L’artista definisce la parte conclusiva, quella che ospita i dispositivi tecnologici, come spazio della shameless, dell’assenza del senso di colpa. Ma esso è anche, paradossalmente, lo spazio della noia, dove riemerge la necessità di dare un senso al mondo e di interrogarsi sulle sue origini, tornando così, circolarmente, al punto di inizio della mostra.
Così, poco distante dai packaging di prodotti Apple, tutti bianchi e leggeri come una piuma, troviamo una ingombrante e polverosa enciclopedia. È come se al termine della mostra, l’informazione che abbiamo costretto a perdere di peso, tornasse, improvvisamente, a reclamare il suo spazio.