale, all’interno del neonato padiglione, il Marocco si racconta come un territorio di esplorazione dallo straordinario potenziale, guardando al suo eccezionale contributo concreto al “progetto del Moderno”, grazie a ricerche originali non solo sul piano formale e architettonico – in ambito di edilizia privata e sociale – ma soprattutto per la forte visione di un Paese che ha metabolizzato e assorbito modernità e radicalità, rielaborandola e integrandola nel proprio territorio.
Il tema principale è Abitare il deserto, espediente narrativo (e non) per aprire una riflessione universale sul progetto di società del domani e sugli scenari – ci auguriamo positivi – del dopo crisi, smitizzando i comuni stereotipi folkloristici per valorizzare un patrimonio culturale diversificato, con l’auspicio di un’autentica rinascita del regno governato dal “modernizzatore” Mohammed VI. Partendo dall’urbanistica tradizionale, l’indagine guarda avanti e compara in maniera efficace passato e futuro: Oualalou ci restituisce questa dicotomia frazionando lo spazio di 200 mq in due sezioni distinte, una rivolta al passato e l’altra al futuro. Architetto lui stesso e fondatore con la moglie Linna Choi dello studio KILO, con base a Parigi e a Marrakech, Tarik Oualalou, porta in laguna un quintale di sabbia dal deserto del Sahara (o Grande Deserto) e lascia che l’atmosfera dell’ambiente seduca il visitatore (c’è chi si toglie le scarpe per accedere al padiglione).
Sul soffitto – diventato un mega schermo a tutto spazio di 120 mq sospeso ai tralicci dell’Arsenale – è proiettato un film in due sequenze: una notturna, che invita all’introspezione e riproduce perfino quel cielo stellato che solo il deserto sa regalare; e un’altra diurna, con immagini reali dei progetti presentati poco distante dai modelli (steli) di 1 metro cubo ciascuno, disposti seguendo una grata regolare che richiama l’infinito geografico: vicino a noi i progetti architettonici come originariamente concepiti, sopra di noi li vediamo come sono realmente vissuti oggi; ossia: “com’è andata a finire”.
Passato e presente sono segni di una continuità culturale ma anche di uno sviluppo accidentale generato dalla vita delle cose – un progetto tra i tanti, la tradizionale medina di Fez (iniziata nel VIII secolo, con una superficie di 375 ettari su cui si ergono 13.385 edifici) arroccata sulle colline e in grado di accogliere il doppio delle persone degli edifici razionalisti della fine del secolo scorso: considerando un km quadrato per ciascuna delle due tipologie abitative, la medina vince. Oltre a cielo e terra, basi imprescindibili per progettare il futuro, sono stati interpellati otto studi dal profilo internazionale quali X-TU architects, Tarik Oualalou and Linna Choi – KILO, Mikou Design Studio, Menis arquitectos, Groupe 3 Architectes, Stefano Boeri Architetti, BOM architecture e BAO + Ultra Architettura, tutti chiamati a scavare oltre le dune del deserto per cercare di rubare anche solo 1 mq ed esplorare come abitare il nulla, il deserto appunto, dove potenzialmente c’è ancora tanto da immaginare – e fare. KILO propone una città che si snoda su due livelli che guarda alla verticalità pur mantenendo l’idea orizzontale (ritorna la medina super-affollata) come interpretazione degli edifici nid d’abelille – un esempio è quello di Casablanca, con 5 piani per 40 alloggi (1951).
Oualalou sonda il tema della scoperta e della sperimentazione architettonica nel nulla in maniera suggestiva sottolineando con forza il contributo originale del suo paese d’origine all’interno della grande avventura dell’architettura del XX secolo, combinando la tradizione con la ricerca. “Il Marocco è sempre stato un Paese aperto alle opportunità, dall’identità culturale assai complessa e articolata; è stato soprattutto terreno d’esplorazione, un vero e proprio laboratorio per il progetto moderno. Il territorio marocchino ha suscitato ricerche architettoniche uniche (costruttive, materiali, formali e architettoniche per l’edilizia privata e sociale) che hanno contribuito in modo tangibile alla storia dell’architettura, metabolizzando suggestioni esterne e facendole proprie”.
La questione fondamentale dell’abitabilità di zone difficili mette in parallelo la pratica della globalizzazione e delle resistenze identitarie all’interno di un percorso storico di urbanistica che accoglie ragionamenti contemporanei per lo sviluppo nuovo, nel senso di inedito. “È una questione di massima attenzione: gli architetti proiettano le loro personali idee sugli altri, sul prossimo”, aggiunge il curatore. “Vogliamo dimostrare che grazie alla gente che la abita, l’architettura è da considerare come un materiale vivo”. Situato tra l’Africa e l’Europa e affacciato sull’Atlantico e sul Mediterraneo, il Marocco è un Paese dal tessuto urbano eterogeneo e millenario; il suo padiglione si presenta come l’istantanea contemporanea di un Paese che guarda alla sabbia del Sahara – reintegrato nel territorio nazionale a partire dal 1975 – non più come a un limite per la vivibilità o un margine invalicabile, ma come a una risorsa. Il deserto è un territorio in grado di offrire alla scena attuale l’occasione di riappropriarsi della radicalità, coniugando l’universale con l’autentico.
© riproduzione riservata
Marocco
Fundamental(ism)s
Commissario: Hassan Abouyoub (Ambasciatore del Marocco,Roma)
Curatore: Tarik Oualalou
Sede: Padiglione all’Arsenale
Fino al 23 novembre 2014
14. Biennale di Architettura
Fundamentals
Arsenale, Venezia