Con questo video, Ramak Fazel ci guida alla scoperta dell'universo domestico di Anne Tyng.
Srdjan Jovanovic Weiss: Nella sua dissertazione e nei suoi articoli, lei collega i cicli organici della Natura ad alcuni esempi specifici della storia dell'architettura. Ha mai lavorato a un progetto basato su questo collegamento?
Anne Griswold Tyng Nel mio progetto Urban Hierarchy, ci sono case dalla pianta quadrata o rettangolare collegate da una strada che forma praticamente un'ellisse, con un accesso circolare. Le case sorgono una sopra l'altra e si susseguono lungo questa strada di collegamento elicoidale; ogni area ha una via di accesso circolare alla strada principale... L'intero progetto è pensato in modo da avere questa sequenza ciclica al suo interno: si formano simmetrie con sequenze di cerchi, ellissi, spirali. La scala più grande svela e crea simmetrie per l'abitazione umana.
La vede come una megastruttura?
Diciamo che è una struttura gerarchica con tutta una gamma di scale. In altre parole, i bambini possono giocare sul ponte che collega le strade circolari e che può quindi diventare un luogo sicuro e una sorta di spazio aperto fra le case. Così ci possono essere spazi che si sviluppano su scala molto più intima, e che entrano in relazione con la scala complessiva della struttura. I modellini della mostra alla ICA di Filadelfia, e ora alla Graham Foundation, fanno vedere che vi è un'intera città all'intersezione della strada maestra.
Lei è critica con gli architetti che si basano esclusivamente sulle sezioni auree. Ha persino dichiarato che è sbagliato cominciare solo dalle proporzioni ideali, che è meglio arrivarci in corso d'opera. In che modo questo concetto emerge nel suo lavoro di urbanistica?
Attraverso le forme, nel loro modo di operare praticamente a qualsiasi livello. Parti da qualcosa che ha la stessa scala in cui ti trovi, vivi o con cui hai a che fare, e poi vai nel mondo e trovi diverse scale. Hai il tuo isolato, la tua cittadina, il tuo Paese, la tua metropoli, e così via. Credo che siamo così abituati ad avere a che fare con questa gerarchia di scale che non ci pensiamo nemmeno più in questi termini.
La Torre, di fatto, l'ho realizzata io. Robert Venturi era arrivato in studio da poco e gli è stato chiesto di lavorare soprattutto alla base della torre. Anche Lou con la torre c'entra poco, anche lui si è occupato della base. Lui non ne capiva bene la geometria.
Avete avuto discussioni in proposito?
Certo. Ma si trattava di un progetto a cui lavoravo nei ritagli di tempo, non chiesi alcun compenso. Lo facevo in studio, quando mi restava del tempo. Era solo un progetto che stavo seguendo per conto mio, proprio come quello per la scuola elementare. Anche la Torre stava diventando così, ogni livello era fatto in modo da collegarsi a quello successivo andando a formare una struttura continua. Non si trattava solo di un pezzo e di aggiungercene un altro sopra: i supporti verticali sono parte di quelli orizzontali così la struttura è quasi cava. Ma poi, naturalmente, bisogna ricavarne più spazio abitabile possibile. I supporti triangolari erano molto distanti gli uni dagli altri e tutto era triangolare, o meglio tetraedrico. Era tutto tridimensionale. In pianta hai un uso efficiente dello spazio, in termini di funzionalità della struttura. E poi c'è l'idea che l'edificio sembra girarsi per seguire il flusso strutturale della sua stessa geometria. Questo era l'aspetto interessante del progetto, li faceva sembrare quasi vivi. Era molto intrigante.
Sembrava quasi danzassero o ruotassero, anche se in realtà erano molto stabili. Il fatto è che i triangoli erano tetragoni tridimensionali e su scala ridotta, devono quindi mettersi insieme per formarne di sempre più grandi per poterli vedere in quel modo. Il progetto può essere letto come una struttura continua con un'espressione gerarchica della geometria. Non è solo una grande massa, ti dà il senso delle colonne, dei pavimenti e di altri elementi.
Chi l'ha messa in contatto con Buckminster Fuller?
Lui era nella West Coast. Aveva dei parenti laggiù. È venuto a Filadelfia e avevamo entrambi scritto per la rivista Zodiac diretta da Maria Bottero. In quel numero io avevo descritto la scoperta di come dividere gli spigoli di un ottaedro nella proporzione divina e ricavarne un icosaedro. È stato divertente.
C'è stato un momento in cui eravate tutti e tre insieme: Fuller, La Ricolais e lei? Avete mai discusso?
Sarebbe stato interessante, ma non lo abbiamo fatto. Anzi, c'era sempre un senso di auto-protezione e di gelosia. Eravamo tutti preoccupati che l'altro ci rubasse le nostre idee e le sviluppasse. Capita che le persone si rubino le idee. Ho avuto una specie di discussione con Le Ricolais una volta, per una questione che riguardava la geometria. Io avevo un punto di vista diverso, lui era molto critico. Si era soffermato su parte del mio materiale di lavoro. Ero un po' stufa di certi atteggiamenti, primo fra tutti la discriminazione uomini-donne... parlo di secoli fa. Gli uomini spesso pensavano di possedere le donne in modo totale...
Come una proprietà immaginaria?
A volte certi uomini lo fanno senza nemmeno accorgersene.
Adesso siamo nel Ventunesimo secolo!
Quell'atteggiamento esiste ancora.
Non credo che potrei usare il computer nel mio lavoro. Non mi ispira affatto. È come se si perdesse qualcosa
Credo che in questo momento ci troviamo alla fine del ciclo in cui dominavano i principi femminili e ora c'è il caos. Il caos precede sempre una nuova rinascita. Si torna alla semplicità, lontano dalla complessità. Parlo in termini di principi, niente a che vedere con le singole persone. Naturalmente il principio maschile è estroverso, mentre quello femminile è introverso. Poi ci sono i gradi di connessione dell'inconscio, sia che si tratti dell'inconscio individuale o di quello collettivo, connessione che agisce a un livello molto più profondo. I cicli comprendono tutte queste fasi.
Quando parla di caos, intende pluralità o molteplicità? Oggi viviamo in una città caotica?
In un certo senso sì. È una città che non è stata costruita secondo le regole del passato, e forse neppure quelle del futuro. Credo che quello che sta accadendo sia positivo. In una situazione caotica si creano delle associazioni che in una normale non sarebbero possibili. E questo è anche l'aspetto difficile, perché queste associazioni devono mettersi insieme e non distruggersi. Dalle cose negative, che succedono, ci arriva una specie di sintesi per cercare di andare avanti. Diventa una sintesi positiva, che favorisce il sorgere di nuovi atteggiamenti, nuovi sviluppi. Per me, il ciclo junghiano è molto interessante perché abbiamo potuto verificare di persona le sue teorie nel corso della storia. È interessante la trasposizione della vita in un ambito più collettivo e il conseguente allontanamento dalla sfera strettamente individuale... Ovviamente nella psicologia di Jung c'è anche un ciclo individuale la cui comprensione è legata alla Storia, mentre non penso che Jung abbia sentito questo legame. Io stavo cercando di crearlo, invece, secondo modalità che consentivano una sperimentazione diversa: stavo cercando di mettere in atto una visione collettiva, che aiuta a capire cosa succede nel mondo, con tutti i suoi caos, e fornisce gli strumenti per ricavare una nuova sintesi. La scoperta o la proposta di Jung è meravigliosa; ci puoi lavorare sopra e ricavarci molti spunti interessanti per costruire la tua filosofia.
Difficile dirlo. Se fossi più giovane, credo lo farei. Ma per me è quasi una limitazione perché devi sempre calcolare quel che stai facendo. Quando disegni, lo senti. Tracciare una linea è un po' come progettare.Non credo che potrei usare il computer nel mio lavoro. Non mi ispira affatto. È come se si perdesse qualcosa quando lo si usa.
E cosa mi dice dell'uso dei numeri?
I numeri diventano più interessanti quando pensi in termini di forme e proporzioni. Sono davvero entusiasta della mia scoperta di un 'cubo a due volumi', che ha una faccia che è proporzione divina, mentre gli spigoli sono la radice quadrata in proporzione divina e il volume è 2,05. Dato che 0,05 è un valore molto piccolo, non c'è da preoccuparsene perché in architettura le tolleranze ci sono sempre. Comunque sia, il 'cubo a due volumi' è molto più interessante di un cubo 'uno per uno per uno', perché ti collega ai numeri, alla probabilità e a tutte quel genere di cose che l'altro cubo non fa. Se puoi collegarlo alla sequenza Fibonacci e a quella della proporzione divina con un nuovo cubo è tutta un'altra storia.
Ha un bozzetto o un disegno da farmi vedere?
Ne ho qualcuno, ma vorrei farne uno migliore e ci stavo proprio lavorando. Ci tengo in modo particolare a documentare questo cubo.
Intervista registrata nella Bay Area di San Francisco, marzo 2011