Chi sono i progettisti nell’era SketchUp?

Dallo strumento intuitivo di una professione all’intelligenza artificiale: ne parliamo con Sumele Adelana, marketing manager del popolarissimo software di modellazione.

Per aspiranti progettisti che negli anni 2000 si avvicinavano alla modellazione 3d nei loro anni scolastici o universitari, gli ostacoli erano indubbiamente molti. Documentazione in assenza di webmagazine strutturati, ispirazione o creazione di moodboard in era pre-social – Google images nasce nel 2004, e serviva a cercare un leggendario abito di Jennifer Lopez, più che uno scorcio di Paul Rudolph – ma soprattutto l’ostracismo, fortunatamente breve, ma indubbiamente reale, da parte delle scuole di progettazione verso uno strumento allora tanto intuitivo da essere ritenuto riduzionista e superficiale: SketchUp.
Vent’anni dopo, due personaggi di questa breve storia globale hanno avuto l’occasione di parlarsi, nella fattispecie chi scrive, e Sumele Adelana, Senior marketing manager di Trimble SketchUp, di uguale formazione come progettista di architetture.

domus - SketchUp - Sumele Adelana
L'interfaccia di SketchUp per iPad

“Nel Regno Unito, erano richiesti schizzi, disegni, o modelli fisici prima di passare alla modellazione. Immaginavo che i nostri docenti volessero darci un approccio tattile a quel che stavamo realizzando e imparando, in modo da poter collegare il processo di pensiero con quello di realizzazione, e questo punto di vista lo apprezzo: devi capire come le cose si vanno ad unire, come si concretizzano”. 
17 anni dopo, riprende Adelana, SketchUp è un software pervasivo in ogni ambito dove si crei o si realizzi qualcosa. “Che la gente dica di usarlo o meno, la tendenza sta cambiando: le persone dicono con sempre maggior naturalezza ‘Certo che lo uso’. Perché c'è una facilità che gli è connaturata, una connessione con il cervello, la sensazione di poter immaginare qualcosa e dargli vita in 3d”. In effetti, oggi nell’offerta di Sketchup ci sono anche i programmi per gli studenti, e università in tutto il mondo lo stanno integrando, assieme all'insegnamento della modellazione 3d come strumento di pensiero, nei loro curriculum. Si può parlare di un certo cambio di scenario.
“La velocità e il ritmo della progettazione costringono le persone a fare le cose in fretta, ma non si vogliono perdere il rigore e la cura. Per questo credo sia importante che gli studenti imparino a fare le cose, ma che anche abbiano gli strumenti per farle velocemente, in modo da poterle ripetere e rivedere: penso che il progetto sia un processo iterativo. Si pensa un’idea, la si testa, si vede se funziona, poi la si modifica un’altra volta, e un’altra ancora.

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Image courtesy Sarah Amos

Secondo i dati che Adelana ci fornisce, oggi si contano oltre 33 milioni di utenti di SketchUp, singoli studenti o professionisti, aziende e brand in tutto il mondo, in architettura, interior residenziale e commerciale, anche automotive design. In sostanza, qualsiasi disciplina o pratica richieda un approccio tridimensionale alle cose e anche quadridimensionale, là dove i processi devono essere illustrati fase per fase. “Se pensate a quando nasciamo” ci dice “la prima cosa che percepiamo è la tridimensionalità. Le persone non pensano in due dimensioni, giusto? A meno che non si guardi un'immagine piatta, ma anche lì si finisce per percepire la profondità, qualcosa in più rispetto a ciò che l’occhio vede”.
Da queste premesse, la chiave della viralità del software è poi stata la graduale transizione da strumento a ecosistema di strumenti, dice Adelana, al consentire la comunicazione di idee e i processi di progettazione collaborativa tra persone di diversa professione o espressione – una sorta di BIM informale, proponiamo. Un collegamento tra uno strumento e l’altro, all'interno di un processo complesso, rifinisce Adelana.

Vogliamo arrivare ad usare l'intelligenza artificiale come struttura che aiuti gli architetti a raccogliere dati e testare opzioni più rapidamente. In ultima analisi, crediamo che sia il progettista ad avere l'ultima parola su ciò che fa.

Ed è qui che entra in scena l’intelligenza artificiale. Prima di tutto, è stata aggiunta alla libreria di modelli di Trimble 3d Warehouse, per identificare un oggetto e trovarne di simili: “Sto pensando a una sedia di Alvar Aalto, ho una foto. La copio in 3d Warehouse e automaticamente trova componenti che sono già state modellate, aiutandomi a tornare immediatamente alla progettazione senza dover scavare per 10 milioni di anni per trovare quest’oggetto, o modellarlo da zero”. Un'altra funzione ancora in fase beta è lo scan-to-design, che consente agli architetti di usare i tablet per scansionare rapidamente un interno e tradurlo direttamente in un modello 3d, in modo da iniziare subito a progettarci sopra, evitando l’andirivieni dell’affidamento esterno del rilievo.

A parte una leggera preoccupazione per il destino dei geometri, la grande domanda su quanta parte del processo di progettazione possa essere effettivamente gestita dall’intelligenza artificiale oggi percorre tutta la disciplina del progetto: “La nostra convinzione è che l’AI non possa sostituire i progettisti o gli architetti”, risponde Adelana, “vogliamo piuttosto arrivare ad usarla come struttura che aiuti gli architetti a raccogliere dati e testare opzioni più rapidamente. In ultima analisi, crediamo che sia il progettista ad avere l'ultima parola su ciò che fa”.

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Sumele Adelana. Foto Mariell Lind Hansen

L'occasione però è troppo importante per non scambiare con Adelana anche qualche pensiero su cosa possa significare, in fondo, quella parola “progettista”, ora che un'intera generazione – i Millennials, per utilizzare etichette – si sta traghettando a ruoli di professionista, o di practitioner in senso lato, come è stato invocato da più parti, non ultima la riflessione del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2023. Adelana stessa ha una formazione da architetta, e attraverso questa formazione, e l’inclinazione ed approfondirne l’antropologia, è arrivata a progettare strumenti che riflettono il risultato di queste stesse domande: “Credo che alcuni di noi si dedichino a questo lavoro con la consapevolezza di avere competenze molteplici. E che l'architettura sia uno dei luoghi in cui possiamo esplorare queste abilità in modo davvero interessante. Per me si trattava di spazio, della bellezza dello spazio e dell’impatto che può avere sulle persone. Quando ci siamo trasferiti in una nuova casa a Lagos, in Nigeria, c'era una scala molto buia ma con delle porzioni che si aprivano, generando luci e ombre bellissime, era tutta una sensazione del tipo ‘Tutto questo è così bello. Lo voglio fare per più persone’. Mi sono iscritta, e mi è piaciuto molto, e la storia e la teoria dell'architettura sono state probabilmente il mio modulo preferito. Avevo anche una passione per la scrittura e le parole, e per trovare il modo di esprimere le idee non solo attraverso il disegno, e quindi mi è sembrato di incamminarmi un interessante movimento di transizione”.
L'approccio a questa transizione dal punto di vista della sostenibilità avrebbe poi spinto Adelana a unirsi al team di Sefaira, una startup di software per l’analisi delle prestazioni degli edifici, poi acquisita da SketchUp, dove lavora attualmente. “Si tratta di intervistare persone che sono completamente immerse nell'industry, ma anche utenti quotidiani. Ho il posto in prima fila per vedere come stanno lavorando. Ma ho anche il potere di aiutarli a fare un lavoro migliore grazie alle tecnologie che creiamo. Mi sembra quindi di vivere il meglio di entrambi i mondi, e di avere allo stesso tempo un incisività".

What’s next, a questo punto? Quali territori sarebbero ancora da esplorare attraverso questo tipo di strumenti? “Tutta la strada odierna dell’intelligenza artificiale racchiude molte possibilità che potrebbero essere dirompenti per i nostri ambiti, e per il modo in cui lavoriamo”, risponde Adelana, “Penso che ci siano ancora molte acque inesplorate. Ma si tratta di fare un passo alla volta.
Immaginiamo di andare oltre il design generativo, oltre il dire al software cosa si vorrebbe progettare, per riceverne delle idee. Si potrebbe andare ben oltre, indagando su come un edificio possa avere un impatto sugli occupanti, in che modo si possa migliorare la loro esperienza, come si possa usare tutto questo per avere un impatto olistico sull’ambiente costruito. In sostanza, quali connessioni posso creare con il resto delle cose che mi circondano per migliorare la vita delle persone che le useranno. Possiamo riconoscere molti problemi socio-economici a livello globale, questioni legate ai senzatetto, allo sfollamento, all’effetto del cambiamento climatico con cui dovremo confrontarci sempre e sempre di più. E se la tecnologia potesse aiutarci a rispondere ad alcune di queste domande, in modo da cambiare concretamente il mondo per tutti?”

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Foto courtesy Perkins Eastman

Immagine di apertura: Sumele Adelana. Foto di Mariell Lind Hansen

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