In un momento storico in cui domina il tema dei rifugiati, alla Biennale di Architettura di Venezia un’intero popolo in esilio, è rappresentato con un “padiglione nazionale”.
Con un padiglione dedicato, la Biennale di Architettura di Venezia ospita un’intera nazione in esilio: il progetto utilizza il concetto controverso del “padiglione nazionale” come strumento per portare il Sahara Occidentale e i Saharawi sullo stesso piano delle altre nazioni rappresentate, avviando un dibattito per stimolare nuove idee.
In un momento storico in cui il tema dei rifugiati domina su tutti i media, – e davanti al quale il mondo occidentale si trova tristemente diviso – è cruciale proporre punti di vista alternativi che riflettano sulle nuove prospettive dei rifugiati come individui indipendenti che si autodeterminano, anche attraverso l’architettura e l’urbanistica.
Il Sahara Occidentale è un Paese situato al margine occidentale del continente africano. Un tempo territorio coloniale spagnolo, occupato dal Marocco dal 1975, è considerata l’ultima colonia rimasta al mondo. Con l’inizio della guerriglia contro il Marocco, la maggior parte della popolazione del Sahara Occidentale dovette fuggire oltre confine, in Algeria, dove si stabilì nei campi profughi, dove oggi vivono circa 160.000 Saharawi. Anche se non hanno il controllo sul proprio Paese, i Sahrawi hanno proclamato l’indipendenza del Sahara Occidentale il 27 febbraio 1976. La sua sovranità è oggi riconosciuta da circa 40 paesi, nonostante l’ambiguità del suo status.
Avendo vissuto per 40 anni nei campi profughi della zona di confine del sud-ovest dell’Algeria, la popolazione Saharawi ha sviluppato una serie di linguaggi urbanistici e architettonici e metodologie di progettazione che hanno a che fare con la condizione di transitorietà e liminalità. Gli edifici affrontano temi come la permanenza e la temporalità, la modestia e la decorazione, la tradizione e la modernità: termini che non vengono percepiti come opposti, ma che coesistono naturalmente.
Per non vedere i campi saharawi solo come luoghi d’eccezione, o come stati d’emergenza spazializzati, si è voluto riconoscerne le attività urbane quotidiane, dimostrando come possano trasformarsi in luoghi di scambio sociale, culturale, economico e politico, delineando una vera e propria qualità urbana in cui viene accettata la ‘normalità’ in una condizione anomala.
Il Padiglione ha visto la partecipazione di Manuel Herz con la National Union of Sahrawi Women, i collaboratori Fatma Mehdi Hassan, Warda Abdelfatah Mohamed, Chej Mohamed Chadad, François de Font-Réaulx, Penny Alevizou e la partnership curatoriale di Nina Zimmer.
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Padiglione del Sahara Occidentale, Biennale di Architettura di Venezia 2016. Foto Iwan Baan
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Padiglione del Sahara Occidentale, Biennale di Architettura di Venezia 2016. Foto Iwan Baan