La città scritta

Esplorando il tema della città e soffermandosi sulle personalità di 5 maestri dell’architettura italiana del Novecento come Aymonino, Secchi, Rossi, Gregotti e De Carlo, Stefano Boeri formula la propria sofisticata prospettiva sulla complessità della questione urbana. #fridayreads

Stefano Boeri, La città scritta. Carlo Aymonino Vittorio Gregotti Aldo Rossi Bernardo Secchi Giancarlo De Carlo, Quodlibet, Macerata 2016
Stefano Boeri, La città scritta. Carlo Aymonino Vittorio Gregotti Aldo Rossi Bernardo Secchi Giancarlo De Carlo, Quodlibet, Macerata 2016.

 

Stefano Boeri s’interroga sui dispositivi che configurano lo spazio urbano, addentrandosi nelle trame di tre pubblicazioni che costituiscono, ancora oggi, il fondamento della nostra cultura architettonica: Il significato delle città di Carlo Aymonino, Il territorio dell’architettura di Vittorio Gregotti e L’architettura della città di Aldo Rossi.

Nata 30 anni fa come tesi di dottorato in Pianificazione territoriale allo IUAV di Venezia, La città scritta non è soltanto il “racconto urbanistico”, annunciato nelle prime pagine, di quel luogo complesso e incompiuto al centro della ricerca poetica dei tre maestri dell’architettura italiana del Novecento, ma anche un’operazione letteraria che investiga il linguaggio dei testi esaminati, esplorandone la struttura e la forma narrativa – anche se i tre autori non sono letterati – per dedurne una logica dell’architettura e dell’urbanistica. Infatti, Boeri dichiara di ricorrere all’analisi del testo che Bernardo Secchi, suo maestro, “aveva già magistralmente usato per illustrare la dimensione narrativa della pianificazione urbanistica”.

 

E, se nel saggio Architettura e narratività, Paul Ricœr svela come l’architettura sia per lo spazio ciò che la letteratura è per il tempo, vale a dire un’operazione “configurante”, così Boeri cerca nel linguaggio dei testi il configurarsi di tempo e di spazio, di narrazione e costruzione, in un’epoca dell’architettura che ha scoperto nuovi modelli epici per leggere e raccontare la città, utili a costruirne nuove parti che resistessero al progressivo indebolimento della poetica architettonica.

Per decifrare la tensione che corre tra la narrazione individuale ed il costituirsi di un’idea generale di città, l’autore utilizza strumenti che appartengono sia all’architettura che alla filosofia. In questo senso, il talento di Boeri emerge nell’invenzione di due categorie molto efficaci e che potrebbero entrare a far parte della retorica accademica, così come, a suo tempo, accadde con termini quali “fatto urbano” o “morfologia urbana”: la città interna, ovvero “quell’intricato mondo di concetti e immagini che precede la verbalizzazione di un’idea di città” e la città consensuale che non si concretizza, però, in un generico immaginario collettivo, ma è il manifestarsi della città “come discorso comune e codificato della tradizione disciplinare”.

Fig.9 Stefano Boeri, La città scritta. Carlo Aymonino Vittorio Gregotti Aldo Rossi Bernardo Secchi Giancarlo De Carlo, Quodlibet, Macerata 2016
Fig.9 Stefano Boeri, La città scritta. Carlo Aymonino Vittorio Gregotti Aldo Rossi Bernardo Secchi Giancarlo De Carlo, Quodlibet, Macerata 2016
Tale tensione genera una continua riformulazione della città, un ripensamento dei luoghi e della storia che dallo sguardo individuale diventa discorso collettivo, depositandosi negli scritti, nei disegni e nelle costruzioni. E può accadere che nel costituirsi di questo sistema di forze in cerca di un equilibrio, quali sono il pensiero dell’architettura da una parte e il suo attuarsi dall’altra, la città lanci inaspettate grida d’opposizione, a far da eco al trauma dell’opera costruita. È il grido dell’attesa di una riconnessione tra il complesso Monte Amiata nel quartiere Gallaratese di Aymonino e la città di Milano. È il grido interrotto della nuova sede dell’Università degli Studi della Calabria, mai completata così come era stata pensata. Ed è, infine, il grido della rovina che avvolge il cimitero di Modena di Rossi. Ognuna di queste opere è, dunque, l’emanazione nel mondo visibile delle città interne dei rispettivi autori, ovvero l’attualizzazione di quel vocabolario di forme e di princìpi ordinatori che si sono stratificati nel tempo della ricerca e nella costituzione di una propria materia progettuale, che diventerà poi parte di un repertorio collettivo.
Nella scrittura di un libro che ha per protagoniste narrazioni di altri, Boeri riesce a trasformare l’analisi comparata dei testi e la loro interpretazione in una forma d’indagine disciplinare inedita, che permette ai lettori di acquisire un ulteriore grado di comprensione de Il significato delle città, de Il territorio dell’architettura e de L’architettura della città, realizzando quel viaggio che egli stesso riconosce come il dispositivo narrativo che accomuna i tre scritti.
Inoltre, esplorando il tema della città, sia essa narrata o costruita, visibile o sullo sfondo, o soffermandosi sulle personalità di Bernardo Secchi e di Giancarlo De Carlo, come accade nella seconda parte del volume, Boeri formula la propria sofisticata prospettiva sulla complessità della questione urbana e ricompone le parti di una sua città interna, nella quale si addensano le diverse eredità culturali, le immagini e le percezioni che percorrono tutte le pagine del libro.
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