Il padiglione di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, appena inaugurato a Toledo, Ohio, celebra la trasparenza nella città del vetro americano. Fotografia di Domingo Milella. A cura di Joseph Grima

La storia di Toledo, quarta città dell’Ohio, è legata indissolubilmente all’industria vetraria, al punto che molti la conoscono semplicemente come Glass City, la città del vetro. Da quando il magnate Edward Libbey, proprietario della Libbey Glass Company, fondò il Toledo Museum of Art nel 1901, la città ospita anche una delle più importanti collezioni mondiali di vetri d’arte. Negli anni, il museo è diventato però anche il fulcro della sperimentazione e dell’innovazione nelle tecniche di soffiatura del vetro: proprio qui, in un garage situato all’interno del perimetro del museo stesso, nei primi anni Sessanta due giovani artisti – Harvey Littleton e Dominick Labino – fondarono lo Studio Glass Movement.

In una serie di seminari, Littleton e Labino provarono che era possibile produrre vetro soffiato anche in un piccolo studio, e iniziarono a tenere dei corsi per trasmettere ad altri artisti le tecniche che avevano sviluppato. Nell’intento di continuare la tradizione di ospitare workshop e seminari accessibili al pubblico, il museo ha commissionato una nuova struttura che sappia unire senza soluzione di continuità un ampliamento dello spazio espositivo, due fornaci per corsi di lavorazione e una serie di altri laboratori per artisti. Il padiglione, progettato da Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa (SANAA), è stato inaugurato lo scorso 27 agosto e soddisfa tutti questi requisiti, rendendo contemporaneamente omaggio alle qualità del materiale per il quale la città è famosa. L’edificio presenta una pianta rettangolare, mentre gli spazi interni sono organizzati secondo una griglia di circa tre metri, i cui angoli sono stati arrotondati per creare dei collegamenti tra celle adiacenti.

Come in molte altre recenti commissioni pubbliche di SANAA, la struttura insiste sul rapporto con il contesto circostante (in questo caso un giardino con imponenti querce centenarie) per mezzo di una ricerca quasi acrobatica della trasparenza. Per ottenere un rapporto fluido di continuità priva di ostacoli tra interno ed esterno, alcuni elementi fondamentali del programma costruttivo, come i laboratori per la sabbiatura isolati acusticamente, le sale per le lavorazioni meccaniche e gli uffici – ma anche la piattaforma di carico e scarico per le mostre – sono stati confinati in un piano sotterraneo invisibile, mentre gli impianti idraulico ed elettrico si diramano all’interno della spessa lastra del pavimento.

Le più importanti industrie di lavorazione del vetro di Toledo sono ormai scomparse, e ciò spiega il tortuoso processo attraverso il quale sono stati ottenuti i grandi pannelli di vetro (coi quali è stata realizzata gran parte della struttura). Tali pareti vetrate non costituiscono semplicemente un involucro, ma funzionano secondo un principio simile a quello del vetrocamera delle nostre finestre, con una intercapedine di ottanta centimetri regolata termicamente per controbilanciare l’effetto del sole, trasferire il calore e la condensa. Una delle caratteristiche di spicco dell’edificio è che, sebbene ospiti tre microclimi regolati separatamente – gli spazi espositivi, le cavità di isolamento ventilate e le fornaci – non ha praticamente alcuna separazione visibile tra i diversi spazi. Di notte, il bagliore rossastro delle fornaci, mantenute costantemente a una temperatura di 2.400 gradi, è visibile dalla strada.

Tuttavia, il padiglione contiene un certo numero di spazi meno accessibili alla vista, in particolare aree espositive in cui le opere più sensibili alla luce vengono protette dai raggi solari. Altre, come per esempio la fornace della lavorazione a lume vicina al secondo laboratorio, agiscono anche da stabilizzazione laterale supplementare per aggiungere rigidità al sistema strutturale dell’edificio. (J.G.)