Forse più di ogni altro designer della stretta contemporaneità, Neri Oxman incarna lo slancio futuristico e la visionarietà olistica di un demiurgo del XXI secolo. La forza dell’impatto con cui, con il suo gruppo di ricerca Mediated Matter al Media Lab del MIT di Boston, ha avviato una vera e propria rivoluzione sospesa tra architettura e microrganismi, si basa su un duplice presupposto. Da una parte, Oxman usa l’avanguardia degli strumenti messi a disposizione dall’innovazione tecnologica per inaugurare una nuova stagione produttiva basata sull’ingegnerizzazione della natura. Dall’altra, affianca queste nuove opportunità nei mezzi di produzione ad un radicale ripensamento metodologico, che fa dell’interdisciplinarietà tra scienza, biologia, design e arte un connubio capace di accelerare una fisionomia del mondo più sostenibile. Caratteristiche, queste, che la rendono letteralmente una delle innovatrici più significative degli ultimi dieci anni e che fanno della sua ricerca una pietra miliare su cui verranno sviluppate molte applicazioni a venire.
Neri Oxman
«Sono convinta che nel futuro prossimo stamperemo in 3d i nostri edifici e le nostre case». (Neri Oxman)
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- 06 febbraio 2020
Nella natura non c'è separazione tra design, ingegneria e produzione: l'osso fa tutto questo
Neri Oxman
L’eterogeneità delle sue esperienze in età giovanile possono offrire una chiave di lettura per descrivere il banco di prova su cui si è formato l'approccio di Neri Oxman. Nata nel 1976 ad Haifa da genitori architetti, Robert and Rivka Oxman, Neri passa i suoi anni di leva nell’aviazione israeliana, per poi seguire per due anni la facoltà di medicina all’ospedale Hadassah di Gerusalemme: due apparenti dérapage rispetto alla sua vocazione di designer, che le valgono però un’apertura concreta, hands on, su meccanica e provette. Ma è alla passione di famiglia per l’architettura che Oxman ritornerà nel 2001, frequentando il Technion di Haifa e Architectural Association School of Architecture di Londra fino alla laurea. Quindi, è al MIT di Boston che approda per continuare la sua ricerca, prima con un PHD e poi come professore associato in quella disciplina di cui è lei stessa a intravedere i confini e coniare il nome: la Material Ecology.
Se io sono Terminator, Neri è Terminator 2. Io ero misere parti di titanio, ma lei è metallo liquido
John Maeda
Impossibile capire il campo d’azione e la portata del suo lavoro se non si considerano i quattro strumenti operativi che, intersecandosi, delineano tutt’oggi il suo terreno di ricerca: il team di Mediated Matter maneggia senza soluzione di continuità il design computazionale, la digital fabrication, la scienza dei materiali, e la biologia sintetica, combinando l’ingegnerizzazione delle performance dei materiali con la capacità di ottenere nuove funzionalità biologiche attraverso la modifica il DNA. Armata di grosse unità di calcolo, di stampanti 3d customizzate che si auto-costruisce, di laboratori dove modellare nuove forme viventi, Oxman guarda alla materia biologica come ad un nuovo substrato collaborativo con cui costruire seguendo una logica completamente disgiunta da quella novecentesca. Voltate le spalle non solo alla catena di montaggio ma anche all’idea che un artefatto – poco importa la scala – sia l’esito dell’assemblaggio dei suoi componenti, Oxman guarda alla possibilità di far letteralmente crescere i suoi materiali in laboratorio, indirizzandone l’evoluzione naturale secondo modalità progettate. In questa visione olistica e multi-specie, gli organismi vengono plasmati per assumere forma, funzioni, e caratteristiche specifiche: un livello più avanzato di design organico, che supera l’imitazione della natura per arrivare invece alla sua ingegnerizzazione secondo parametri desiderati.
Pensa al Centre Pompidou senza le sue parti separate, piuttosto come un edificio con una pelle trasparente, unica e continua, che può integrare funzioni molteplici
Neri Oxman
A rappresentare la materia viva per i suoi esperimenti troviamo molti organismi che, con la complicità di Oxman, si rivelano degli straordinari alleati per riconfigurare il nostro mondo di domani. I bachi da seta, ad esempio, sono il materiale con cui ha realizzato il “Silk Pavilion”, del 2013: una installazione realizzata in filo di seta che prefigura peraltro una nuova opportunità per produrre il tessuto senza dover uccidere i bachi. Programmata attraverso un algoritmo e quindi stampata da un braccio meccanico, la cupola in filo di seta si è arricchita del contributo di 6.500 bachi da seta, i quali hanno iniziato a loro volta a tessere il loro filo intorno alla struttura delineata dal computer. Controllando parametri legati alla luce, i bachi si concentrano in alcune aree della superficie piuttosto che un’altra, contribuendo a modificare lo spessore della volta e, di conseguenza, parametri come la densità e la resistenza del materiale.
Il batterio e.coli si trasforma invece nella visione di Oxman in un prezioso alleato nella progettazione di quello che resta anche uno dei suoi lavori di maggiore impatto speculativo, Wanderers. Immaginato come riserva alimentare per viaggi interplanetari, questo organo-protesi indossabile riprende la forma e la funzione dell’intestino umano: al suo interno, batteri e.coli geneticamente modificati si possono trasformare in riserve di zucchero in risposta all’esposizione di luce solare. Il feromone è invece la sostanza biochimica che sfrutta per la realizzazione di Syntethic Apiary, un ambiente controllato dove attraverso tracce olfattive le api sono indirizzate a produrre miele. Commissionata dalla Triennale di Milano per l’esposizione della Esposizione Internationale, Broken Nature, l’installazione Totem sfrutta la melanina come materiale di costruzione su scala architettonica. Ancora, con G3DP, Mediated Matter lancia la prima stampante 3D per vetro otticamente trasparente, un apripista nella tecnologia per la produzione di vetro con tecnica additiva che guarda all’integrazione nella materia di meccanismi di rifrazione della luce come un potenziale per nuove applicazioni, in particolare nel campo del solare.
La sofisticazione estetica delle sue forme dall’apparenza fantascientifica ha arricchito la carriera di Oxman di collaborazioni di grande impatto sperimentale con il mondo della moda. Per Björk, Mediated Group ha realizzato una maschera integrata che riprende la sua struttura muscoloscheletrica del volto della cantante islandese, rispondendo ai suoi movimenti facciali. Per Iris Van Herpen, la collezione di vestiti senza cuciture Voltage – stampati ancora una volta come un unicum che cancella l’idea di sommatoria delle parti – si distingue per la capacità del tessuto di variare in elasticità e morbidezza, controllando il movimento del vestito.
Nel 2016 Oxman pubblica su Journal of Design, pubblicazione del MIT da lei fondata, un saggio destinato a lasciare una traccia indelebile nel dibattito teorico a cavallo tra scienza e scienze umane. In “The Age of Entangelement”, Oxam delinea infatti il ”Krebs Cycle of Creativity”, un modello disciplinare dove scienza, ingegneria, design e arte si alimentano a vicenda, diventando l’uno input dell’altro, in un circolo di influenza reciproca potenzialmente processa l’informazione trasformandola in conoscenza, utilità e infine comportamento.
Nel febbraio del 2020, il MOMA di New York inaugura la prima esposizione monografica - “Neri Oxman – Material Ecology” - dedicata alla ricerca della designer israelo-americana; “una mostra mid-career”, come la definisce la curatrice Paola Antonelli, Senior Curator del Dipartimento di Architettura e Design del museo. Tra i primissimi a mettere in risalto il talento di Oxman, Antonelli ha ancora una volta l’occasione per sottolineare la duplice rilevanza del lavoro della designer: certamente quella di sperimentare l’ingegnerizzazione della natura riplasmando output e filiere produttive, ma anche quella di riuscire ad integrarvi un profilo estetico compiuto, superando l’approssimazione formale della ricerca maker grazie ad una sintesi formale sorprendente, vero linguaggio in divenire del ventunesimo secolo.
Lei testimonia come gli edifici e i prodotti non siano abbastanza per descrivere quanto vasto ed eccitante sia oggi il mondo dell’architettura e del design.
Paola Antonelli