La quarta mostra ospitata della Galerie Solo di Parigi ha messo in evidenza alcune questioni fondamentali sul rapporto tra artificio e natura, attraverso un’attenta selezione all’interno del lavoro recente realizzato dal fotografo olandese Bas Princen. Già dal titolo “Earth Pilar”, ispirato da una delle foto presenti in mostra, emerge il desiderio di riflettere sulla figura demiurgica nei segni di costruzione / distruzione presenti all’interno delle immagini.
Bas Princen: Earth Pilar
Nelle fotografie di Bas Princen ogni immagine è sospesa all’interno di una temporalità incerta tra passato e futuro; e il presente si configura come momento della contemplazione.
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- Giaime Meloni
- 09 agosto 2016
- Parigi
Le fotografie di Bas Princen si configurano come strumenti d’indagine capaci di mettere in discussione il carattere dei luoghi. Ogni immagine è sospesa all’interno di una temporalià incerta tra passato e futuro. Il presente si configura come momento della contemplazione da parte dello spettatore. Formatosi in architettura e design industriale Princen ha sviluppato negli anni una pratica della fotografia che si afferma come strumento di analisi e di critica sul processo di trasformazione dello spazio. Le immagini restituiscono la complessità di un’azione riflessiva costruita attraverso un processo di frammentazione del reale. Princen si distacca dalla realtà astraendo la sua esperienza dello spazio secondo i vincoli della fotografia: isolare una parte del tutto al fine di ri-produrre la propria concezione di luogo e spazio. Quella proposta dall’artista olandese è una pratica della fotografia che non fa del territorio un soggetto dell’immagine, ma utilizzando lo sguardo di un progettista Princen evoca una possibilità di costruire visivamente nuovi spazi a partire dal reale come materia di ispirazione. In questo modo si supera lo stereotipo che identifica le immagini come pratica di documentazione illustrativa.
Le immagini rivelano il loro ruolo nella produzione di una consapevolezza critica. Ogni fotografia è capace di emanare delle allegorie universali. Il potere espressivo delle immagini è tale che pur essendo parte di un discorso globale, ognuna di esse genera una riflessione singolare. Per questa ragione il percorso all’interno della galleria è volutamente libero e casuale e lascia al visitatore la possibilità di accedere alla mostra da due diversi ingressi. In un caso il primo contatto visivo avviene con l’immagine che dà il titolo alla mostra. In questo percorso il filo conduttore sembra essere una riflessione visiva su dei concetti archetipi che permettono la costruzione dello spazio.
La presenza eterea del pilastro conduce lo spettatore a un confronto visivo con la materia nelle immagini Vault (Grotta Gigante) e Mine (Orogenic Deposit). Le due immagini stampate in grande formato (230x180cm) proiettano lo sguardo del visitatore all’interno di una contemplazione che perde ogni riferimento di scala rappresentativa e permette di concentrare l’attenzione sugli elementi cromatici accostati l’uno all’altro. La volontà di costruire lo spazio attraverso la bidimensionalità dell’immagine viene infine rivelata da Brick Wall I (Dendera) e Brick Wall II (Dendera), le due fotografie che fanno parte dell’installazione concepita da Office KGDVS per la biennale di architettura di Shenzhen nel 2014. Il modello in scala ridotta permette di comprendere come l’immagine del muro diventi essa stessa muro nella costruzione di uno spazio circolare capace di accogliere e raccogliere i visitatori.
La seconda opzione d’ingresso alla mostra conduce lo spettatore a confrontarsi direttamente con alcuni frammenti fotografici che riproducono gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti. Il particolare tipo di stampa su carta di riso favorisce l’effetto di replica della realtà trasportando lo spettatore nella contemplazione minuziosa del frammento dell’affresco. Il riferimento iconografico costituisce un elemento importante per comprendere come l’immagine del territorio corrisponda a una volontà politica, una metafora che introduce il visitatore alle immagini successive realizzate nelle miniere d’oro del Suriname. Il percorso si chiude con due immagini realizzate a Petra e che permettono di ricondurre il discorso sulla costruzione fotografica della monumentalità in cui la materia e la matericità del soggetto sono il centro dell’interesse visivo.
In conclusione i due percorsi si riuniscono nella proposizione di un interrogativo costante sul chi e come siano state create le tracce presenti sul paesaggio contemporaneo. Princen evoca quindi l’ambiguità della costruzione di un pilastro metaforico in cui il segno dell’uomo entra in sintonia con il costante processo di mutazione del territorio.
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