Alla prima de Le nozze di Figaro alla Walt Disney Concert Hall di Los Angeles, Cupido forse sogghignava biecamente all’ambigua e frettolosa riconciliazione degli innamorati sul palcoscenico, ma io sorridevo sulla casualità del mio fato teatrale: ero seduta proprio dietro Jean Nouvel e Azzedine Alaïa. Benché curiosa, la loro presenza non era del tutto inaspettata, perché i due venivano a controllare il lavoro delle loro mani: l’opera aveva le scene di Nouvel e i costumi di Alaïa.
Non ho potuto vedere bene l’espressione del viso di Nouvel, ma certamente deve aver sentito, come me, la signora che, qualche fila più indietro, lanciava esclamazioni estatiche ogni volta che il palcoscenico subiva uno spettacolare cambiamento, con l’eccellente aiuto del datore di luci Aaron Black.
E per la prima volta in vita mia il mio francese rudimentale si è dimostrato utile, quando ho colto le lodi di certi loquaci ammiratori di Alaïa a proposito dell’eleganza dell’impostazione “tra attualità e tradizione” che lo stilista ha adottato per i costumi. Oppure, nel caso di un Figaro occasionalmente scamiciato e pregevolmente a torso nudo, a proposito della loro assenza. Era comunque chiaro che il pubblico apprezzava questa versione anticonvenzionale e contemporanea di una classico del Settecento: la solita vecchia storia di due ragazzi innamorati e della ragazza che difende la sua verginità dal lubrico ricatto del Conte.
L’inconsueto e divertente allestimento delle Nozze, con la regia di Christopher Alden, ha avuto quattro repliche dal 17 al 25 maggio, ed è la seconda prova della trilogia di Mozart e Da Ponte presentata dalla Los Angeles Philarmonic, che propone come scenografi e costumisti architetti moderni di livello mondiale e grandi stilisti. L’anno scorso il Don Giovanni ha visto l’accoppiata di Frank Gehry con la casa di mode di Los Angeles Rodarte. E l’anno prossimo vedrà la squadra formata da Zaha Hadid e Hussein Chalayan, su cui personalmente ho grandi attese. Se mi va bene me ne starò seduta anche dietro di loro, e Zaha e Hussein per tutta la durata dello spettacolo si scambieranno commenti come Beavis e Butt-head. Una ragazza avrà pure il diritto di sognare (cose fatate)… Comunque, scherzi a parte, le reazioni del pubblico dicono molto di un allestimento e delle relative implicazioni.
L’anno scorso, per esempio, ho sentito un’attempata brontolona proclamare che la scenografia minimalista di Frank Gehry “non le andava”: una valanga di carta bianca e nera che creava uno sfondo ultraterreno su cui i personaggi galleggiavano, astratta da ogni contesto specifico ma di grande efficacia allegorica. Non sono d’accordo nel giudicare deludente la scenografia di Gehry (ho trovato l’allestimento interessante e significativo dal punto di vista visivo) ma la valutazione di quella signora si riferiva al carattere assolutamente ‘d’avanguardia’, esoterico, del taglio adottato da Gehry, che non concedeva allo spettatore note a margine per facilitarne la comprensione.
Scusate se accosto la scenografia di Gehry a quella di Nouvel (cosa relativamente irrilevante, anche se abbastanza divertente) ma la scenografia di Nouvel, benché molto innovativa e audace, è decisamente più letterale nelle sue astrazioni. Nei primi due atti delle Nozze, per esempio, si vede sulla sinistra della scena uno stand appendiabiti che in realtà funziona come un armadio in cui parecchi personaggi si nascondono, elaborano piani e meditano lo scambio di abiti maschili e femminili. E poi lo stand pieno di begli abiti in piena vista è anche il simbolo della futilità del cercare di nascondere gli scheletri negli armadi (li vediamo tutti, caro mio!) e dell’inevitabilità di dover lavare i propri panni sporchi in pubblico nel quarto atto. Che il pubblico trattenga il fiato anche se sa che cosa sta per accadere è un fatto intrinseco all’illusione teatrale.
E la scenografia di Nouvel è un omaggio a questa abilità di distogliere l’occhio da ciò che si vede per far vedere quello che in realtà non c’è: il che vale per lo spettatore come per ogni geloso, truffaldino, spregevole o ‘furbo’ personaggio delle Nozze. Nouvel permette al pubblico di ‘capire’ le Nozze anche senza sottotitoli, legando la trama alla scenografia e la scenografia alle caratteristiche formali dell’opera buffa.
L’ingrediente forse più essenziale del progetto scenografico di Nouvel è la grande scalinata che si apre come un ventaglio colorato sul palcoscenico. Ha in cima una poltrona di velluto, di volta in volta occupata da personaggi in varie posizioni di forza. All’inizio l’eccitatissimo Conte (perfettamente abbigliato in ricchi e disgustosi completi da tempo libero) se ne sta seduto a gambe aperte aggrappato ai braccioli, osservando in basso le persone che cerca di usare e ingannare, non senza segni di noia e disprezzo. Più tardi sulla poltrona si stende languidamente la civettuola Barbarina, cugina dell’attraente e illibata sposina Susanna e non estranea al letto di vari personaggi principali (Conte compreso).
La scalinata è un ‘attrezzo’ coerente e intelligente, frequente nei frenetici quadri scenici di Alden: come quando il Conte si prostra davanti a Susanna, chiedendole di accedere per una sola volta al di lei ben di dio. Anche se si prostra, lo fa parecchi ‘gradini’ sopra di lei, riaffermando la sua posizione di privilegio nella piramide del potere.
Come sanno tutte le ragazzine che frequentano le scuole di danza, una lunga scalinata è la passerella perfetta per mostrare la goffaggine o la disinvoltura con cui ci si muove nella vita. Il Conte scende le scale come se fossero sue (perché tutto è suo, cara mia). La Contessa le usa come sostegno per il suo corpo dolente e riccamente abbigliato, mentre lamenta le infedeltà del marito. In altri casi i gradini fungono da panche o da separazioni, tanto che i personaggi non solo saltano, balzano e si trascinano per il palcoscenico, ma anche sopra di esso, interagendo reciprocamente e con il pubblico in una dimensione più piena, ‘galleggiando’ l’uno sotto e sopra l’altro in varie forme di sospensione: di fiducia, di tempo e di controllo.
In questo palcoscenico effimero Nouvel integra quello permanente di Frank Gehry, cioè la stessa Walt Disney Concert Hall. Il celebre organo che corona la ‘navata’ sembra una decorazione naturale a coronamento dell’installazione di Nouvel. Nouvel sfrutta molto il progetto illuminotecnico di Black per ottenere questo effetto di continuità, sfumando il contrasto tra i vari elementi della scenografia in una cascata di maestosi toni rosso scuro. La transizione tra gradini e piano del palcoscenico è anch’essa indefinita, facendo sì che a tratti i personaggi paiano levitare.
Il palcoscenico si fa sempre più surreale e intenzionalmente spiazzante a mano a mano che la trama si sviluppa, le scappatelle diventano più complicate e i personaggi si rincorrono per ingannare, scoprire e scoprirsi l’un l’altro. Le chiazze geometriche di colori brillanti, gli alberi scultorei e il gioco delle ombre e dei lampi di luce permette di articolare la gamma dei sentimenti che si snodano sul palco in queste frenetiche scene.
Collocando correttamente l’orchestra nella ‘buca’ sotto il palcoscenico Nouvel ha poi dato ad Alden ampia occasione di trucchi e di aperto divertimento. In certi momenti i personaggi usano gli orchestrali come paravento o mimetizzazione. Un personaggio salta fuori dalla buca con uno strumento in mano: un altro offre una sigaretta al direttore d’orchestra Gustavo Dudamel (con grande delizia degli spettatori). Nell’insieme queste memorabili gag sono un po’ come il memorabile progetto scenografico di Nouvel: pur prendendo modernamente e intenzionalmente le distanze dal copione funzionano tutt’altro che in contrasto con la trama classica, e creano un’atmosfera piacevolmente spettacolare e gradevolmente riflessiva. Katya Tylevich