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Gli highlight della mostra

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Tra robotica, architettura vernacolare e suggestioni d'artista

Sarebbe impossibile oltreché ingiusto fare classifiche tra i ben oltre 200 progetti di Time Space Existence, ecco allora una carrellata di progetti che rappresentano i quattro filoni concettuali attorno a cui ruota la rassegna.

 

Progetti ad alta tecnologia
Uno dei filoni di quest’anno è rappresentato dai progetti che coniugano materiali naturali, saperi antichi e tecnologie all’avanguardia come la robotica. Il laboratorio BioMat fondato da Hanaa Dahy nelle università di Stoccarda e Aalborg mira a esplorare soluzioni di architettura sostenibile, combinando stampa 3D, fabbricazione robotica e progettazione computazionale e una vasta gamma di materiali naturali, in particolare fibre, legno, micelio e biocompositi. Tre i progetti presentati: 3DNaturalPrint che indaga l’utilizzo delle fibre naturali stampate in 3D; LightPro che esplora lo sviluppo di profili e componenti leggeri utilizzando materie prime rinnovabili; Smart Circular Bridge che dimostra il potenziale della bio-economia nell’industria delle costruzioni con tre ponti pedonali e ciclabili biocompositi.

La stampa 3D è al centro anche del lavoro proposto da Digital Building Technologies (ETH Zurich), Block Research Group (ETH Zurich) e Istituto Scienze della Terra (Supsi). Il progetto fornisce una dimostrazione concreta di come la stampa 3D di forme strutturali complesse possa non soltanto ridurre il consumo di materiale da costruzione, ma anche sostenere l’uso di risorse locali e riciclate. L’intera filiera tra progettazione e fabbricazione può, in questo modo, essere snellita come mai prima: già oggi dispositivi di dimensioni ridotte, e a costo accessibile, sono utilizzati da milioni di persone per stampare serie limitate di componenti di piccola scala.

Ancora l’università di Stoccarda, assieme a vari partner, presenta Marinaressa Coral Tree, una struttura di calcestruzzo filigranata che dimostra come il light design possa contribuire all’uso responsabile delle risorse naturali e alla decarbonizzazione dell’industria delle costruzioni. Incardinata sui principi di minimalità, circolarità e rigenerabilità, la struttura dendromorfica offre una nuova interpretazione della transizione convenzionale da lastra a colonna, dove il carico viene trasferito da una lastra orizzontale alle colonne attraverso il capitello. La minimalità nell’uso dei materiali, la circolarità attraverso una gestione oculata dei rifiuti e la rigenerabilità attraverso la riduzione delle emissioni compongono un approccio olistico che mira a minimizzare l’impronta ecologica complessiva.

Ispirati dalla cupola di Santa Maria del Fiore di Brunelleschi e da Angelus Novus di Paul Klee, il Form Finding Lab e l’UCHV Research Film Studio dell’Università di Princeton, insieme allo studio di architettura e ingegneria Skidmore, Owings & Merrill, presentano un’installazione che esplora le nuove possibilità per la volta autoportante, un metodo costruttivo che ha permesso secoli di innovazione architettonica. Situata nel giardino di Palazzo Mora, l’installazione combina una volta in muratura costruita utilizzando la realtà aumentata e un film visibile in due modi: su un pannello a LED o in AR come un affresco cinematografico sulla volta. Intitolato Assemby and Disassembly il cortometraggio indaga l’analogia tra l’architettura umana e quella dell’universo, utilizzando immagini NASA e di film d’arte.

Il tema degli alloggi accessibili
Un altro filone che emerge dalla rassegna firmata ECC è quello dell’housing, da anni un tema centrale nell’agenda globale. La facoltà di Architettura della Budapest University of Technology and Economics presenta un caso studio molto interessante incentrato sulla figura dell’architetto e intellettuale egiziano Hassan Fathy (1900-1989). La mostra presenta e analizza i suoi due principali progetti su scala urbana per mostrare la complessità e l’attualità del suo pensiero e i limiti della loro messa in pratica. Nonostante la qualità architettonica e gli sforzi di Fathy per creare alloggi accessibili e di buona qualità per i poveri, New Gourna (1944-45) e New Baris (1966-67) si rivelarono, infatti, due insuccessi, incapaci di farsi accettare dalle comunità cui erano diretti. L’obiettivo dello studio è, dunque, fornire agli addetti ai lavori una critica circostanziata di quelle esperienze in modo che le idee innovative e le lezioni apprese dagli errori possano plasmare future iniziative abitative sostenibili, accessibili e partecipate dal basso.

La Delft University of Technology propone BK Africa: a Laboratory of the Future?, una rassegna che riunisce una vasta gamma di progetti, ricerche e altre iniziative che affrontano la rapida trasformazione dell’ambiente costruito africano. L’aspirazione della mostra è evidenziare come l’Africa non sia affatto uno spazio omogeneo, bensì una complessa collezione di differenti biomi, territori, culture, società e ambienti costruiti. Modelli, fotografie, film e manifesti svelano cartografie alternative e nuove narrazioni sulla memoria, la storia, le storie, le risorse e i paesaggi di alcuni dei 54 Paesi africani invitando a riflettere su alternative ai modelli occidentali neoliberisti di insediamento come punti di partenza obbligati per le future società del Continente nero.

Il MIT in collaborazione con la American University of Beirut, Adèle Naudé Santos, Mohamad Nahleh, e il Beirut Urban Lab, presenta un piano urbanistico pensato per favorire la rinascita di Beirut dopo la devastante esplosione che nell’agosto del 2020 ha raso al suolo ampie porzioni della città. La strategia mira a creare un corridoio abitativo con un approccio ecologico, sociale e trasversale alle fasce di reddito in cui lo sviluppo residenziale sia accompagnato da una rete di spazi verdi e condivisi e sostenuto da un’infrastruttura definita da approcci di efficientamento energetico e di design passivo come la ventilazione naturale incrociata. Lo sviluppo a bassa altezza e alta densità di unità modulari con 1, 2 e 3 camere da letto riproduce la qualità intima dei quartieri più vecchi e assicura che i tetti possano fornire energia solare.

Reconceptualizing Urban Housing è progetto collettivo che riunisce le proposte di studi guidati da donne: l’inglese Alison Brooks Architects, l’olandese Mecanoo, l’ugandese Adengo Architecture, il malaysiano Eleena Jamil Architect, il canadese Dubbeldam Architecture + Design, il messicano Fernanda Canales Arquitectura, il francese Manuelle Gautrand Architecture e il tedesco Meyer-Grohbrügge. I progetti esplorano l’equilibrio tra spazi comuni e privati, le connessioni sociali, le questioni d’identità, l’accessibilità economica, la sostenibilità nelle sue molteplici forme e l’integrazione di elementi naturali per creare spazi migliorati sia per gli abitanti sia per le comunità, in diverse scale e forme.

Il dramma delle migrazioni di massa
Affrontano il tema delle migrazioni le esposizioni di Rafi Segal del MIT e Susanna Drake della Cooper Union School of Architecture, della Norman Foster Foundation e Holcim, e di Hariri & Hariri Architecture. Le prime affrontano la segregazione razziale in Florida e indagano la curiosa “inversione del rischio” per cui i quartieri ricchi sono a rischio a causa dell’aumento del livello degli oceani mentre i ghetti sono al sicuro nell’entroterra. Il progetto si propone quindi di contrastare la gentrificazione climatica con nuove forme di sviluppo delle aree depresse.

La Norman Foster Foundation e Holcim presentano un progetto a lungo termine per esplorare soluzioni abitative durevoli, confortevoli e dignitose per profughi e sfollati. Il prototipo è costruito utilizzando una tela di cemento a basso consumo di carbonio che può essere arrotolata e diventa rigida a contatto dell’acqua. Ciò crea un guscio esterno resistente, con sistemi d’isolamento facilmente installabili per mantenere il calore e piastrelle con aggregati luminescenti che illuminano i percorsi di notte. Basandosi su un approccio incrementale, le sue dimensioni possono essere modulate a seconda delle esigenze di ciascun nucleo famigliare.

Hariri & Hariri Architecture + Folding Pod Partners presentano una casa prefabbricata modulare a basso costo con una struttura pieghevole ispirata all’origami e progettata per facilitare spedizione e montaggio: fino a 8 unità possono essere inseriti in un solo container. Con un generatore solare portatile, il modulo si apre senza attrezzi o manodopera. Resistente al fuoco e all’acqua, il Folding Pod è costruito con legno biodegradabile e rinnovabile, polistirene espanso estruso riciclabile e fibra di carbonio, tutti materiali sostenibili.

Poi, Venezia e l’arte
È un progetto particolare quello curato da Snøhetta, un’installazione di legno ai Giardini della Marinaressa. Si tratta di una grande struttura basculante a cinque bracci il cui equilibrio dipende dal numero di persone che vi si siedono, un modo per ricordare l’impatto che ciascuno ha sullo spazio circostante e sugli altri, specialmente in un luogo delicato come Venezia e la sua Laguna.

Concludendo con uno degli artisti in mostra, Pedro Friedeberg (Firenze, 1936) presenta Hipnerotópolis, una città immaginaria in cui i problemi dell’esistenza, del tempo e dello spazio sono risolti in un sogno. Si tratta di un’installazione composta da sculture di legno e foglia d’oro che ricordano immaginifiche maquette di palazzi e torri. Insieme, queste sculture manifestano l’idea della polis e consentono allo spettatore di attraversare la città in modo surreale e onirico, esplorando i principi dell’architettura ideale di Bramante, Brunelleschi, Borromini, Orsini, Bibiena e Piranesi. “La presenza dell’arte e delle sue suggestioni, anche utopiche, è per noi molto importante”, conclude Rachele De Stefano. “Allargare l’indagine oltre i confini della sola architettura aiuta a dare respiro alla visione grazie a contaminazioni inattese che possono contribuire a delineare una mappa di senso condivisa”.



Foto in apertura:
A Palazzo Mora,  la Norman Foster Foundation, in collaborazione con Holcim, espone lo studio che ha condotto alla realizzazione di uno shelter sicuro e durevole per sfollati e rifugiati. Il prototipo del modulo è esposto ai Giardini della Marinaressa (© Chiara Becattini)

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