Da qui è nata l’idea di presentare i padiglioni con un grande scaffale, quello dell'architetto, in cui trovano posto i diversi materiali: una ‘dispensa’ di architettura. Riflettendo su questo tema mi sono tuttavia reso conto che questa equazione non è così semplice: se i prodotti della terra e delle diverse cucine, benché globalizzati, riescono a mantenere la loro identità (se cuciniamo un piatto spagnolo con pomodori di Pachino, il risultato è comunque un piatto spagnolo), in architettura i materiali non riescono a fare altrettanto.
Nell’allestimento ritroviamo lo scaffale – un grande portico aperto – dove i padiglioni, per loro natura estroversi, vengono chiusi all’interno di celle, introvertiti e tradotti in disegni e campioni di materiali. La struttura del sistema espositivo può essere intesa anche come traslitterazione della rigidità, della semplicità e dell’ortogonalità dell’organizzazione planimetrica del sito di Expo in una mostra che doveva anche diventare un grande foro in cui ospitare incontri e conferenze.
La mia idea è quella di un allestimento che non vuole essere protagonista ma solo uno strumento per accatastare, come faccio nel mio studio con le ceste in cui raccolgo i materiali di progetto. Un aspetto interessante di questa mostra è che ha presentato qualcosa che non si vedrà a progetti ultimati: molti padiglioni sono presentati con i loro prospetti laterali che nella realtà, data la disposizione planimetrica serrata del masterplan, non si riusciranno a leggere per cui il valore delle opere sarà soprattutto nel fronte.