Arper è Catifa, ma non solo

Raccontando il progetto di Catifa Carta, Andrea Mulloni, Head of Sustainability di Arper, spiega in che modo l’azienda stia dirottando le forze verso “un futuro più sostenibile”, assumendosi il rischio di reinterpretare un’icona in chiave ecologica.

Esiste una differenza sostanziale tra le aziende che si preoccupano di rendere sostenibili i loro prodotti solo dopo averli realizzati – operazione spesso fallimentare per costi e difficoltà – e quelle che invece ragionano considerando la sostenibilità come parte integrante e fondamentale del processo creativo.  Andrea Mulloni, Head of Sustainability di Arper, racconta a Domus come negli ultimi anni l’azienda abbia cambiato il proprio approccio alla progettazione: “per molto tempo abbiamo lavorato sulla compliance, sviluppando un prodotto a livello concettuale, materico, estetico e solo successivamente valutando la risposta a livello ambientale. Il processo è iniziato nel 2005, ma è a partire dal 2021 che c’è stato un punto di svolta, ed è cresciuta la consapevolezza che se un prodotto non funziona da un punto di vista ambientale, non può rispecchiarci, perché l’impatto che abbiamo sul pianeta – come azienda – sono i prodotti che produciamo.” 

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell Foto Alberto Sinigaglia

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell Foto Alberto Sinigaglia

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell Foto Salva Lopez

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell Foto Salva Lopez

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell Foto Alberto Sinigaglia

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell Foto Alberto Sinigaglia

A partire da queste considerazioni, una domanda sorge spontanea: perché proporre il redesign in chiave ecosostenibile di una sedia già presente nel portfolio di Arper, la Catifa, invece di pensare subito a un nuovo prodotto? “La scelta di Catifa si basa proprio sul fatto che è un’icona: Arper è Catifa, Catifa è Arper. Quindi il fatto di proporre una nuova versione di una sedia che ha scritto la storia dell’azienda, per noi significa prendere estremamente sul serio la ‘rivoluzione’. Abbiamo rotto gli schemi per abbracciare un’idea di economia circolare mettendoci in gioco a 360 gradi.”  Nonostante il design sia il medesimo, come nel progetto originale di Lievore Altherr Molina, Catifa Carta è quindi un prodotto nuovo, in cui la sostenibilità entra direttamente nel processo creativo perché intenzionalmente ricercata. Arper ha reso possibile la realizzazione della classica linea armoniosa e curva della seduta attraverso un materiale totalmente nuovo: PaperShell è fatto di carta derivata dai residui della produzione di legno, come segatura, trucioli e rami.  
Mulloni racconta che dietro alla realizzazione di Catifa Carta si cela un lavoro lunghissimo, fatto di prove e simulazioni di resistenza, per raggiungere un risultato ottimale: “Penso che abbiamo fatto più di 100 tentativi prima di arrivare a trovare la forma giusta che la carta dovesse assumere per essere performante.” 

Andrea Mulloni Head of Sustainability di Arper. Courtesy of Arper

Ma Arper non si è fermata alla realizzazione di un prodotto realizzato con materiali di scarto. La rivoluzione prosegue con la scelta di pensare a tutto il ciclo di vita della sedia, dalla sua nascita fino alla fine dell’utilizzo, che forse è il punto veramente cruciale su cui ragionare. Alla fine del suo ciclo di vita, attraverso la pirolisi, la scocca di Catifa Carta si trasforma in biochar, una sostanza ad alto contenuto di carbonio che sequestra efficacemente CO2. Questo processo garantisce un impatto ambientale minimo, completando il cerchio e trasformando i rifiuti in risorse per arricchire il suolo e sostenere la biodiversità.  

La scelta di Catifa si basa proprio sul fatto che è un’icona: Arper è Catifa, Catifa è Arper. Quindi il fatto di proporre una nuova versione di una sedia che ha scritto la storia dell’azienda, per noi significa prendere estremamente sul serio la ‘rivoluzione’.

Vi sono inoltre, secondo Mulloni, altri due modelli di business che riescono a garantire un fine vita utile al prodotto e che Arper ha recentemente adottato: “il refurbishment, quindi il recupero, nasce dall’idea che i clienti tendono a cambiare i complementi d’arredo dopo sei, sette anni, anche se la sostituzione non è necessaria, ma magari alcuni prodotti hanno subito piccoli danneggiamenti. Per questo motivo, grazie a una partnership attiva con aziende di paesi interessanti – parliamo di Olanda e Svezia – proponiamo di fare uno scanning gratuito al cliente, e di provvedere alla sostituzione di parti danneggiate o sistemazione di difetti dettati dal tempo”. In questo modo, oltre a una convenienza effettiva per il cliente, anche l’impatto ambientale è estremamente ridotto.  

Un’altra strada, invece, è quella del noleggio, interessante perché da un lato, mantenendo la proprietà del prodotto, la responsabilità del corretto funzionamento resta di competenza dell’azienda, dall’altro si riducono gli sprechi. Complementi che in una condizione di acquisto sarebbero stati smaltiti dopo qualche anno di utilizzo ritornano invece all’interno dell’azienda che può restaurare e riutilizzare, in quell’ottica di circolarità sostenuta da Arper.  Uno degli episodi del podcast Arper Design Stories è titolato con questa domanda: “Come può un’azienda contribuire a progettare un mondo più sostenibile?”. La risposta, secondo ciò che Mulloni ha condiviso con Domus, è iniziare a ragionare in termini di responsabilità: “non si può continuare a gettare prodotti nel mercato e delegare la decisione del fine vita al cliente. Questa volontà di incidere che abbiamo” conclude “deve partire dalla responsabilità che ci assumiamo.”

Catifa Carta, la nuova sedia di Arper con scocca in PaperShell. Foto Alberto Sinigaglia

Immagine di apertura: foto Salva Lopez

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