Immagini:
Diamond, divano, 1955 ($120.000/Wright, 9 December 2007)
Tavolo per casa Ceccato di Milano, 1950 (£98.400/Christie’s, 23 March 2006) Piero Fornasetti
Particolare della vetrina per casa Marmont, Milano
Trumeau per casa Ceccato di Milano (£102.000/Christie’s, 23 March 2006)
Un’eredità costosa
Promuovere è la parola chiave dell’infaticabile lavoro di Ponti attorno all’architettura, al design, alle arti applicate: la stessa che sembra risuonare quando si tocca il tema del vintage design.
Pubblicato in origine su Speciale Domus Gio Ponti / anno 2008
In mezzo secolo di attività, dal 1928, anno della fondazione di Domus, fino all’ultimo articolo apparso sulla rivista nel 1978, l’architetto milanese ha scritto una quantità impressionante di testi sulle sue opere e su quelle di altri, introduzioni, aforismi, commenti e note redazionali, oppure semplici e precise didascalie alle illustrazioni. I motivi di questo insaziabile bisogno di esprimersi con la scrittura, andrebbero ricercati nel compito molto speciale di un architetto, operante in Italia tra gli anni Venti e gli anni Settanta, che parallelamente svolge il mestiere di direttore di una rivista mensile di architettura e arte. Rivedere gli scritti di Ponti, aggiungendo anche le numerosissime lettere, sotto una luce capace di individuare le sottili trame del suo pensiero architettonico, potrebbe condurci a stabilire delle relazioni non banali con l’attività del progettista. È abbastanza evidente, ad esempio, anche solo scorrendo i commenti alla pubblicazione dei propri lavori, il fatto che l’architetto pratichi l’esercizio della scrittura per verificare e indirizzare l’andamento delle diverse fasi della progettazione. Come se i progetti fossero pazientemente disegnati dalle parole che li descrivono.
Pubblicando il primo modello di casa Arreaza, “la diamantina” di Caracas, sulle pagine di Domus (n. 304, 1955) Ponti dice: “È questo un quartiere di abitanti privilegiati, un hortus conclusus, che insinuando le abitazioni fra alberi e prati rispettati che creano un paesaggio, esprime un modo di vita che se è di una situazione privilegiata è anche una testimonianza di un vivere deliberatamente immerso nella natura, significando non un aspetto brutalmente e orgogliosamente edonistico di società e di esibizione mondana, ma la scelta di una vita naturale le cui giornate e la cui esistenza fisica siano ospitate nel verde
e nell’esercizio dello sport all’aperto”. E puntualmente, il richiamo alla “vita naturale” si concretizza nel risultato costruito, pubblicato tre anni dopo: una casa che “pare dall’alto una farfalla posata su un prato”. “Così la volevo”, conclude l’architetto.
Ma accanto all’aspetto specificamente professionale, che ovviamente merita ben altri approfondimenti, lo ‘stile’ della scrittura di Ponti compone l’esercizio critico secondo un modello molto personale e di grande efficacia comunicativa. Ponti non scrive di architettura come Roberto Longhi scrive di pittura e scultura, cioè non fa appello alla letteratura come se la “letteratura fosse una scienza”, per usare una bella espressione di Cesare Garboli. Ponti, invece, si serve della letteratura per stabilire un contatto più intimo e privato con il pubblico dei suoi lettori. Ponti scrive di architettura per far conoscere a tutti la bellezza dell’‘Architettura’, sempre con la A maiuscola, con pochi e semplici aggettivi in grado di cogliere la natura ‘originaria’ delle cose.
È per questo che le architetture da lui pubblicate, raccontate sempre in prima persona, quando sono ben ‘architettate’, sono ‘bellissime’, sono “invenzioni geniali e praticissime”, suscitano ‘entusiasmo’, producono ‘felicità’ e le loro ‘espressioni’ sono “giuste (vere)”. Perché, come si legge nel libro Amate l’ Architettura (1957), “i delitti della cattiva edilizia non appartengono all’ Architettura”.
Così, gli scritti di Ponti sono tante pagine di un lungo diario autobiografico in cui la vita reale si fonde con quella dell’architetto che progetta e costruisce, con il critico che commenta le opere dei suoi amici e con le donne e gli uomini che vivono e vogliono ‘amare’ questi pensieri costruiti: “Il vero Architetto dovrebbe innamorarsi, per ogni casa che costruisce o arreda, degli abitatori (e delle abitatrici)”.
A cura di:
Federico Bucci
Federico Bucci, architetto, insegna storia dell’architettura contemporanea presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano: ha curato molte pubblicazioni e mostre
(“Franco Albini”, Milano 2005).
Se non ci fosse Ponti a promuovere questo capitolo della nostra storia, con la sua massa di movimento di pezzi realizzati in settori diversissimi e lungo quasi tutto il XX secolo, non si sarebbe prodotta tutta l’attenzione del mercato internazionale sul design italiano. Ponti è un medium con effetti anche quantitativi che promuovono e muovono il mercato.
Anche se siamo ancora ben lontani dal colpo di martello che nel giugno del 2005 ha fissato in 3,8 milioni di dollari il valore di un tavolo di Mollino del 1949 progettato per Casa Orengo in un’asta di Christie’s, Ponti è saldamente secondo nella lista dei designer italiani riconosciuti dalle aggiudicazioni d’asta. Se il primato resta all’imprendibile torinese (si tratta di due produzioni non paragonabili, dato che il rapporto di opere disponibili tra Mollino e Ponti è di circa di 1 a 20) Ponti è continuo e inesorabile e fa quantità mentre Mollino è raro e in mano a pochissimi collezionisti.
Eppure Ponti non gode di un particolare supporto Inoltre i Gio Ponti Archives, luogo deputato al riconoscimento e all’autentica della sua opera, si sono solo recentemente costituiti. Nonostante ciò l’opera di Ponti si muove con le sue gambe e con grande dinamicità, per le relazioni che egli comunque ha intessuto nel corso della sua vita in quasi ogni angolo del mondo del progetto, anche grazie al largo spettro delle tipologie che tocca.
Ponti è largamente amato dal mercato Usa (dove peraltro una mostra sulla sua opera in un museo di nome non è in programma da almeno trent’anni), in Gran Bretagna e in Giappone, vezzeggiato in Francia (dove il suo design degli anni Venti/Trenta talvolta ‘disturba’ il ben più costoso e ipervalutato déco nazionale) e ricercato in Italia dove però i collezionisti possono sperare di procurarsi oramai pezzi della fascia medio-bassa. I valori in gioco indicano un’interessante oscillazione del gusto sulla sua opera.
Mentre fino ad una quindicina di anni addietro il suo mercato era condotto dal Déco/Novecento della stagione Richard Ginori, con collezionisti che venivano soprattutto dal mondo delle arti applicate, oggi al centro dell’interesse c’è il Ponti designer tra il 1945/48 e l’inizio degli anni Sessanta: con tutt’altro pubblico. Le grandi ciste in porcellana bianca decorate a figure in viola-grigio-oro o le passeggiate archeologiche ad urna in azzurro- blu-oro si sono viste affiancare e superare dalla infinita variazione di tavolini sul tema della struttura decomposta (Singer and Sons o Altamira), dalle poltrone ad orecchie rivisitate ed alleggerite della Jsa o Cassina, dalle scrivanie zoomorfe con cassettiere a sbalzo e dai cassettoni con cassetti a rilievo e piedini a V in ottone.
Qui le quotazioni si sono largamente consolidate nelle aste internazionali: 15-20.000 euro per un tavolino, 20-25.000 per una poltrona, fino a 30- 40.000 euro per la leggerezza di una scrivania.
Poi ci sono le eccezioni verso l’alto: nel 2007 98.000 sterline per un tavolo, il tavolino di casa Arreaza a Caracas del 1956 ha toccato da Wright i 156.000 dollari, un divano Diamond i 114.000 dollari.
In discesa invece l’interesse per il periodo dei mobili Venti/Trenta/Domus Nova: qui si conferma la difficoltà ad imporre internazionalmente il déco italiano, capitolo che appariva maggiormente apprezzato negli anni Ottanta. Tutta la base del complemento di arredo appare invece eccezionalmente solida: nella fascia che si muove tra i 1.000 e i 5.000 euro, sono costantemente richiesti gli smalti De Poli, gli argenti per Sabattini, i tessuti per la Manifattura Jsa, le posate Krupp, i piatti per la Ceramiche Pozzi.
In parallelo prolifica il mercato dei falsi, dove risultano ormai rischiose alcune ceramiche degli anni Venti (come le Domitilla o i piatti Pontesca, riprodotti a tradimento con una certa qualità), così come molte lampade in ottone e plastica particolarmente ‘artigianali’ della Arredoluce, del periodo 1955/58: facilmente riproducibili da bravi fabbri, mentre può capitare spesso che nella collaborazione congiunta con il mobiliere Giordano Chiesa si passi per Ponti ciò che è semplicemente Chiesa o “di bottega”. Del resto Chiesa si era già preso la libertà di una produzione ‘parallela’ già all’epoca, quando Ponti lasciava correre perché in altre faccende affaccendato e quasi lusingato che la sua opera avesse generato il fenomeno della copia. Così su pannelli-cruscotto e pannelli-testiera gravano seri dubbi. Infine: l’arte. Da un paio di anni muove i primi passi il mercato dei disegni (1.000/3.000 euro), con la scoperta di un Ponti soprattutto artista, non necessariamente legato né al mobile, né al disegno di architettura, né ai progetti del proprio design. È un Ponti poeta della fine dei Sessanta e dei tanto vituperati anni Settanta, che gioca col mondo e che ha scoperto la tecnica della pittura su vetro o su plexiglas con risultati ben più spinti che in precedenti oli degli anni Quaranta/Cinquanta, di matrice ‘Campigli’. Qui compaiono materiali da arte povera, come il foglio plastificato che protegge le lastre di plexiglas o il lucido da disegno, in cui Ponti dissolve le sue figure classiche in una forma oramai ironica e distaccata della realtà.
Come Sottsass, anche Ponti potrebbe segnare a breve un ingresso più riconosciuto nel mercato canonico dell’arte e trovare il proprio Bischofberger. Nel frattempo la sua opera appare come l’ultimo territorio franco per un collezionismo italiano attento e colto, prima che il Ponti residuo venga fagocitato e sparato alle stelle oltreoceano.
A cura di:
Manolo de Giorgi
Manolo De Giorgi, architetto e critico, è stato redattore di Modo e Domus. Ha insegnato allo IUAV di Venezia
e attualmente è docente in Architettura d’Interni al Politecnico di Milano. Ha curato numerose mostre tra cui: “Un Museo del Design in Italia” (Milano,1995).