Quella di Richard Buckminster Fuller è una autentica figura di inventore, che lungo tutta la sua vita ha seguito il solco dell'architettura, ampliando però la sua ricerca e la sua azione all'intera sfera fisica dell'esistente, costantemente ridefinendo le cornici del pensiero consolidato per proporre nuove letture del mondo e nuove idee progettuali ad esse legate. La vicenda di Fuller è già peculiare fin dalla giovinezza e della formazione: nato a Milton (Massachusetts) nel 1895, cresce passando molto tempo in una fattoria nel Maine, sviluppando una familiarità con le macchine e le barche, e approfondendo la conoscenza e lavorazione di materiali come il legno. Iscrittosi ad Harvard nel 1913, lascia dopo due anni; è poi nella Marina Militare dal 1917 al 1919: lì avrà modo di esprimere il suo spirito di invenzione, e nella U.S. Naval Academy, dove sarà poi addestrato, di unire questo spirito ad un approccio di studio integrato e ampio dei problemi.
Richard Buckminster Fuller
“Vedo arrivare una rivoluzione totale, e se è una rivoluzione di sangue l’uomo perderà. Se è una rivoluzione nel design, nell’uso competente ed efficiente delle risorse, allora l’uomo può vincere.” (R. Buckminster Fuller, 1975)
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La mia esperienza in Marina è stata quella di fare continuamente di più con il meno.
Attraversati diversi lavori e una profonda crisi personale, ne esce con la rafforzata intenzione di investire il patrimonio intellettuale acquisito nella messa a servizio della collettività per migliorarne le condizioni di vita. Dal 1927 cominciano gli anni delle sperimentazioni Dymaxion (DYnamic MAXimum tensION): più una vera visione interpretativa del mondo che una tecnologia, questa ricerca nasce col voler portare l'edilizia allo stesso avanzamento tecnologico delle altre industrie, passando per un processo di ottimizzazione spaziale attraverso l'innovazione delle geometrie (la Dymaxion Air-Ocean World Map, un planisfero che sviluppa le terre emerse riducendo al minimo la deformazione, descrive tutto il mondo suddividendolo in triangoli) e delle tecniche costruttive. Dopo un primo esperimento di casa trasportabile con un dirigibile, la Dymaxion House (1927) apre un'era di sperimentazioni e visioni nell’abitare. La casa è un prodotto industriale, prefabbricato è trasportabile.
Richard Buckminster Fuller, Dymaxion Wichita House, 1946 (attualmente presso il Ford Museum, Dearborn, Michigan). In Domus 843, dicembre 2001
Richard Buckminster Fuller, Dymaxion Wichita House, 1946, veduta interna. In Domus 843, dicembre 2001
Richard Buckminster Fuller, Dymaxion Wichita House, 1946, la cucina. In Domus 843, dicembre 2001
Richard Buckminster Fuller, Dymaxion Wichita House, 1946, dettaglio della struttura. In Domus 843, dicembre 2001
Richard Buckminster Fuller, la Dymaxion House del 1940, in montaggio e completata. In Domus 596, luglio 1979
Richard Buckminster Fuller, Dymaxion Bathroom, 1938. In Domus 563, ottobre 1976
Richard Buckminster Fuller, disegni per il brevetto della Dymaxion Car, 1933. In Domus 563, ottobre 1976
Richard Buckminster Fuller, Dymaxion Air-Ocean World Map, brevetto del 1946. In Domus 996, november 2015
Richard Buckminster Fuller, Pease House, Ohio, 1960. In Domus 596, luglio 1979
Richard Buckminster Fuller, cupola geodetica per la Triennale di Milano, 1954. In Domus 299, ottobre 1954
Richard Buckminster Fuller, cupola geodetica per la Triennale di Milano, 1954. Dettaglio degli interni curati con Roberto Mango. In Domus 299, ottobre 1954
Richard Buckminster Fuller, cupola geodetica per la Triennale di Milano, 1954. Pianta di una delle soluzioni interne curate da Roberto Mango. In Domus 299, ottobre 1954
Richard Buckminster Fuller, modello per il Padiglione degli Stati Uniti all’Esposizione di Montréal 1967.
Richard Buckminster Fuller, il padiglione degli Stati Uniti all’Esposizione di Montréal in costruzione. In Domus 441, agosto 1966
Richard Buckminster Fuller, Padiglione degli Stati Uniti all’Esposizione di Montréal 1967. In Domus 577, dicembre 1977
Richard Buckminster Fuller, il padiglione degli Stati Uniti all’Esposizione di Montréal sulla copertina Domus 441, agosto 1966
Richard Buckminster Fuller con una cupola in Tensegrity structure. In Domus 596, luglio 1979
Edison Price, Shoji Sadao e Buckminster Fuller con alcune parti della MoMA Tensegrity mast, 1959. Courtesy of Fuller e Sadao PC
Buckminster Fuller (1895-1983)
Vector Equilibrium Jitterbug Duo, Edition 8 of 10, 1980/2008
Aste e nodi in acciaio inox
Courtesy Edward Cella Art & Architecture.
Buckminster Fuller (1895-1983)
Geodesic Tensegrity Sphere, 30 Strut, 3 Frequency Dome, Carbon C-60 Finish, Edition 1 of 1,
puntoni in acciaio inox e tiranti in cavo inox, finitura carbonio
Courtesy Edward Cella Art & Architecture.
Buckminster Fuller (1895-1983)
Duo Tet Star Polyhedra, Edition 4 of 10, 1980 .
Struttura in tubi e connessioni in plastic termostampata, ottaedro in acrilico, pittura acrilica e resina epossidica.
Courtesy Edward Cella Art & Architecture.
Richard Buckminster Fuller, sistema frangiflutti, brevetto 1975. In Domus 544, maggio 1975
Richard Buckminster Fuller, Foto Arrigo Coppitz. In Domus 582, maggio 1978
Mi accorsi che un’area in cui la scienza non veniva applicata era la casa (…) L’antipriorità era la facciata. Perciò nel 1927 mi dedicai all’idea di esplorare le più avanzate tecniche di produzione per sviluppare dei prototipi di controllo dell’ambiente per gli esseri umani che pesassero meno, e ho scoperto che potevo farlo.
La Dymaxion House è un prototipo costituito da una calotta sferica in laminato metallico a struttura in alluminio di facile assemblaggio, una unità da cui deriverà una famiglia di invenzioni, tutte con lo stesso label, l'aerodinamica Dymaxion Car (1932), dalle linee mutuate dell'aeronautica, la Dimaxion Bathroom in monoblocco metallico (1938), e le Dymaxion Development Units, unità abitative prodotte in serie sul modello dei silos da grano, che non andranno sul mercato ma saranno poi usate nella Seconda Guerra Mondiale come unità di servizio in ambienti impervi.
Dal 1947, il tema di ricerca principale per Fuller diventa la cupola geodetica. Di nuovo, più che una tecnologia specifica, il centro dell'intera ricerca è la figura geometrica nella sua caratteristiche di performance: la cupola deriva dallo studio della cartografia terrestre, delle struttura tetraedrica dei metalli e della geometria della sfera come solido capace di contenere il massimo spazio nel minimo di superficie involucro grande. Le cupole sono costituite da tetraedri, piramidi regolari di 4 triangoli equilateri, e garantiscono alti valori di resistenza in qualsiasi materiale esse vengano realizzate (plastica, metalli, cartone). Le prime applicazioni sperimentali seguono l’ultima evoluzione del concetto Dymaxion con la casa del 1946 a Wichita (Kansas), andando verso nuove applicazioni militari destinate a una lunga evoluzione. In seguito, il palazzo dell’Institut National des Sports a Parigi (1952), l'installazione per la Triennale di Milano che viene premiata nel 1954, e la cupola per la Ford Motor Company a Dearborn (Michigan, 1953) precedono la registrazione definitiva del brevetto nel 1954, uno dei 25 che Fuller registra lungo la sua vita.
Come succede anche con le più tarde Tensegrity Structures (modelli di strutture spaziali autoportanti per tension+integrity, combinazione di elementi tesi a diversa deformabilità quali barre e cavi) che Fuller esporrà poi al Museum of Modern Art di New York nel 1960, nel caso delle cupole geodetiche è la figura ad avere una grandissima diffusione in diversi usi e un impatto rivoluzionario nella cultura tanto specificamente architettonica quanto di massa. Già nel 1952 oggetto di un ciclo di lezioni alla Yale University che riscuotono enorme successo, verrà poi a Fuller l'iscrizione all'American Institute of Architects nel 1959. Negli anni poi sarà estesa sia da Fuller sia da altri a scale e usi diversi, dal suo disegno per una cupola geodetica su New York alla sua officina riparazioni per la Union Tank Car Company a Baton Rouge del 1958; dalle coperture in ambito agricolo alle unità abitative d'emergenza, a insediamenti hippy come Drop City.
La più famosa cupole geodetica rimarrà quella per il padiglione degli Stati Uniti all'esposizione di Montréal del 1967 (nota come Expo67), simbolo di un'epoca e di un immaginario di spazio cui si connettono le ricerche di molte architetture radicali di quegli anni, come quelle degli Archigram o di Cedric Price.
So per certo che l’uomo fu pensato per essere un successo , e questo è dovuto al completo cambiamento nel know-how, e giunge come una sorpresa perché nessuno ha mai pensato di applicare la scienza e la produzione di massa in modo veramente efficiente ai sistemi di controllo dell’ambiente degli esseri umani per arrivare al successo.
A quei tempi Fuller era già divenuto, grazie al suo pensiero alternativo, un riferimento culturale mondiale, ispiratore di molte figure in seguito rilevanti (tra cui Norman Foster). Quello di Fuller infatti è sempre stato un approccio positivo alla tecnologia e all'innovazione viste come capaci di risolvere disuguaglianze economiche, sociali e culturali. Tra i primi pensatori della sostenibilità come tutela del genere umano ad una scala globale, fino dagli anni ‘30 fu promotore di una visione del mondo come rete integrata di connessioni — con libri come Nine Chains to the Moon del 1938 — struttura anche spaziale traducibile in forme con cui sviluppare progetti: un'istanza che ha portato avanti in think tank come la World Society of Ekistics, associazione per le neonate scienze dell'insediamento umano creata dall' architetto greco Constantinos Doxiadis, di cui Fuller è stato anche portavoce alle Nazioni Unite, così come nell'attività di lecturer e insegnante — dalle già citate lezioni di Yale al suo incarico presso la Southern Illinois University — e nella vasta produzione di pubblicazioni, che include i famosi Ideas and Integrities (1969) e Utopia or Oblivion: The Prospects for Humanity (1969), e le due edizioni di Synergetics: Explorations in the Geometry of Thinking (1975,1983).
Se vuoi insegnare alle persone un nuovo modo di pensare, non preoccuparti dell’ insegnare. Piuttosto, da’ loro uno strumento, il cui uso le conduca verso nuovi modi di pensare.