Copertina_Cover Aria d’Italia, 1940 (Edizioni Daria Guarnati)
Bozzetto di tessuto per la Manifattura Jsa
Ponti scrittore
Una scrittura “leggera e palpitante”, come le sue architetture. Così si potrebbe dire leggendo i testi pubblicati da Gio Ponti sulle pagine di Domus, di Stile e nei suoi libri.
Pubblicato in origine su Speciale Domus Gio Ponti / anno 2008
In mezzo secolo di attività, dal 1928, anno della fondazione di Domus, fino all’ultimo articolo apparso sulla rivista nel 1978, l’ar- chitetto milanese ha scritto una quantità impressionante di testi sulle sue opere e su quelle di altri, intro- duzioni, aforismi, commenti e note redazionali, oppure semplici e precise didascalie alle illustrazioni.
I motivi di questo insaziabile bisogno di esprimersi con la scrittura, andrebbero ricercati nel compito molto speciale di un architetto, operante in Italia tra gli anni Venti e gli anni Settanta, che parallelamente svolge il mestiere di direttore di una rivista mensile di architettura e arte. Rivedere gli scritti di Ponti, aggiungendo anche le numerosissime lettere, sotto una luce capace di individuare le sottili trame del
suo pensiero architettonico, potrebbe condurci a stabilire delle relazioni non banali con l’attività del progettista. È abbastanza evidente, ad esempio, anche solo scorrendo i commenti alla pubblicazione dei propri lavori, il fatto che l’architetto pratichi l’esercizio della scrittura per verificare e indirizzare l’andamento delle diverse fasi della progettazione. Come se i progetti fossero pazientemente disegnati dalle parole che li descrivono.
Pubblicando il primo modello di casa Arreaza, “la diamantina” di Caracas, sulle pagine di Domus (n. 304, 1955) Ponti dice: “È questo un quartiere di abitanti privilegiati, un hortus conclusus, che insinuando le abitazioni fra alberi e prati rispettati che creano un paesaggio, esprime un modo di vita che se è di una situazione privilegiata è anche una testimonianza di un vivere deliberatamente immerso nella natura, significando non un aspetto brutalmente e orgogliosamente edonistico di società e di esibizione mondana, ma la scelta di una vita naturale le cui giornate e la cui esistenza fisica siano ospitate nel verde
e nell’esercizio dello sport all’aperto”. E puntualmente, il richiamo alla “vita naturale” si concretizza nel risultato costruito, pubblicato tre anni dopo: una casa che “pare dall’alto una farfalla posata su un prato”. “Così la volevo”, conclude l’architetto.
Ma accanto all’aspetto specificamente professionale, che ovviamente merita ben altri approfondimenti, lo ‘stile’ della scrittura di Ponti compone l’esercizio critico secondo un modello molto personale e di grande efficacia comunicativa. Ponti non scrive di architettura come Roberto Longhi scrive di pittura e scultura, cioè non fa appello alla letteratura come se la “letteratura fosse una scienza”, per usare una bella espressione di Cesare Garboli. Ponti, invece, si serve della letteratura per stabilire un contatto più intimo e privato con il pubblico dei suoi lettori. Ponti scrive di architettura per far conoscere a tutti la bellezza dell’‘Architettura’, sempre con la A maiuscola, con pochi e semplici aggettivi in grado di cogliere la natura ‘originaria’ delle cose.
È per questo che le architetture da lui pubblicate, raccontate sempre in prima persona, quando sono ben ‘architettate’, sono ‘bellissime’, sono “invenzioni geniali e praticissime”, suscitano ‘entusiasmo’, producono ‘felicità’ e le loro ‘espressioni’ sono “giuste (vere)”. Perché, come si legge nel libro Amate l’ Architettura (1957), “i delitti della cattiva edilizia non appartengono all’Architettura”.
Così, gli scritti di Ponti sono tante pagine di un lungo diario autobiografico in cui la vita reale si fonde con quella dell’architetto che progetta e costruisce, con il critico che commenta le opere dei suoi amici e con le donne e gli uomini che vivono e vogliono ‘amare’ questi pensieri costruiti: “Il vero Architetto dovrebbe innamorarsi, per ogni casa che costruisce o arreda, degli abitatori (e delle abitatrici)”.