1990.
Southwark era l’immediata periferia-industriale-dismessa
ad est di Londra. Il fiume era “dietro” la citta’; non si
camminava lungo il Tamigi; non c’era alcun motivo di
andare ad Elephant & Castle; nulla incuriosiva a
Bermondsey, quartiere dei bricklayers e degli operai della
Hartley Jam Factory. Molti dei romanzi di Dickens sulle
misere condizioni della classe operaia, sono ambientati tra
le strade di Southwark.
2010.
Southwark è il quartiere della Tate Modern di Herzog &
De Meuron e del Millennium Bridge di Arup & Foster, del
Bourough Market, del More London di Foster & Partners,
del Riverside Walkaway, la passeggiata lungofiume verso il
Tower Bridge fino alle Shades Thames e al Design Museum
di Joseph Conran. È il quartiere della London Bridge
Station, uno dei 5 maggiori nodi infrastrutturali della città,
in cui sorgerà la London Bridge Tower, grattacielo-
piramide di Renzo Piano. È il quartiere di Bermondsey
street, una delle strade più minimal-fashion del momento;
giù a Peckam ora, c’è la Biblioteca colorata di Alsop &
Stormer, un polo culturale di forte attrazione in cui fare
una sosta a leggere qualcosa in poltrona anche al ritorno
dalla spesa, magari togliendo le scarpe per riposare
meglio.
SOUTHWARK è il quartiere in cui si intrecciano i viadotti
ferroviari di ingresso a Londra da sud-est, viadotti che
tagliano lo spazio urbano e ne costituiscono una barriera
fisica e visiva, oltre che psicologica. Barriera anche
sociale, allo stesso modo in cui il fiume fino a pochi anni
fa, è stato ostacolo fisico alla rigenerazione/integrazione
delle aree a sud della città. I tunnel-sottopasso qui sono
ben frequenti e alcuni raggiungono lunghezze anche
superiori ai cento metri.
BANKSIDE è il pezzo che di Southwark appartiene alla
London South Central, la Zona 1 della città.
Immediatamente a ridosso della London Promenade lungo
il Tamigi, è il luogo in cui la sovrapposizione di strade e
viadotti è più fitta che altrove; STRADA-CON-VIADOTTO è
il binomio costante cui si attaccano a calamita le funzioni
più disparate.
I TUNNEL: 97 tunnel, indisturbati e neri come trafori,
hanno egregiamente assolto fin qui la funzione di collegare
quanto i tagli delle ferrovie nel tempo, andavano
separando. Architettonici al punto giusto nelle tessiture di
mattoncini a vista, mai, quei i tunnel, avrebbero
immaginato di dover ospitare “clienti” diversi dai
camionisti che trasportavano merci da un capo all’altro,
sbuffandogli dentro residui grigio diesel. Il cambiamento
ha portato gente nuova, non più solo ‘workers’ ma anche
nuovi ‘residents’ e ‘visitors’, nella maggior parte
rigorosamente ‘pedestrians’. Tutti, turisti e non, hanno
risposto al richiamo della trasformazione, curiosi di
scoprirne le novità, conoscere i nuovi spazi dell’ozio, la
‘grana larga’ del nuovo quartiere, le ampie viste sul fiume.
Nei tunnel neri, insieme a macchine e camion ha
cominciato a transitare anche gente a piedi.
LA TATE MODERN detta il nuovo codice dell’area: l’arte
come forma di comunicazione urbana. Il quartiere diventa
meta di creativi e si attrezza per accoglierli al meglio:
molte le gallerie d’arte, i laboratori di design (tra la Oxo
Tower e Crucifix Lane), le residenze di artisti (Delfina e
Jam Factory, la vecchia Hartley).
E I TUNNEL lì, ad inghiottire il cambiamento, nel grigio
diesel dei mattoncini orditi a faccia vista, nel rumore
‘grow’ dei motori che li attraversano. La vita fuori è
frizzante, la vita notturna sempre più frequentata, i tunnel
separano col buio lo spazio che fuori, di notte, si accende.
Nel 2002 la Cross River Partnership decide che è il
momento di ‘accendere’ UNA LUCE (ALLA FINE) DEL
TUNNEL e avvia il progetto denominato Light at the End of
Tunnel (LET). Da una necessità pratica, un programma che
interpreta le nuove esigenze con un linguaggio che arriva a
tutti, una sorta di "arte della pubblica illuminazione" con
l’installazione di illuminazioni artistiche e opere d’arte
lungo i sottopassi ferroviari per creare nuove "esperienze
sensorial-pedonali".
L’iniziativa della CRP viene poi coordinata con il «Lighting
Masterplan», elaborato su iniziativa della Pool of London
(Partnership): nasce così la Bankside lighting strategy
(progetto della Equation Lighting Design Ltd) che analizza
accuratamente attraverso numerose mappe tematiche, le
fonti luminose esistenti, gli usi prevalenti dell’area e
l’intensita’ d’uso nelle varie ore del giorno e della notte
(considerando che in inverno dalle 16.00 in poi è buio), le
diverse categorie dei percorsi, i luoghi in cui si verificano
più crimini, i monumenti più importanti, i luoghi che
necessitano di essere maggiormente e\o diversamente
illuminati.
Il buio grow dei tunnel viene convertito in luce “acid light”
che incuriosisce, accoglie, orienta e direziona. LA LUCE è
l’elemento centrale degli interventi, usata in un codice
programmato di colori, forma, ritmo (per geometria e
intensità) e funzioni (ambiente/atmosfera, punti strategici,
percorsi e ingressi).
Ma come si è accesa quella luce nel tunnel? Ci sarà pure
un interruttore da qualche parte!
Abituati come siamo ad accettare progetti (e relative
realizzazioni) auto-referenziati, sganciati da qualsivoglia
forma di programmata pianificazione e gestione
urbanistica delle nostre città, completamente appagati dal
fatto stesso che la rara opera (pubblica o privata che sia)
giunga a realizzazione, riteniamo quasi disdicevole porre
alla riflessione l’interrogativo del COME. Modalità quali “in
deroga” o “in variante” o addirittura “in emergenza” sono
più che sufficienti a spiegarci l’accaduto (perché quando
accade è già un successo, meglio non indagare oltre).
Ebbene, la vicenda dei tunnel, la banale vicenda di un neon
che si accende in una sporca galleria di Londra, basta a
ricordarci che ALTROVE NON È COSI’.
No, i signori della Cross River & Partners e lorsignori della
Pool of London (di seguito developers) non si sono svegliati
un giorno di buon mattino per decidere di investire in città
un po’ di sterline improvvisandosi elettricisti, proprio no.
Qualcuno prima di loro, ovvero il London Borough of
Soutwark (LBS), meglio identificabile come l’ufficio tecnico
dell’apposita circoscrizione comunale, redige - nel 1974
prima e nel 1981 poi - due piani di rilevanza strategica per
le trasformazioni che si sono verificate nell’area nei
successivi trent’anni.
È davvero così difficile immaginare che a queste –
strategiche - regole potessero appartenere anche –
insignificanti - lampadine a basso consumo da sistemare
nei tunnel? Sì è difficile, una battuta di quelle che non
fanno ridere.
E invece il North Southwark District Plan, già nel 1981
(quando i tunnel erano bui e grigio-diesel per intenderci)
censisce le barriere urbane dei viadotti e i relativi nodi
deboli delle relazioni viarie in tunnel, e li segnala come
oggetto di studi e piani particolareggiati da redigere per il
futuro. Nello sfacelo totale della dismissione, nel carosello
delle valutazioni comparate di progetti economicamente
succulenti che attraevano capitali e investitori come api al
miele, nel 1981, ci si preoccupa di dare un ruolo urbano
(anche) a viadotti e tunnel.
È con questi stessi piani che si decide per la prima volta
che in quei tunnel bisognerà – assolutamente – accendere
una luce.
Nel 2001 La Tate Modern commissiona a Richard Rogers il
Bankside Urban Study. Quali gli obiettivi/intervento
suggeriti - tra gli altri - dallo studio di fattibilità di Rogers?
Proprio loro: I TUNNEL!
Ritorna l’equazione “viadotto ferroviario = barriera da
superare, spazio da rivitalizzare”; torna – meglio definito -
l’obiettivo “attraversamenti più sicuri e piacevoli” con
illuminazioni speciali e opere di arte pubblica, idea che
confluirà – magicamente - proprio nell’iniziativa LET della
Cross River & Partners (quelli che si svegliarono un giorno
di buon mattino, ma non per fare gli elettricisti).
L'INTERRUTTORE? Un telecomando ad orologeria a cui il
timer è stato programmato circa trenta anni fa. Un
interruttore che si chiama pianificazione urbanistica -
organica e continua nel tempo- praticata da persone che
pianificavano con la gente e per la gente il modo migliore
per accendere la luce al momento giusto, quando tutto (o
quasi) intorno fosse pronto per… attraversare il tunnel.
Il primo tunnel è stato inaugurato tre anni fa, il tunnel di
Bermondsey, il mese scorso.
(Photo and youtube-video in webside box, made by myself & my bike).
Emilia Antonia De Vivo
Cristina Falvella
(architetto, dottoranda in Urbanistica alla Federico II di
Napoli, specializzata alla Roma Tre e alla University of
Waterloo, Canada. Svolge attività di
ricerca sul ruolo degli spazi pubblici nella riqualificazione
delle aree dismesse).
Lighting Strategy in London: la luce in fondo al tunnel
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- Emilia Antonia De Vivo
- 14 December 2009