Ecoweek. Questo il nome di una manifestazione che ha messo radici un po' in tutta Europa e in Medio Oriente, a partire da una piccola isola a sud di Atene dove ebbe luogo la prima edizione nel 2005. Nata come manifestazione itinerante non-profit, è stata pensata per sostenere e diffondere una consapevolezza ambientale, aiutando i progettisti a compiere le scelte giuste nella convinzione che le abitudini e il modo di vivere e di abitare possano cambiare il clima. In ogni città che incontra, l'organizzazione propone tre temi chiave (riduzione e riciclaggio dei rifiuti, riduzione dei consumi energetici e produzione da fonti rinnovabili, eco-building) cercando uno o più partner locali interessati a condividere il progetto, e coinvolgendo progettisti locali e stranieri per dar vita a una settimana intensa di lecture e workshop.
Quando sei mesi fa Elias Messinas, fondatore e anima della ONG, è venuto a Inarch per incontrarmi e proporre una collaborazione dell'istituto per dar vita a una "Ecoweek romana", mi è sembrata un'idea talmente folle da essere irresistibile. E in effetti, il format ha funzionato molto bene. L'incontro con Elena Barthel di Rural Studio (Alabama) e le loro esperienze di autocostruzione, con Ulf Meyer di Ingenhoven Architects (Germania) e i loro grattacieli a climatizzazione interamente passiva, e naturalmente con Kengo Kuma, per citare solo alcune delle lecture avvenute, è stato estremamente ricco e interessante.
Forms of Energy #16
Partita da una piccola isola a sud di Atene, Ecoweek è approdata a Roma per ripensare e rivitalizzare tutti quegli spazi "vuoti" e abbandonati presenti in città, coinvolgendo studenti e cittadini in collaborazione con Inarch e un grande numero di progettisti locali e internazionali.
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- Marialuisa Palumbo
- 28 novembre 2012
- Roma
Ma ancor più ricca è stata l'esperienza degli studenti (molti stranieri) che per una settimana si sono immersi nelle realtà di alcune aree di Roma come Mandrione, Valle Aurelia, Testaccio, Pigneto e molte altre, ragionando su una concezione allargata di sostenibilità architettonica, ma anche — e soprattutto — sociale e urbana. Quest'ultima è stata la caratteristica emergente dell'"Ecoweek romana", un'impronta che Inarch ha voluto darle attraverso il coinvolgimento di studi locali come 2Tr, AKA Architechts, Francesco Bedeschi, Luca Diffuse, ModoStudio, Orizzontale, Osa, LUS e T-Spoon. Di seguito la descrizione di due tra i tanti laboratori che sono sati tenuti.
Ciò che ha accomunato i due laboratori è stata la focalizzazione sul tema dei vuoti come spazi di piccole e grandi opportunità, e la scelta metodologica di una concreta discesa in campo. Per quel che riguarda i vuoti è stato messo in scena una sorta di dispositivo che unisce spazio reale e spazio virtuale del social network. La discesa in campo ha visto nascere una vera e propria installazione con lo scopo di trasformare, temporaneamente, uno spazio.
Il primo laboratorio guidato da T-Spoon (Nina Artioli, Alessandra Glorialanza, Eliana Saracino) ha proposto la creazione di un social network: "Cityhound, per la trasformazione temporanea di spazi urbani sottoutilizzati". L'obiettivo era quello di fornire uno strumento semplice di connessione e di scambio fra proprietari (privati o pubbliche amministrazioni) di spazi sottoutilizzati e cittadini con la voglia di realizzare un progetto: un network tra chi possiede uno spazio e chi, invece, un'idea o un'esigenza di miglioramento.
Quale tipo di idea o esigenza? Nuovi salotti urbani, piccole biblioteche condivise, piccole arene... la forma dello spazio, le sue caratteristiche, la presenza di una parete cieca o di una nicchia, di un albero rimasto pericolosamente al centro di una strada, diventano lo spunto progettuale, l'innesco per ripensare quel vuoto e renderlo una opportunità.
La logica non è nuova, ma straordinaria è stata la cura, la semplicità e l'eleganza con cui il progetto è stato messo in pratica, conducendo gli studenti alla scoperta del quartiere Pigneto e portandoli poi a immaginare, e a mostrare al quartiere, le possibilità che offrono le tante micro trasformazioni, a budget nulli o bassissimi, che potrebbero migliorare la vita collettiva.
Quale tipo di idea o esigenza? Nuovi salotti urbani, piccole biblioteche condivise, piccole arene... la forma dello spazio, le sue caratteristiche, la presenza di una parete cieca o di una nicchia, di un albero rimasto pericolosamente al centro di una strada, diventano lo spunto progettuale
Il secondo laboratorio guidato da Osa – architettura e paesaggio, Orizzontale e LUS Living Urban Scape, ha proposto un intervento diretto, di auto-costruzione, nell'area dell'ex Borghetto di Valle Aurelia, a ridosso del Parco Regionale dei Pineto, per trasformare in spazio pubblico una grande area verde abbandonata e inaccessibile, facendola diventare luogo di incontro, di gioco, di condivisione e di scambio.
L'interesse dell'area è legato innanzitutto alla sua storia. La presenza nel terreno di consistenti strati di argilla ha determinato infatti, in un periodo di importante crescita urbana tra la fine del Diciannovesimo e l'inizio del Ventesimo secolo, la trasformazione dell'area in una zona di produzione di mattoni. In prossimità delle fornaci è stato così costruito il Borghetto per ospitare le famiglie dei lavoratori. Quando, verso la metà degli anni '70, l'amministrazione della città si impegnò in un programma di bonifica dei sobborghi attraverso la realizzazione di importanti piani per case popolari, il Piano di Zona Valle Aurelia vide la costruzione di alcune grandi torri lungo la via di Valle Aurelia. Nel 1981, a seguito del completamento delle torri e trasferiti gli abitanti nelle nuove case, il Borghetto venne demolito. Al suo posto resta un vuoto, subito riconquistato dal verde circostante.
Sono stati scelti due materiali di progetto: il legno (in parte di riciclo, in parte a basso costo) e il colore, oltre ad alcune lettere recuperate e un tagliaerba per dar forma al prato. Chiare, semplici e forti le azioni progettuali proposte: lettering segnaletico e realizzazione di piccoli 'eventi' lungo il percorso dal PdZ al Giardino del Maresciallo (questo il nome ufficiale dello spazio vuoto), la realizzazione di una scala per risolvere il salto di quota e ricollegare via di Valle Aurelia e il giardino, e l'allestimento di un'area con sedute, giochi e una installazione/mostra fotografica con scatti del luogo durante la sua vita precedente.
La festa inaugurale del giardino ritrovato, con gli abitanti che riconoscevano la propria vecchia casa e discutevano tra loro e con gli studenti di trasformazioni urbane, bambini di tante lingue diverse che giocavano insieme nel campetto fatto su misura per loro, e il commento di un giovane studente americano ("Pensavo che la sostenibilità riguardasse grandi edifici e il loro sistemi tecnologici, adesso ho capito che c'è molto, molto altro") sono stati la miglior conclusione che Ecoweek avesse potuto avere.