Questo articolo è stato pubblicato su Domus 951, ottobre 2011
Come la storia, l'architettura è frutto di stratificazioni. Nel settembre del 1944, i bombardamenti distruggono sulla cima della collina di Bourlémont, nei pressi di Ronchamp, un'antica chiesa le cui origini risalgono al basso Medio Evo. Gli abitanti ne chiedono la ricostruzione. L'arcivescovado di Besançon incarica del progetto Le Corbusier: la Cappella Notre-Dame du Haut sarà consacrata il 25 giugno 1955. A circa cinquant'anni dalla consacrazione dell'edificio, le autorità religiose locali decidono di rinnovare le attrezzature di 'alloggio e fratellanza' esistenti e di trasferire, sul terreno di proprietà, un piccolo gruppo di Clarisse. Del progetto viene incaricato Renzo Piano. Dalla decisione di intervenire è scaturito, come prevedibile, un acceso dibattito sull'opportunità e i modi di realizzare la nuova opera presso uno dei santuari del tardo modernismo. I due testi che seguono, a firma di Fulvio Irace e Jean-Louis Cohen, riassumono le posizioni emerse nel dibattito.
di Fulvio Irace
Étant donnés. Piano a Ronchamp
Oportet ut scandala eveniant: forse, niente più del motto latino è meglio indicato per commentare la feroce polemica attorno al recente intervento di Renzo Piano sulla collina di Bourlémont, ai piedi della cappella di Ronchamp. Lo 'scandalo', un vero e proprio murder before the cathedral, secondo gli oppositori più intransigenti del progetto, è di aver costruito il minuscolo convento delle Clarisse e la nuova portineria 'troppo' a ridosso dell'opera di Corbu, alterando in maniera sensibile l'approccio al luogo di preghiera che il maestro aveva concepito come il traguardo di un lento e faticoso processo di arrivo. Come un'ascensione laica, insomma, per accedere alle 'beatitudini' di un 'discorso della montagna' dove la suggestione religiosa del fedele si alimentava anche dei suoni della Natura ("un'architettura acustica", secondo Corbu), vera e possente interlocutrice dell'esplosione plastica che domina la vetta: "Sulla collina", appuntava, "ho passato tre ore a prendere conoscenza del suolo e degli orizzonti. Per lasciarmene pervadere". A Ronchamp tutto è sacro nella maniera indicibile della rivelazione e il timore di vederlo trasformato in "una nuova Lourdes" dettò a Le Corbusier, ancora anni dopo la realizzazione, lettere di fuoco all'abate Bolle-Rédat, perché nulla fosse alterato nel tempo e si mantenesse invariata la vista originaria sulla valle.
Si comprende, dunque, la preoccupazione di quanti, davanti al proposito dell'Associazione Notre-Dame du Haut di avviare i lavori per ospitare le dodici Clarisse di Besançon e di risistemare il centro d'accoglienza, si siano mobilitati per bloccare il progetto, accusandolo di sacrilegio nei confronti di uno dei luoghi più rappresentativi della tormentata ricerca del sacro da parte della cultura del Moderno. Dal momento del primo annuncio del programma nel 2005, cinquantesimo anniversario della consacrazione della Cappella, la reazione della Fondazione Le Corbusier è immediata sino alla petizione al Ministro della Cultura per bloccare ogni iniziativa. Nel 2007, però, la Commissione nazionale per i monumenti storici diede il via libera a Piano per procedere nel progetto oggi messo sul banco d'accusa. A dire il vero, non si può negare che alcune delle critiche non siano state accolte da Piano, che ha avuto modo di elaborare diverse stesure del suo intervento, introiettando osservazioni e suggerimenti che l'hanno reso sempre più essenziale e minimale, a dimostrazione del fatto che il progetto è sempre un'opera di negoziazione che ha bisogno, per migliorare, di interlocutori accesi, ma non pregiudizievolmente ostili.
La battaglia di Ronchamp
In occasione della consacrazione delle nuove opere di Renzo Piano a Ronchamp, Domus pubblica due testi volti a riassumere le posizioni emerse nel dibattito intorno al progetto.
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- Fulvio Irace e Jean-Louis Cohen
- 17 ottobre 2011
- Ronchamp
Ora che l'opera è quasi terminata, bisogna seguire l'esempio di Galileo e invitare gli accusatori a guardare nel cannocchiale. In realtà, anche a occhio nudo i termini della questione paiono completamente ridimensionati, come hanno potuto constatare le centinaia di pellegrini che l'8 settembre, per l'anniversario della nascita della Vergine, si sono arrampicati sul colle per i riti religiosi. Rispettoso del noli me tangere lecorbusiano, Piano si è ritirato ai piedi della collina, in una posizione defilata anche rispetto al millenario sentiero dei viandanti, senza interferire con la progressiva conquista della cappella dai piedi fino alla cima della risalita. Come api operaie, le Clarisse si sono installate in una manciata di minuscoli alveari (2,70 x 2,70 m) dispersi con aderenza alla topografia nel fianco del monte: acquattate alla penombra del sottobosco, le celle sono il controcanto sottotono alla voce potente della Cappella. Una comunità rurale di abitanti dei boschi, che mettono in pratica una visione della religione come servizio e preghiera. Unità minime d'abitazione uscite quasi dalle mani di Prouvé: un assemblaggio perfetto di elementi modulari e di materiali 'banali' (lo zinco delle tettoie, i sottilissimi profilati di ferro, i pannelli di cemento delle pareti, gli arredi in legno) che trasmette la grazia francescana del lavoro ben fatto, umile e prezioso.
Come Corbu, anche Piano non è uomo di fede. Corbu era,
però, un mistico, capace di accedere al sacro attraverso le
regioni misteriose dell'intuizione (e proprio Ronchamp gli
fu rinfacciato come tradimento della ragione in favore di un
retorico sentimento della religione). Con gli anni Piano ha
appreso l'arte di convivere con se stesso e ha smesso ogni
ansia di dover convincere l'opinione della critica. Da questo
punto di vista, la sua storia è esemplare e, a raccontarla oggi
dall'alto della sua fama internazionale, sembra quasi ridicola.
Dal Beaubourg in avanti, gli è stato rinfacciato tutto, persino
di non essere un vero architetto: perché recalcitrante alla
retorica dell'architettura arte dello spazio e all'ideologia
dell'imposizione teorica. [...]
Eppure, se si mettessero da parte diffidenze e preconcetti, si
potrebbe analizzare il suo lavoro come un organico succedersi
di opere eccellenti, di silenti capolavori o anche di prodotti di
routine. Lo si inquadrerebbe cioè nella logica di un mestiere,
quello dell'architetto, che solo nelle ricostruzioni della storia
monumentale ha le cadenze di un romanzo epico, dove ogni
'gesto' deve esprimere un 'dover essere' epocale. Piano ci ricorda
che ogni problema può essere affrontato (e magari risolto)
solo analizzandolo minutamente: non partendo dall'esterno,
ma osservandolo dall'interno.
A Ronchamp il tema non è il
confronto con Le Corbusier, che rimane un dato, non un punto
di paragone. Il tema è come governare le trasformazioni che
riguardano la società e i cambiamenti culturali. La Cappella,
oggi, non è il romito pellegrinaggio di mezzo secolo fa, perché
il suo carisma di opera d'arte ne ha cambiato la percezione e
le attese del visitatore. Ritenere che si possa salire la collina
oggi come lo fece nel giugno 1950 Le Corbusier è ingenuo, oltre
che falso. È qui comunque che si misura l'utilità o il danno del
progetto per la vita. Cercando, cioè, di creare una condizione di
equilibrio che tiene conto del rispetto del luogo, ma anche dei
suoi nuovi modi d'uso, in modo da evitare a Ronchamp proprio
il destino di 'caravanserraglio' temuto da Corbu.
Fulvio Irace
Rispettoso del noli me tangere lecorbusiano, Piano si è ritirato ai piedi della collina, in una posizione defilata anche rispetto al millenario sentiero dei viandanti, senza interferire con la progressiva conquista della cappella dai piedi fino alla cima della risalita.
di Jean-Louis Cohen
Manière de penser Ronchamp oggi
Quattro anni dopo la presentazione da parte di Renzo Piano
del suo progetto a Ronchamp, la situazione non potrebbe
essere più chiara. Trasformata e, in parte, rielaborata nella
sua architettura rispetto all'ipotesi iniziale del 2007, l'opera è
praticamente compiuta. In risposta alla realtà, ormai ineludibile,
costituita dalle nuove costruzioni, è indispensabile, però,
rendere disponibili le riflessioni ispirate dallo studio iniziale
dell'architetto del Centre Pompidou.
Ciò significa risalire alle origini stesse del progetto
lecorbusieriano della Cappella di Notre-Dame du Haut e del
suo sito, e superare i collage di citazioni mozze usati, talvolta,
nell'ardore della controversia. Perché vera e propria disputa è
stata quella esplosa nel corso degli anni 2007 e 2008, segnata
soprattutto da due petizioni: una che difendeva il progetto del
Renzo Piano Building Workshop in nome della 'libertà creativa',
l'altra tesa a tutelare il complesso di Ronchamp, contestando
l'innocuità del progetto [1]. La discussione è culminata in un
dibattito organizzato presso la Cité de l'architecture e du
patrimoine di Parigi il 25 giugno 2008, in occasione del quale le
argomentazioni delle due parti vennero messe a confronto [2].
I critici contrari al progetto non avevano alcuna intenzione di
ostacolare l'iniziativa dell'associazione Œuvre Notre-Dame du
Haut all'origine del progetto di Renzo Piano, così come non si
contrapponevano personalmente all'architetto italiano, del
quale unanimemente apprezzavano la forza creativa. L'intento,
invece, era completamente diverso. Le osservazioni formulate
da un crescente numero di progettisti e storici dell'architettura
riguardavano diversi aspetti. Il primo era l'interpretazione dell'opera di Le Corbusier in
quanto tale. Il suo intervento a Ronchamp, infatti, non si è
affatto limitato all'ideazione di una cappella collocata in un
luogo a cui l'architetto sarebbe rimasto indifferente e che
sarebbe stato legittimo ricoprire d'un nuovo bosco, come
proponeva lo schizzo iniziale.
Raccolti in un libro di prossima pubblicazione, redatto in ricordo
dell'architetto francese Michel W. Kagan, scomparso alla fine
del 2009 [3], questi contributi recenti precisano in che misura la
visione di Le Corbusier riguardasse non solo gli spazi accanto
alla cappella, ma anche l'orizzonte. Chiariscono, inoltre, quanto
egli ritenesse importante il programma di un luogo dedicato ai
pellegrinaggi e non ai soggiorni di lunga durata.
Le Corbusier mai rinunciò a vegliare sulla tutela della
"condizione attuale, tanto emozionante" del luogo, con il suo
carattere aperto e un numero limitato di edifici periferici che
accompagnavano il tema dominante: la cappella. Attente
a un'interpretazione rigorosa delle intenzioni originarie di
Le Corbusier e dei suoi ricorrenti interventi sul modo di usare
e gestire il sito complessivamente, le reazioni contenute nel
libro non si limitano a una visione puramente negativa delle
potenzialità del luogo, che avrebbe impedito ogni nuova
costruzione, in qualunque punto del terreno.
A essere contestata, piuttosto, è la posizione scelta per il progetto
del monastero delle Clarisse, di fatto vicinissima alla cappella
malgrado le sezioni alquanto laudative in circolazione, più che
il principio stesso dell'intervento. E la deplorevole costruzione
d'ingresso preesistente non è stata difesa da nessuno, pur
essendo considerato eccessivo il volume destinato a sostituirla
nel progetto iniziale. Intorno, inoltre, non mancavano i terreni
pubblici e l'intervento del Consiglio regionale della Haute-Saône
avrebbe potuto contribuire a renderli disponibili.
Lo stesso Le Corbusier sottolineava quanto apprezzasse che
ci si accostasse al suo edificio solo al termine di un percorso d'avvicinamento abbastanza prolungato. Infatti lasciò scritto:
"Ogni volta che ho potuto farlo, sono salito a piedi dal sentiero di
terra rossa, attraverso il bosco… Ogni volta la serenità della salita
ci ha conquistati, ci ha a poco a poco liberati dall'agitazione
sottostante e ci ha preparati all'incontro con la Vergine e con
Dio…". Il rispetto del suo pensiero, dunque, implicava una saggia
presa di distanza.
Abbiamo preso atto delle modifiche provocate dalla discussione
ma, allo stesso tempo, è importante riprendere le motivazioni e le
argomentazioni di chi ha insistito a considerare l'operazione come
fuori luogo. Fuori luogo lo è nel senso stretto dell'espressione,
poiché penetra in quel che si potrebbe definire, parafrasando
Edward T. Hall, la 'sfera' propria dell'architettura di Le Corbusier,
che a Ronchamp associa inscindibilmente, come in molti altri
luoghi, architettura e paesaggio.
Se c'è un insegnamento da trarre da questo episodio, le cui
tracce sul territorio saranno durevoli, è proprio l'importanza
del radicamento delle opere di Le Corbusier nel panorama
naturale e l'improrogabilità di una riflessione informata e
documentata di tutte le dimensioni di quelle architetture di
cui s'impone la tutela.
Jean-Louis Cohen
NOTE:
1. Grégoire Allix, La bataille de
Ronchamp, in Le Monde, 20
maggio/May 2008.
2. Renzo Piano, Ecco le
mie ragioni, in Il giornale
dell'architettura, n. 63, giugno/
June 2008, p. 5.
3. Manière de penser Ronchamp,
Paris, Fondation Le Corbusier,
Éditions de La Villette, 2011
(contributi di/contributions by
Jean-Louis Cohen, Jean-Pierre
Duport, Michel W. Kagan, Josep
Quetglas, Gilles Ragot, Nathalie
Régnier-Kagan, Bruno Reichlin,
Stanislaus von Moos).
Inizio del progetto: 2006
Cliente: Association Œuvre Notre-Dame du Haut + Poor Clares (Association Sainte Colette)
Paesaggio: Atelier Corajoud
Consulenti: Sletec Ingénierie, M. Harlé, C.Guinaudeau, P.Gillmann, Nunc/L.Piccon
Area del Monastero: 1700 m²
Area della sala accoglienza: 450 m²
Area coperta: 1386 m² (convento: 263 m²; area abitativa delle Clarisse: 296 m²; laboratori: 120 m²; oratorio: 260 m²; zona per gli ospiti: 443 m²)
Costi: € 9.000.000