Gli insediamenti sono prevalentemente costruiti all’interno di baie e sempre lungo la costa, anche se il rapporto con il mare è negato, per molti mesi, da una coltre di ghiaccio che si sovrappone all’acqua, al punto tale che il mare stesso offre infiniti percorsi durante l’inverno.
Gli aeroporti sono le principali risorse di queste comunità. A Iqalit, l’aeroporto è strettamente connesso alla maglia urbana dell’insediamento ed il piazzale antistante ad esso sembrerebbe essere il principale spazio pubblico, così come l’acceso colore dello stesso diventa un’icona urbana e un elemento di forte riconoscibilità della cittadina. Oltre a un numero di edifici di servizio, scuole, centri di ricerca, centri ricreativi, questi insediamenti sono costituiti da abitazioni che usano modelli e tipologie che provengono dal sud, eventualmente resi più efficienti dal punta di vista energetico, ma con poca attenzione alle forme tradizionali di difesa rispetto alla neve, ghiaccio e venti che appartenevano agli Inuit.
L’aspetto d’interesse della mostra al padiglione canadese non è tanto nell’incisività o pregnanza di un tema di ricerca ma piuttosto come la mostra ci racconta la transizione di un territorio assolutamente atipico verso la modernità. La mostra presenta una regione sconosciuta, in parte primitiva, che ci trasmette al tempo stesso un paesaggio forte ed essenziale, unico e irrepetibile, quasi un paesaggio al limite tra realtà e immaginazione.
Un territorio che ha solo marginalmente “assorbito la modernità” in quanto estremamente estraneo rispetto ai processi di trasformazione che hanno interessato altre regioni e anomalo rispetto alle dinamiche che hanno favorito lo sviluppo contemporaneo. La modernità in questa regione è stata sempre declinata secondo esigenze tecniche e di efficienza funzionale per garantire a tutte le comunità uno standard di vita accettabile e la fruizione dei servizi di base.
La tensione tra diversità e integrazione si è qui consumata con la speranza che la modernità diventasse la soluzione dei problemi. Il risultato è che i ragazzi Inuit vedono in media la tv per un numero di ore superiore rispetto ai loro coetanei del resto del Canada e patatine fritte e coca-cola hanno velocemente sostituito quei cibi che erano maggiormente calibrati rispetto al clima e alla disponibilità locali.
La questione cruciale è quindi come territori, popolazione e regioni remote possano affacciarsi alla modernità e come essa si coniughi rispetto alle tradizioni locali. Infatti, proprio per questa forse irrisolta contraddizione, il Padiglione del Canada ha ricevuto una menzione dalla giuria della Biennale, appunto per “lo studio approfondito su come la modernità riesca ad adattarsi in condizioni climatiche uniche e alle esigenze di una minoranza culturale”.
Fino al 23 novembre
Arctic Adaptations. Nunavut at 15
Padiglione Canada, Giardini