A due anni di distanza l'edificio (stravolto nella sua concezione originaria) naviga, a fatica, verso l'inaugurazione del 7 di maggio (in realtà una pre-inaugurazione prima che l'edificio venga consegnato definitivamente al pubblico e alla città).
Questa storia simbolo della gestione della ricostruzione, però, è oggetto della prima puntata dell'opera di graphic journalism di Vincent Filosa pubblicata nel numero 947 di Domus (maggio 2011), oltre che della seconda parte di questa intervista.
La vicenda de L'Aquila riporta inevitabilmente al Giappone ferito dal terremoto e dallo tsunami del 11 di marzo scorso e ci spinge a indagare come viene gestita l'emergenza in situazioni simili in altri Paesi.
La presenza di Shigeru Ban, a Milano (artefice di un'elegantissima struttura in tubi di cartone per Hermès in occasione dell'ultimo Salone del Mobile) è stato quindi l'occasione per rivolgergli alcune domande sull'attività della rete di architetti volontari (VAN - Voluntary Architects Network) da lui fondata dopo l'emergenza seguita al terremoto di Kobe nel 1995.
Siamo abituati a intervenire in situazioni d'emergenza ma quello del 11 marzo è il disastro peggiore che abbia mai visto. Perché al terremoto si è aggiunta la devastazione dello tsunami e la crisi nucleare.
L'area devastata è immensa: arriva oltre i 500 chilometri dalla costa. Oltre 12.000 persone sono state uccise, e ancora 18.000 risultano disperse. Lo Tsunami ha portato via ogni cosa incontrata sul suo cammino: rendendo ancora più difficoltoso portare aiuto alla popolazione, e organizzare i soccorsi. Ogni cosa è estremamente complessa, soprattutto la rimozione delle macerie e il ritrovamento dei corpi delle persone care. C'è molto ritrosia, per esempio, a impiegare le ruspe.
Sul posto sono stati attrezzati dei centri di evacuazione per accogliere i profughi nelle palestre delle scuole o in ogni altra struttura disponibile a dare riparo a persone che hanno perso tutto. È veramente la peggiore situazione che abbia mai visto, anche rispetto a disastri dove il numero delle persone toccate dal disastro è stato molto maggiore, ma dove la devastazione era dovuta essenzialmente al terremoto. Nel caso del Giappone la situazione è molto più complessa…
Ci siamo impegnati a dotare di questo semplice sistema di partizioni interne i rifugiati che hanno trovato ricovero nelle palestre delle regione di Tohoku. Il nostro intento è quello di portare conforto a queste persone in modo che non abbiano a soffrire per mancanza di privacy in una condizione di sovraffollamento.
Nel 1995, mi sono trovato a lavorare a Kobe. All'epoca mi sono occupato di costruire delle case temporanee per i rifugiati vietnamiti. Per loro ho realizzato anche un piccolo edificio pubblico: una chiesa.
In quell'occasione ho capito che il problema principale nella prima fase di emergenza nei luoghi di evacuazione è l'alta densità dei rifugiati. I centri di evacuazione sono normalmente grandi aule riparate da un unico grande tetto dove le famiglie si trovano a condividere lo spazio con sconosciuti. La privacy è una questione fondamentale in persone che non sono abituate a coltivare relazioni troppo strette tra vicini nella vita quotidiana e che hanno subito una shock che li rende ancora più vulnerabili.
Con l'esperienza però mi è sempre stato più chiaro quello che era veramente necessario in condizione di emergenza.
A Fukuoka, nel 2005, ho realizzato per la prima volta una sistema di partizione molto semplice e a basso costo. Fukuoka è stata colpita dieci anni dopo il terremoto di Kobe, e per la prima volta dopo tanto tempo un terremoto colpiva il Giappone con un'intensità superiore a 6 gradi di magnitudine della scala Richter. Abbiamo creato dei semplici sistemi di partizione in cartone per delimitare il territorio tra le famiglie che servissero anche da sistema di isolamento: di notte erano usate per ricavare un po' di privacy.
Il sistema era molto semplice e economico, ma non era sufficiente a fornire privacy alle famiglie.
Ad Haiti non esistevano strutture di grandi dimensioni rimaste in piedi, quindi si trattava di fornire dei rifugi temporanei autosufficienti. Questo sistema, invece, è progettato proprio per la situazione che si è venuta a creare in Giappone, nei centri di evacuazione. È stata adottata in molti centri nell'area colpita dal terremoto e dallo tsunami del 11 marzo.
Come avete organizzato la produzione?
Ogni cosa è realizzata dagli studenti.
E comunque produttori di carta si trovano ovunque. È molto facile reperire i produttori. Abbiamo una fitta rete di fornitori in tutto il Giappone, è sufficiente che si limitino a tagliare su misura e realizzare i fori.
Loro spediscono il materiale, noi inviamo il nostro team leader che coordina gli studenti locali per realizzare il montaggio.
Ormai non insegno più in Giappone, ma non appena organizzo un progetto, i miei vecchi studenti si riuniscono e insieme al mio studio si attivano per intervenire rapidamente. Insieme siamo intervenuti in Cina, a Haiti… in questo tipo di situazioni di prima emergenza.
Siamo una squadra affiatata ma nello stesso tempo abiamo bisogno della collaborazione degli studenti locali.
Funziona così: la nostra sede è a Tokyo, ma il nostro team leader si muove rapidamente per mettersi in contatto con le scuole locali vicine alle aree colpite dal disastro e coinvolgere gli studenti. Ci tengo a sottolineare infatti che gli studenti sono infatti il cuore e il motore della ricostruzione oltre che la speranza del futuro.
van@shigerubanarchitects.com.
The Bank of Tokyo-Mitsubishi UFJ, Ltd.
Higashi Matsubara Branch
Voluntary Architects Network
3636723 (Futsuu)
BOTKJPJT
5-2-18 Matsubara, Setagaya, Tokyo, Japan