Milano Design Week

Salone del Mobile e Fuorisalone 2024


Il lato umano: Gabriele Micalizzi fotografa la Design Week per Domus

Abbiamo chiesto al fotogiornalista italiano di raccontare Salone e Fuorisalone nel suo modo dissacrante e sempre sorprendente. Ecco le sue foto, realizzate in esclusiva per noi.

testo di Alessandro Scarano
fotografia di Gabriele Micalizzi

Che cos’è la Design Week? Una occasione commerciale. Un grande evento culturale diffuso. Un modo di fare networking. E molto di più. È il momento che mette Milano al centro della mappa globale. Quello in cui tantissimi milanesi piazzano la casa su airbnb, intascano il corrispettivo di una mensilità o quasi e lasciano la loro città agli Altri.

Ma gli Altri siamo noi. Che popoliamo la città in questa settimana unica. Parlando tanto di design e spesso troppo poco di noi. Perché la Design Week la fanno gli esseri umani. E la storia di questa settimana la fanno le folle che sciamano per le strade, le code che nel weekend ridisegnano la geografia strabordando lungo gli isolati, le facce che arrivano da tutto il mondo, il ghiaccio che si scioglie nei drink scolati e abbandonati sul bordo di un marciapiede. Una pacifica invasione. L’invasione del design.

“Andate via dal mio bar”, esclama la pr milanese che passa tutte le sere a un preciso tavolino di quello storico locale che ora viene preso d’assedio dal circo del design, spostando l’asse linguistico-geografico dall'italiano all’inglese, all’olandese con qualche incursione dall’estremo oriente. Si chiacchiera, ci si conosce, ci si perde, ci si sbronza, qualcuno si nasconde in bagno. “Quel posto ha il suo network questa settimana, è dove inizia e finisce la decenza. Mi manca già”, mi whatsappa una amica londinese appena rientrata a casa.

Intanto nella movida serale si remixa umanità che diverge per provenienza, professione ed età, accomunata però dall’avere scandagliato ogni singola location del Fuorisalone palazzo dopo palazzo, showroom dopo showroom, passando dal caldo prematuramente aggressivo della Milano di metà aprile a certe arie condizionate da brivido. Qualcuno stringerà un nuovo accordo di lavoro. Qualcuno troverà l’idea che inseguiva da tempo. Qualcuno si innamorerà, ma domani avrà già dimenticato. Qualcuno abuserà dei tanti, troppi open bar, un collega caricatevole lo caricherà su un taxi direzione hotel. Su Instagram, ci sarà sempre chi ha trovato un evento che sembra migliore di quello dove eri tu.

Per raccontare queste storie, e tutte le storie che stanno dentro e dietro a quelle storie, in una ideale chiusura del lungo racconto della settimana del design più famosa del mondo, Domus ha scelto Gabriele Micalizzi, milanese, classe 1984, artista del fotogiornalismo, a suo agio nei teatri di guerra del Medio Oriente come nelle campagne per grandi brand o se deve ritrarre Guè Pequeno. Micalizzi è un deus ex machina che rovescia le convenzioni di un mondo, quello del design, talmente invaghito del mito di sé stesso da avere talvolta paura di guardarsi nello specchio. Ci fa scendere dalla torre d’avorio e riporta per strada. 

Le sue foto raccontano la frenesia e la stanchezza; catturano l’attimo di chi nella Design Week ci finisce come dentro a un quadro, come la ragazza che si laurea nei giorni in cui la sua università fa da cornice ad alcune tra le installazioni più attese; e poi la frenesia, i pasti consumati al volo, la stanchezza. La socialità e i selfie. Qualche cagnolino. Code, code e ancora code. E in mezzo a tutta questa enorme folla di persone, la solitudine che accompagnerà per sempre gli esseri umani.

Il mio modo di fotografare è una danza, una performance.

Gabriele Micalizzi

Incontrare Micalizzi al Salone, il giorno dell’apertura, è come trovarsi di fronte a un turbine umano con Leica multiple a tracolla. Nel giro di una manciata di minuti scatta una ragazza dalla chioma che sembra una nube (e intanto ride, “I’m shyyyyyy”), scavalca una pianta abbattuta dal vento, si confronta sui gusti della pizza con due signore che mangiano sedute su un frangitraffico, scatta e ritorna più volte mentre beviamo un caffè. “Mi avvicino e mi allontano, la mia è una danza, una performance”, spiega del suo modo di fotografare. Lo definisce “schizofrenico e compulsivo”. Qui al Salone come in guerra. Brigida Brancale, la sua assistente, lo insegue illuminando le scene con un grande flash montato su un’asta. “Un incredibile melting pot di umanità”, Gabriel Micalizzi definisce il Salone: è la prima volta che viene in Fiera. Lo colpiscono le code: per l’installazione di Lynch o… per mangiare. Lo colpiscono le distanze. Lo colpisce che sembrano tutti seri e poi all’improvviso la gente si scioglie, inizia “il cazzeggio”. E poi chi riposa sfinito. Si guarda intorno e mi chiede, con sincera curiosità: “Ma perché c’è tutta questa gente col trolley?”.

Tra le strade di Milano, le scene si ripetono, si amplificano. “La folla alla Statale è un fiume ma ha un suo ordine, ricorda una medina araba”, mi dice. E poi: “Ti dicono che non puoi entrare nei posti così sembrano più esclusivi, poi quando entri non c’è nessuno, che senso ha?”. E ancora, sul fatto che non si aspettava che le persone si lasciassero fotografare così facilmente: “Sono tutti felici e nessuno si lamenta, si sentono tutti fighi, si sentono tutti la notizia del giorno”.

Micalizzi scherza con tutti, sorprende chiunque, si infila in ogni evento, raccoglie nel giro di qualche ora un migliaio di scatti di cui tantissimi sono una meraviglia e lo fa sciorinando una sciarada di trucchi del mestiere, tali e tanti che qualsiasi aspirante fotogiornalista dovrebbe seguirlo con un blocco per prendere appunti. Ma probabilmente non riuscirebbe a stargli dietro, perché Gabriele Micalizzi si è già lanciato in un altro angolo, in cerca di un’altra foto, un altro punto di vista. Un altro essere umano che aggiunga un particolare al grande affresco di questa Design Week. Non una semplice documentazione, ma un messaggio. Perché alla fine il design nasce per gli umani e non per sé stesso. E ricordarcelo ci farà sicuramente bene. 

Tutte le foto sono state scattate dal fotografo Gabriele Micalizzi per Domus.

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