Stefano Boeri s’interroga sui dispositivi che configurano lo spazio urbano, addentrandosi nelle trame di tre pubblicazioni che costituiscono, ancora oggi, il fondamento della nostra cultura architettonica: Il significato delle città di Carlo Aymonino, Il territorio dell’architettura di Vittorio Gregotti e L’architettura della città di Aldo Rossi.
E, se nel saggio Architettura e narratività, Paul Ricœr svela come l’architettura sia per lo spazio ciò che la letteratura è per il tempo, vale a dire un’operazione “configurante”, così Boeri cerca nel linguaggio dei testi il configurarsi di tempo e di spazio, di narrazione e costruzione, in un’epoca dell’architettura che ha scoperto nuovi modelli epici per leggere e raccontare la città, utili a costruirne nuove parti che resistessero al progressivo indebolimento della poetica architettonica.
Per decifrare la tensione che corre tra la narrazione individuale ed il costituirsi di un’idea generale di città, l’autore utilizza strumenti che appartengono sia all’architettura che alla filosofia. In questo senso, il talento di Boeri emerge nell’invenzione di due categorie molto efficaci e che potrebbero entrare a far parte della retorica accademica, così come, a suo tempo, accadde con termini quali “fatto urbano” o “morfologia urbana”: la città interna, ovvero “quell’intricato mondo di concetti e immagini che precede la verbalizzazione di un’idea di città” e la città consensuale che non si concretizza, però, in un generico immaginario collettivo, ma è il manifestarsi della città “come discorso comune e codificato della tradizione disciplinare”.