Che cos’è Fallout: una vita tra il vault e la zona contaminata

La serie di videogiochi di ruolo e strategici è tra le più apprezzate di sempre, non solo per le dinamiche di gioco, ma anche per l’incredibile equilibrio tra design retrofuturistico e scenari post-apocalittici. Ora diventa una serie tv.

Con il termine “Fallout”, si possono definire due concetti distinti

In ambito bellico, “la ricaduta, attraverso l’atmosfera, delle polveri sollevate da un’esplosione nucleare e da questa rese radioattive.”, dice Oxford Languages.

In ambito tecnologico, “l’applicazione a scopi civili di tecnologie originariamente elaborate nell’ambito della ricerca pura o dell’industria bellica.”

Nel caso della celebre serie videoludica (oggi anche serie televisiva di successo targata Amazon Studios) Fallout, entrambe le definizioni sembrano calzare a pennello. Siamo nel 1997, Interplay Entertainment lancia il primo capitolo della serie, Fallout, videogioco di ruolo idealmente concepito come seguito di un titolo pubblicato quasi un decennio prima. Prende corpo una delle ambientazioni post-apocalittiche più iconiche dell’intrattenimento contemporaneo, ma viene anche inserito ciò che, a distanza di molti anni, renderà sempre riconoscibile il marchio di fabbrica di questi titoli: il sistema S.p.e.c.i.a.l. e il mood a metà tra il serio e il faceto.

Il black humor, la varietà di soluzioni per risolvere ogni singolo problema e la diversa evoluzione del mondo in cui il protagonista agisce a seconda delle scelte del giocatore, hanno decretato il successo immediato per il titolo in termini di gradimento da parte del pubblico. Per questo motivo, la stessa casa di produzione ne realizzerà il seguito a distanza di soli sei mesi: Fallout 2.

Il mondo ‘prima’ è sempre avvolto da un notevole alone di mistero, che porta molto spesso a una singola domanda: chi ha distrutto il mondo?

Dovranno passare altri dieci anni (durante i quali uscirà solo il relativamente interessante spin-off Fallout Tactics: Brotherhood of Steel, che si appoggia maggiormente al genere strategico) per vedere sul mercato un nuovo, vero gioco di ruolo “bandiera” del franchise: Fallout 3. Bethesda Softworks, già all’opera da tempo sulla fortunata e longeva serie The Elder Scrolls, irrompe sul mercato con un titolo destinato a ridefinire il concetto di gioco di ruolo a mondo aperto, con una storia coinvolgente e un mondo letteralmente sterminato (almeno per l’epoca), tutto da esplorare. Tale fu il successo di questa terza iterazione, da far risorgete dalle sue ceneri una saga che sembrava ormai dimenticata. Nel tempo, la serie principale verrà poi portata avanti nel 2015 da Fallout 4 e inframezzata da ulteriori capitoli come Fallout: New Vegas (2010, Obsidian Entertainment), il gestionale Fallout: Shelter (2015, Bethesda), fino a raggiungere il più recente Fallout 76 (2018, nuovamente Bethesda).

Il mondo prima della fine

Siamo nel futuro. Sei un individuo del futuro, vivi in una società ideale che sembra essere lo “specchio ideale” dell’America degli anni Cinquanta/Sessanta, che riesce a essere contemporaneamente terrorizzata dalla guerra fredda e molto speranzosa nei confronti di un futuro radioso. Conduci una vita felice, molto probabilmente hai una famiglia e un robot fluttuante che si occupa delle faccende di casa. Stai attraversando quello che sembra essere un giorno come tanti, ma la tua quotidianità viene improvvisamente stravolta.

Uno, due, dieci, cento lampi (e conseguenti funghi) atomici fendono il cielo. L’aria prende fuoco. Il tuo mondo, i tuoi cari e la tua vita bruciano in un singolo, lunghissimo istante. Il mondo finisce, l’umanità sembra aver perso. Eppure, dopo molti decenni, da quelle ceneri inizia l’era post-nucleare del presente. Il mondo “prima” è sempre avvolto da un notevole alone di mistero, che porta molto spesso a una singola domanda: chi ha distrutto il mondo? La risposta non è scontata, né nei videogiochi (o, almeno, nei capitoli in cui ci si interroga a riguardo), né all’interno della serie televisiva. Tutti i sogni, le aspettative e più in generale i progetti di una generazione sono finiti con la Grande Guerra. Eppure, qualcosa nel tempo è sopravvissuto.

Il mondo dopo la fine

Quello che resta nel nuovo status quo, nel “presente” in termini di storia all’interno dell’ambientazione - quasi duecento anni dopo le esplosioni - sono le vestigia architettoniche e sociali conservate da uomini e donne che hanno provato a salvarsi, facendo affidamento in particolare all’azienda Vault-Tec, creatrice, tra le altre cose, delle celebre città-bunker definite Vault.

In tempi pre-bellici, su commissione degli Stati Uniti, l’azienda ha realizzato queste imponenti città sotterranee autosufficienti, dei rifugi anti atomici in grado di offrire alloggio e sostentamento a un elevato numero di persone (attorno al migliaio di abitanti).

Al loro interno presentano un’impiantistica d’avanguardia, in grado di rispondere a tutte le esigenze della sua popolazione, e allo stesso tempo prevede un compito per praticamente qualsiasi abitante in grado di lavorare. Insomma, delle enormi unità abitative autosufficienti in grado di tenere in vita l’umanità fino al termine del decadimento nucleare in superficie.

Tutto, insomma, sembrerebbe ritrarre questi non-luoghi come il nuovo “migliore dei mondi post-apocalittici possibili”, ma se così fosse, non ci sarebbe nessuna storia da raccontare. La sete di conoscenza, la ricerca personale e, perché no, la fuga per salvarsi la pelle spingono gli abitanti a uscire, affacciandosi in un mondo molto diverso da quello che abbandonato in fretta e furia dai loro avi.

L’archeologia industriale

Se quello promesso dal Vault è, almeno in apparenza, un mondo praticamente perfetto nel mondo esterno le cose sono tutt’altro che tali.

La Zona Contaminata (l’area al di fuori dell’Enclave - un’organizzazione simil militare/governativa - e dei Vault) costituisce la gran parte del territorio esplorabile, e contiene al suo interno i resti anacronistici di un mondo che non esiste più. La natura si è nuovamente appropriata degli spazi un tempo antropizzati, mentre umani, ghoul e qualsiasi altro essere più o meno vivente ci sia nel mezzo sgomitano per sopravvivere un giorno in più.

Ciò che sicuramente resta in forma più o meno riconoscibile è il profilo delle strutture nate nell’era dei “figli dell’atomo”. Impossibile non citare, per esempio, quel che resta di Washington DC in Fallout 3, dove il Memoriale di Lincoln e il Capitol in qualche modo ancora dominano la scena.  Però, al di là dei “landmark” veri e propri, riconvertiti in altro rispetto alla loro funzione originaria, ciò che maggiormente colpisce è la rappresentazione degli spazi quotidiani. Stazioni, distributori di benzina, negozi e tutti quei luoghi che hanno caratterizzato le città per almeno un secolo, sono ora diventati degli spazi fuori contesto: in alcuni casi delle parodie di ciò che furono, in altri dei semplici punti di raccolta. O, per fare un esempio ancora più estremo, la “strip” stessa di Las Vegas, in Fallout: New Vegas, che vede le sue strutture appariscenti giacere nel mezzo del deserto, più come monito e sberleffo, che votate a un nuovo utilizzo o una nuova funzione urbana nel senso stretto del termine.

La guerra… la guerra non cambia mai

Questa frase iconica, accompagna i giocatori dei diversi Fallout da tanti anni, e chi conosce a fondo la saga sa quanto possa esserne rappresentativa. La guerra è mutata in guerriglia, combattuta con armi di fortuna recuperate dal passato (e modificate nei modi più peculiari) o con delle armature atomiche, che sembrano uscite dritte dai film di fantascienza più visionari.

Ma il dispositivo più riconoscibile di Fallout è un bracciale, il Pipboy. Il suo nome è Processore di Informazioni Personale, e ogni abitante del Vault ne ha uno al polso, come fosse un orologio dotato di uno schermo grande quanto una buona porzione dell’avambraccio. Come un moderno smartphone combinato al monitoraggio dei parametri vitali di uno smartwatch, esso racchiude al suo interno praticamente tutte le informazioni, vitali e non, del suo proprietario - oltre a permettere a quest’ultimo di individuare eventuali radiazioni nel luogo dove si trova, avendo al suo interno un fondamentale contatore Geiger.

Infine, è impossibile chiudere un qualsiasi approfondimento su Fallout senza nominare lui, l’omino stilizzato biondo in tuta blu: il Vault Boy. Se l’armatura atomica è sicuramente l’immagine più iconica del franchise (anche grazie alla copertina di Fallout 3, che la ritrae in primo piano), la mascotte della Vault-Tec sembrerebbe pareggiarne la fama. Non esiste poster motivazionale, manuale operativo o film di formazione che non la ritragga. Nonostante il suo aspetto rassicurante, sa essere molto convincente con i destinatari dei suoi consigli o dei suoi ammonimenti. 

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