UNTITLED (PONTI IN STOCKHOLM)
silver bromide prints December 2007 © Tom Sandberg
Gio Ponti: una sola moltitudine
Pensare di poter raccontare interamente Gio Ponti sarebbe come voler spiegare al mondo l’Italia in un solo libro.
Pubblicato in origine su Speciale Domus Gio Ponti / anno 2008
Si finirebbe, come un personaggio di Borges, a disegnare una gigantesca mappa a scala reale del Paese e poi ancora tutto il planisfero terrestre, per le possibili estensioni globali di quello spirito mediterraneo così bene incarnato da Ponti. Descrivere, ad esempio, il ruolo da lui avuto nella cultura italiana del progetto significa riuscire a rappresentare come l’Italia stessa è stata consegnata alle generazioni successive da una nascente classe borghese per un breve tempo ‘illuminata’: che ha visto cioè nelle disgrazie e nelle fortune della storia la possibilità di un’evoluzione del Paese verso la modernità, per poi ritirarsi precipitosamente in uno stato di colpevole indolenza, al momento di assumersi la responsabilità di costruire un’autentica società moderna. Certo, molto più semplice rifugiarsi – e a questo sono ricorsi alcuni facili biografi del Maestro – nell’invenzione di una post-modernità che la società italiana avrebbe espresso in anticipo anche nell’opera di Ponti: come se questi non avesse invece sempre tentato, fino agli ultimi giorni di vita, di diffondere – anche attraverso questa rivista – la sua idea di progressione (non di progresso) nell’architettura, nell’arte, nell’industria, nella città e nel territorio.
Eppure, anche solo concentrarsi sul possibile Ponti moderno sarebbe una svista, un voler tradurre/tradire l’intraducibile, sconfinata materializzazione dei suoi pensieri. Perché voler ‘psicanalizzare’ Ponti significa perdersi in un labirinto di idee, intuizioni, mestieri, attitudini, aspirazioni. Si indaga sull’architetto e si trova il designer; si indaga sul designer e si trova il pittore; si indaga sul pittore e si trova lo scrittore; si indaga sullo scrittore e si trova il mistico; si indaga sul mistico e si ritrova l’architetto... Un circolo virtuoso e senza fine, dove è impossibile distinguere tra i ruoli, tra i cinque, sei, sette, nove, undici Gio Ponti che convivono nello stesso individuo: ma non come le diverse personalità, oscure e nemiche tra loro, dello schizofrenico in una famosa vignetta di Jules Feiffer. I molti Gio Ponti sono invece altrettante solari persone, ciascuna intenta al proprio lavoro ma pronta a scambiare idee, opinioni – ma soprattutto esperienze – con l’altra. È forse questo il segreto, una possibile spiegazione logica di un’indescrivibile, gigantesca varietà di progetti, edifici, oggetti, iniziative, scritti, mostre, collaborazioni, prodotti in quasi settant’anni di lavoro. Così anche i brevi saggi e le immagini che appaiono in queste pagine si riferiscono solo a una parte delle tante vite di Ponti, quella ancora presente e contemporanea come sua eredità concreta o intellettuale: un nostro piccolo tentativo di contribuire a quella borgesiana enciclopedia a scala reale che forse un giorno inizierà ad apparire nel cielo, o in qualche altra infinita estensione spaziale, con le sembianze di Ponti stesso.
A cura di:
Stefano Casciani, Francesca Picchi
Tom Sandberg
Questo gli permette di spingersi sempre più a fondo nella sua indagine, per mezzo della quale le qualità inerenti alla fotografia in bianco e nero sono esplorate nella fotoincisione classica e in stampe alla gelatina d’argento e palladio montate su lastre di alluminio, su vetro o su tela. Caratterizzata da una fine sintonia con le modulazioni di luce e materia, la fotografia di Tom Sandberg propone superfici complesse, che non si rivelano mai completamente. In bilico tra riluttanza e schiettezza, la grammatica del suo linguaggio visivo sfiora l’impercettibile, per quanto sullo sfondo aleggi costantemente una psicologia trasparente e una grande sensibilità per le zone d’ombra. Catturata in forma poetica, l’aura di immaterialità delle sue immagini richiama alla pura contemplazione. Eppure, come nell’esplorazione seriale del “viaggio in Svezia” di Gio Ponti, è possibile rintracciare una narrativa. La serie di Stoccolma ci parla di un artista che affronta il lavoro di un altro artista, tentando di penetrare e trasformare i molteplici livelli emotivi e intellettuali dell’architettura. Sandberg afferma che l’Istituto Italiano di Cultura ha “i piedi per terra”, una caratteristica che per lui qualifica solamente i migliori esempi di architettura. Nel grigiore dell’inverno svedese, praticamente privo delle possibilità offerte dalla luce del giorno, l’approccio fenomenologico del fotografo si configura nell’oltrepassare rispettosamente le proprietà tridimensionali dell’architettura stessa.
il suo metodo di lavoro agli elementi essenziali. Questo gli permette di spingersi sempre più a fondo nella sua indagine, per mezzo della quale le qualità inerenti alla fotografia in bianco e nero sono esplorate nella fotoincisione classica e in stampe alla gelatina d’argento e palladio montate su lastre di alluminio, su vetro o su tela. Caratterizzata da una fine sintonia con le modulazioni di luce e materia, la fotografia di Tom Sandberg propone superfici complesse, che non si rivelano mai completamente. In bilico tra riluttanza e schiettezza, la grammatica del suo linguaggio visivo sfiora l’impercettibile, per quanto sullo sfondo aleggi costantemente una psicologia trasparente e una grande sensibilità per le zone d’ombra. Catturata in forma poetica, l’aura di immaterialità delle sue immagini richiama alla pura contemplazione. Eppure, come nell’esplorazione seriale del “viaggio in Svezia” di Gio Ponti, è possibile rintracciare una narrativa. La serie di Stoccolma ci parla di un artista che affronta il lavoro di un altro artista, tentando di penetrare e trasformare i molteplici livelli emotivi e intellettuali dell’architettura. Sandberg afferma che l’Istituto Italiano di Cultura ha “i piedi per terra”, una caratteristica che per lui qualifica solamente i migliori esempi di architettura. Nel grigiore dell’inverno svedese, praticamente privo delle possibilità offerte dalla luce del giorno, l’approccio fenomenologico del fotografo si configura nell’oltrepassare rispettosamente le proprietà tridimensionali dell’architettura stessa.
L’attenzione è richiamata in particolare dall’immagine di una serie di mobili, non solo per gli scontri di grigi scintillanti, ma per l’invasione di un lembo di tenda in perfetta armonia con l’incongruenza del lavoro. C’è qualcosa, nelle linee discontinue dell’istituto e nella riluttanza delle immagini, che completa e insieme intralcia entrambi gli elementi. Articolato e rado, è un dialogo frammentato, più che sequenziale, tra la chimica argentea delle immagini in bianco e nero e i tessuti in cemento che irradiano dalla costruzione. E passeggiando nei bucolici dintorni compare uno scorcio della presenza umana, per la quale solamente esistono il linguaggio dell’arte e quello dell’architettura. Non è solo il respiro letterario della serie fotografica a richiamare un passaggio della Montagna Incantata di Thomas Mann vista dal sanatorio sulle Alpi svizzere: “Il tempo non ha divisioni che ne marchino il passaggio, non c’è mai tempesta o squillo di trombe che annuncino l’inizio di un nuovo mese o anno. Anche quando un altro secolo arriva, siamo solo noi mortali ad accoglierlo con suono di campane e spari”.
Il tranquillo dispiegarsi di questo incontro tra fotografia e architettura sa affondare le mani nell’impronunciabile natura del tempo.
Torunn Liven
Storica e critica d’arte, ha studiato all’University of Oslo and alla Humboldt University di Berlino.
Domus ringrazia Raffaele Pentangelo, Umberto Ghidoni, Laura Orsi.
Chi è Tom Sandberg
Nato nel 1953 a Narvik, Norvegia, Sandberg abita e lavora a Oslo. Da circa trent’anni, si esprime attraverso immagini fotografiche di grande formato, rese esclusivamente in bianco e nero. Il suo lavoro è stato esposto in numerosi musei: il P.S.1 MoMA, New York; il Museu Calouste Gulbenkian, Lisbona; il Walker Art Center, Minneapolis; l’International Center of Photography, New York; il Moderna Museet, Stoccolma; il Centre Georges Pompidou, Parigi; il Museum of Contemporary Art, Chicago. Le sue fotografie sono presenti nelle collezioni del National Museum of Contemporary Art, Oslo; il Museum für Kunst und Gewerbe, Amburgo; il Moderna Museet, Stoccolma. È autore, con Stefano Casciani, del libro Design in Italia: dietro le quinte dell’industria, 2008.