Una buona parte dei più recenti lavori di Kazuyo Sejima e
dei suoi accoliti potrebbe essere vista come una variazione
dell'interpretazione miesiana del principio del plan libre, inteso
come un'estesa superficie praticabile privata dagli ostacoli
della struttura, esaltata dalla trasparenza delle pareti esterne
e nella quale i sostegni verticali risultano tendenzialmente
posizionati alla periferia dell'edificio o sono ridotti alla più
piccola sezione possibile.
Il Made in Japan non ha mai dimenticato di copiare Mies. Tra
i molti casi, basterebbe citare quella replica del padiglione di
Barcellona che è l'accesso al Kyoto National Museum, opera
di Yoshio Taniguchi. Un esempio così esplicito nell'esibire le
somiglianze con il maestro da rendere trasparente il complesso
itinerario cultural-ideologico che ha condotto a preferire
l'architetto giapponese a H&deM, Holl, Koolhaas e Toyo Ito,
nella competizione per il rifacimento del MoMA di New York
(questo, anche rispetto alla galleria dei Tesori Horyu-ji al Museo
Nazionale di Tokyo, tante volte evocata come precedente del
museo americano). Gli esiti di quel concorso, svoltosi alla fine
degli anni Novanta, mentre apriva il Guggenheim di Bilbao, sono diventati evidenti al grande pubblico con la riapertura
delle gallerie alla fine del 2004: grazie ai riconosciuti valori
dell'essenzialità giapponese, l'Occidente ha potuto riproporre
(anche in contrasto con il monstre basco e le bizzarrie di molte
archistar) il raffinato modernismo rifiutato dalle masse e dalla
riscoperta della storia e del regionalismo.
Questa premessa non è funzionale alla discussione di uno stile,
ma vuole proporre un punto di partenza utile a valutare tre
recenti edifici realizzati a Tokyo. Opera di Sou Fujimoto, Ryue
Nishizawa e Kazuyo Sejima, sono stati scelti in quanto esemplari
del modo di affrontare la verticalità, quale condizione ricorrente
dell'abitare della metropoli giapponese.
Il plan libre è, forse, uno dei pochi concetti base del modernismo
e, di sicuro, l'unico tra i celebri cinque punti dell'architettura
moderna proclamati da Le Corbusier che sia stato capace di
affermarsi e diventare realmente popolare: per esempio,
nel principio del loft come modello abitativo di lusso. Fare
riferimento a esso aiuta a sganciare la questione della verticalità
dall'identificazione con il generico desiderio di 'vivere ai piani
alti', di 'godere di una vista' e altre condizioni legate all'altezza, connesse con l'idea del grattacielo.
Soglie verticali #1: Kazuyo Sejima
Tre recenti progetti di Sou Fujimoto, Ryue Nishizawa e Kazuyo Sejima interpretano in modo drammatico verticalità e teatralità spaziale, per sfuggire così alle strettoie di una città notoriamente densa.
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- Roberto Zancan
- 13 dicembre 2011
- Tokyo
Esso consente di approcciare la verticalità come fosse un
modello abitativo specifico, sia residenziale sia pubblico, che
rende conto delle relazioni tra modelli alti e modelli bassi,
dell'incontro dei canoni modernisti, prettamente anti-urbani,
con la città, e delle relazioni effettive tra socialità pubblica e
privata, individuale e collettiva.
In questo senso, i tre casi qui presentati non hanno nessuna
relazione diretta con l'antico maestro di Aquisgrana. Potrebbe valere per loro quanto Reyner Banham aveva notato a proposito
delle case moderniste di Craig Ellwood, Pierre Koenig e degli
Eames a Los Angeles. Ovvero, che 'se confrontate con le opere
di Mies van der Rohe… queste costruzioni presentano strutture
in acciaio non monumentali', rivelando così 'l'assenza totale
di quell'angoscia creativa di stile eroico che era propria del
movimento moderno europeo'. Come per quei case studies,
anche gli edifici giapponesi devono semmai essere fatti risalire
all'evoluzione di modelli locali. Con qualche probabilità, le
caratteristiche ora descritte provengono da un'evoluzione di alcuni esperimenti condotti da Toyo Ito (come, per esempio,
la sede della Mikimoto a Ginza, per la struttura-perimetro,
o addirittura la mediateca di Sendai, per i piani orizzontali
estremamente sottili).
Cominciando l'analisi dal Shibaura, sembra forse possibile associare questa realizzazione ad altre recenti opere di Kazuyo Sejima. Volumi volutamente sgraziati e disgiunti, quasi instabili nella loro apparenza, come prodotti da un terremoto che avesse sconquassato l'elegante sovrapposizione degli spessori diseguali della boutique Dior a Omotesando o avesse fatto cadere l'etereo rivestimento opaco che la contraddistingue. Limitandosi al paragone con il New Museum, in cui la sensazione d'instabilità è il risultato del trucco dell'affastellamento di scatole sovrapposte, il carattere scomposto del Shibaura emerge dall'esibizione della sua struttura asimmetrica. Tramite un gioco di doppie altezze è come se questa piccola torre reimpilasse le 'scatole' del museo americano, riconducendole all'interno del suo profilo e, rimuovendo il rivestimento, quasi ne illustrasse il funzionamento dei dispositivi d'irrigidimento strutturale. In realtà, l'edificio è strutturalmente molto differente dal cugino americano e si basa su un'elementare sequenza di piani sfalsati, ottenuta tramite un gioco di doppie altezze, rafforzate da travi diagonali, leggibili nelle grandi K sulle facciate. Questa rimarchevole semplicità è completata dai tagli curvi dei solai i quali determinano un ritmo di pieni e di vuoti, compressioni e aperture, che fornisce alla costruzione un'apparenza particolarmente ariosa. Una minima conoscenza dei codici costruttivi e delle norme anti-incendio locali spiega le altre soluzioni, come le scale semi-elicoidali esterne e le aperture riquadrate dagli infissi: le prime necessarie ad assicurare un doppio sistema di vie di fuga, le seconde atte a fornire riscontro d'aria e dispositivi d'uscita.
Il plan libre è, forse, uno dei pochi concetti base del modernismo e, di sicuro, l'unico tra i celebri cinque punti dell'architettura moderna proclamati da Le Corbusier, che sia stato capace di affermarsi e diventare realmente popolare.
Nell'insieme questi accorgimenti danno vita a una distribuzione prettamente 'verticale' del programma, ancora una volta simile a quanto accade al New Museum, ma qui usata con uno scopo diverso, volto a ottenere effetti d'aggregazione. In questo edificio privato, infatti, il visitatore può accedere in ogni luogo, così come può da ogni luogo osservare l'esterno e, dall'esterno, percepirne ogni luogo. Mera somma della totale abitabilità dei suoi piani, le differenze interne vi sono create dal sezionamento curvilineo degli stessi, che formano sale riunioni, terrazze, uffici e una sala per proiezioni. Modello non raro nella capitale giapponese, la struttura è la sede di un'impresa di pubblicazioni e stampa, che mette i suoi spazi, come in una sorta di centro di quartiere, a disposizione per lo svolgimento di attività culturali e per i bambini.
L'angolo in cui insiste è estremamente trafficato (accanto vi
sorge uno dei case studies rilevati da Yasutaka Yoshimura in quel
manuale alla comprensione estrema di Tokyo che è Super Legal
Buildings). Se il mattino e la sera esso rimane completamente
indifferente al passaggio degli impiegati, durante il giorno e nel
weekend, si anima nel ricevere la popolazione locale che, accolta
al piano terra o trasportata in altezza, svolge molteplici attività
liberate 'dal suolo'. [continua]
Shibaura Building, Tokyo
Progetto: Kazuyo Sejima & Associates
Design team: Kazuyo Sejima, Rikiya
Yamamoto, Nobuhiro Kitazawa, Satoshi Ikeda
Struttura:
Sasaki structural
consultants, Mutsuro
Sasaki, Toshiaki Kimura,
Hideaki Hamada
Construction supervision
Shimizu Corporation Ikeda
Cliente:
Kohkoku Seihan Inc. Ikeda
Area costruita: 950.61 mq
Progetto: 2008—2010
Construzione: 2010—2011